Foglio di Comunità – n° 12/2015

Bollettino informativo non periodico della Comunità cristiana di base Viottoli
Distribuzione gratuita — Pinerolo (To),  30/11/2015

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COMUNITA’ CRISTIANE DI BASE
Segreteria Tecnica Nazionale

Comunicato – Un Giubileo che torna al suo significato originario

Il papa venuto “quasi dalla fine del mondo” ha aperto la Porta santa nella semplice e austera cattedrale di Bangui, in terra d’Africa: quello che egli ha deciso di inaugurare è un giubileo straordinario “della misericordia” per esprimere in modo chiaro e luminoso al mondo contemporaneo la sostanza dell’annuncio evangelico e ricordare alla Chiesa quale è la sua vocazione.

In questo modo l’antico Giubileo biblico, che era stato trasformato in strumento e simbolo del primato di Roma e del potere del suo papa di ergersi a giudice dei peccati al punto da poterli estinguere per propria concessione perfino nell’al di là, torna al suo significato originario: il perdono e la remissione dei peccati, come nell’antico Israele, devono diventare carne e vita nella remissione dei debiti (anche di intere nazioni), nel ripristino della libertà dei servi (di un’economia globalizzata assoggettata a mammona) , nel nuovo inizio di un convivenza sociale fondata su giustizia e cooperazione fraterna.

Tramontata l’epoca delle indulgenze (e archiviata la loro scandalosa e lucrosa vendita ad opera della Chiesa) è dunque tempo di una nuova misericordia proprio oggi che il mondo, nelle parole di Francesco, è squassato da una nuova guerra mondiale “a pezzi”.

Misericordioso è il cuore che prova compassione, che è dunque capace di com-patire, di portare insieme ai fratelli e alle sorelle di tutto il mondo il dolore per la violenza e per il male. Il Dio di Gesù sa di quanta misericordia abbiamo bisogno e ce la consegna come compito proprio mentre efferate esecuzioni e bombardamenti intelligenti alimentano la spirale dell’odio. Inequivocabile ed evangelico, in questo clima di crescente angoscia planetaria, il gesto di Francesco che ha suggellato l’inizio di questo giubileo togliendosi le scarpe per entrare con rispetto fraterno nella moschea di Bangui per raccogliersi in preghiera nella casa dell’Islam, proprio mentre in Medio Oriente come anche qui a casa nostra c’è chi attizza il fuoco di deliranti conflitti di civiltà e di religione.

Bologna, 7 dicembre 2015

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LE EUCARESTIE

DOMENICA   6 dicembre     ore 10 : preparano Memo e Domenico

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NATALE di GESU’

Celebriamo la memoria della nascita di Gesù con due momenti significativi:

DOMENICA 20 DICEMBRE ore 10: Celebrazione del perdono: preghiera, silenzio, canti e riflessioni (a cura di Angelo e Carla)

GIOVEDI’ 24 dicembre ore 21: Veglia natalizia (a cura di Luisa, Beppe e Luciano)
Come facciamo da qualche anno, durante l’eucarestia faremo una colletta per continuare a sostenere i “Medici con l’Africa”

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DOMENICA   3 gennaio     ore 10 : a cura di Antonella, Lella e Domenico

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GRUPPO BIBLICO

Nel gruppo biblico, che si incontra ogni martedì sera, alle ore 21, a casa di Carla e Beppe (così risparmiamo sul riscaldamento del FAT) stiamo rileggendo gli interventi che Enrico Peyretti, Antonietta Potente e Giovanni Franzoni hanno fatto durante l’incontro regionale di fine ottobre (li troverete pubblicati su Viottoli che sta per uscire), dedicandovi del tempo per approfondire e condividere le nostre riflessioni in merito. Dopo aver letto quello di Peyretti, nel mese di dicembre leggeremo quelli di Potente e Franzoni. A gennaio incominceremo la lettura del Vangelo di Giovanni.

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ASSEMBLEA DI COMUNITA’

Domenica 20 dicembre, al mattino, dopo la celebrazione del perdono.

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GRUPPO DONNE

Lunedì 7 dicembre, alle ore 21, a casa di Luciana

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GRUPPO RICERCA

Giovedì 17 dicembre, alle ore 19.30, a casa di Paola ed Elio, il gruppo si incontrerà per un momento di convivialità (cena e piacevole conversazione). In gennaio concluderemo la lettura del libro Le società matriarcali di Heide Goettner Abendroth. Proseguiremo gli incontri leggendo il libro “Donne sciamane” di Morena Luciani, Ed.Venexia. Sono letture estremamente interessanti: il gruppo è aperto ad accogliere con gioia chiunque volesse coinvolgersi.

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UN ABBRACCIO GRANDE…

… e un augurio affettuoso per un 2016 sereno a tutte le nostre amiche e a tutti i nostri amici che per i motivi più vari non sempre possono partecipare alla vita della comunità;

a tutte le amiche e a tutti gli amici che abbiamo incontrato nel corso del 2015 e con cui abbiamo scambiato pensieri e parole in libertà e condivisione;

alle amiche e agli amici che soffrono per qualche problema di salute e a cui non sempre siamo capaci di donare tempo e compagnia: vi abbiamo nel cuore!

alle DONNE e agli UOMINI delle CDB del Piemonte e d’Italia;

a tutte le donne dei vari gruppi con cui siamo in contatto;

a tutti gli uomini che camminano sui sentieri della trasformazione della propria maschilità: anche se non ci credono e non lo pensano, il loro cammino è profondamente evangelico…

a tutte le donne e a tutti gli uomini del mondo: siamo l’unica grande comunità di base… impariamo a volerci bene e a camminare insieme per costruire cieli nuovi e terre nuove!

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GRUPPO MEDITAZIONE

Ci troviamo ogni venerdì al Fat, vicolo Carceri n° 1 dalle 20 alle 21,30. I nostri incontri prevedono una meditazione guidata di circa un quarto d’ora seguiti da una meditazione silenziosa di un altro quarto d’ora. Poi proseguiamo con la lettura di un testo di Corrado Pensa “La tranquilla passione” condividendo dubbi, comprensioni esperienziali e domande aperte a risposte personali e non sempre immediate. I testi per suscitare le riflessioni e gli approfondimenti sono scelti dal gruppo.

Se sei interessata/o puoi presentarti direttamente al Fat, se invece vuoi più informazioni, chiama il numero di Maria Capitani.

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COLLEGAMENTO NAZIONALE CDB

E’ convocato a Firenze per il 12 e 13 dicembre. All’ordine del giorno, tra l’altro, c’è la definizione del tema per il prossimo convegno nazionale che si terrà dal 23 al 25 aprile 2016. Beppe porterà le proposte che sono emerse nell’assemblea di comunità.

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CDB DEL PIEMONTE

Il prossimo incontro di collegamento regionale delle comunità di base si terrà probabilmente il 22 gennaio. Daremo informazioni più dettagliate sul prossimo foglio di comunità.

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EDUCARCI ALLA PACE – INVITO

Cari amici,

Gli attentati di Parigi sono ancora freschi nella memoria. In molti tentano di dare risposta a domande come C’è una guerra in atto? Chi sono i terroristi? L’Islam è una minaccia? E se invece provassimo a cambiare la domanda? Uscire dalla guerra è possibile? Non siamo ovviamente parlando di questa o quella guerra, ma della guerra in generale, cioè di tutte le guerre. È possibile e necessario abolire la guerra?

Questo interrogativo sembra scomparso dal linguaggio della politica e della cultura, come se la risposta “guerra” fosse già prestampata su tutti i problemi che sorgono e si trattasse solo di decidere di volta in volta tempi e modi. Eppure c’è una maggioranza di persone convinte come noi del fatto che la guerra è ingiusta e crudele, che non colpisce mai i suoi obiettivi dichiarati ma sempre e solo popolazioni civili indifese, che risponde sempre ad interessi economici “forti” (petrolio, armi, droga, interessi strategici) ed è sempre un disastro per le popolazioni che la subiscono. Ma a parlare sono solo quelli che sostengono l’opposto, che siamo in guerra e che questa guerra va combattuta e vinta. Sono voci che entrano nella testa della gente, diffondono informazioni parziali e ostilità. Progettare un percorso che ci porti fuori dalla guerra vuol dire prima di tutto far uscire la guerra dalla testa della gente, informare, ripristinare la verità.

Abbiamo costituito a Pinerolo un gruppo di persone di diverse origini culturali, religiose e politiche con lo scopo di ragionare e far ragionare su questi temi. Pensiamo che sia un cammino lungo, ma che non ci resti altra scelta. Per iniziare abbiamo deciso di avviare una serie di incontri pubblici in cui raccogliere le idee, facendoci raccontare da esperti e testimoni come l’abolizione della guerra sia una meta possibile. Abbiamo fissato un primo incontro per

VENERDI 11 DICEMBRE alle ore 21 al Teatro del Lavoro, Via Chiappero 12, Pinerolo

Ci sarà con noi Angela Dogliotti Marasso, del Centro Studi Sereno Regis di Torino. Con lei discuteremo sul tema: “È possibile uscire dalla guerra o è proprio vero che non c’è alternativa?

Il gruppo “Uscire dalla guerra” è aperto: per mettervi in contatto o collaborare scrivete a uscire_dalla_guerra@googlegroups.com

Gianni Salza (Emergency), Beppe, Domenico e Luciano

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AUGUSTO CAVADI A PINEROLO

Il nostro amico palermitano Augusto Cavadi, filosofo e autore di numerosi libri, tra cui Il Dio dei mafiosi e Il Dio dei leghisti, verrà a Pinerolo durante le vacanze di fine anno. Ha accolto con piacere il nostro invito per una serata di approfondimento sul tema delle sue ultime opere “Per una spiritualità laica”. Stiamo organizzando nel dettaglio l’incontro e vi informeremo con un’apposita e-mail nei prossimi giorni (v. presentazione del suo ultimo libro a pag. 10)

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CAPODANNO AL FAT

Come ogni anno, il 31 dicembre chiunque vorrà potrà partecipare a una serata in compagnia, aspettando l’anno nuovo. Alle 19,30 ci farà cena insieme, portando ognuno/a qualcosa da condividere. Alle 23 ci sarà l’estrazione dei premi della lotteria. Chi intende partecipare faccia riferimento a me entro il 29/12

Dome

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VIOTTOLI

Stiamo ultimando la preparazione del n. 2 del 2015 del nostro semestrale Viottoli che verrà spedito subito prima di Natale.

Ringraziamo tutti/e coloro che tramite email e telefono ci contattano e per gli apprezzamenti che sovente riceviamo. Vi invitiamo a collaborare mandandoci articoli, riflessioni, preghiere, recensioni…

Ricordiamo la quota associativa: 25,00 € (socio ordinario) – 50,00 € (socio sostenitore); oppure potete versare un contributo libero utilizzando il ccp n. 39060108 intestato a: Associazione Viottoli – via Martiri del XXI, 86 – 10064 Pinerolo (TO) o con bonifico bancario: IBAN: IT 25 I 07601 01000 000039060108   BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX

Vi invitiamo inoltre a richiedere copie saggio gratuite del nostro semestrale (per informazioni: viottoli@gmail.com). Sono disponibili alcune raccolte complete con tutti i numeri della rivista dal 1992 a oggi.

Sul nostro sito http://www.cdbpinerolo.it cliccando su VIOTTOLI —> ARCHIVIO DEI NUMERI ARRETRATI trovate, e potete scaricare gratuitamente, tutti i numeri in formato *.pdf dal 1998 al 2014.

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ANDREMO IN NICARAGUA E IN GUATEMALA

Il 21 marzo del 2016 ritorneremo in Nicaragua e Guatemala, con Nico e Angelina e con Adolfo e Ines. I progetti di solidarietà riguardano: i bambini e le bambine della scuola primaria del villaggio di Guisquiliapa in Nicaragua e i ragazzi e le ragazze di strada dell’associazione Las Quetzalitas a Città del Guatemala. Porteremo, come sempre, abbigliamento estivo per bambini/e, peluches, giochi non ingombranti e privi di batterie, materiale scolastico: zainetti, portapenne, matite nere e colorate, biro; no quaderni.

Se qualcuno/a lo desidera può offrire del denaro: lo utilizzeremo sia per acquistare quaderni in Nicaragua, sia per sostenere le iniziative de Las Quetzalitas in Guatemala. Chi vuole collaborare si metta in contatto con noi.

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GRUPPO UOMINI IN CAMMINO

Giovedì 10 dicembre sarà una serata “speciale”, dedicata alla visione dei video che quest’anno abbiamo portato nelle scuole: quelli del progetto MI FIDO DI TE della Diaconia Valdese e quelli del progetto FIVE MEN di Maschile Plurale e della rete D.I.R.E. dei Centri Antiviolenza. Ci ritroveremo nel salone parrocchiale di S. Lazzaro a Pinerolo a partire dalle ore 18,45, portando tutti e tutte qualcosa da mangiare, che consumeremo guardando e commentando.

Gli incontri del gruppo al FAT riprenderanno giovedì 7 gennaio 2016 con le consuete modalità.

La mostra fotografica “Riconoscersi uomini, liberarsi dalla violenza” è esposta nel Comune di Bricherasio fino a sabato 12 dicembre. Parlatene nei vostri Comuni, per farla circolare: la mostra è a disposizione di gruppi e associazioni e istituzioni che ce la chiedano. Basta telefonare al n. 0121/393053 oppure al 339/1455800 (Beppe) per concordare date e modalità di affidamento.

Ricordiamo infine agli uomini che leggono questo foglio che il nostro gruppo è sempre aperto a chi sente il desiderio di conoscerci o di coinvolgersi. Basta una telefonata per un contatto preventivo con uno di noi.

Angelo, Beppe, Domenico, Luciano, Ugo

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APPROVATO A PINEROLO IL REGISTRO DELLE UNIONI CIVILI

Denis Caffarel
www.riforma.it

Il provvedimento è passato con 18 voti a favore. La soddisfazione dell’assessora Falzoni

Pinerolo avrà il suo registro delle unioni civili. Mercoledì scorso, il 18 novembre, il regolamento presentato dall’assessora alle pari opportunità Roberta Falzoni è stato approvato a larga maggioranza con diciotto voti a favore, cinque in più di quelli necessari, diventando così ufficiale. Essendo un regolamento, occorrerà un po’ di tempo perché i cittadini possano usufruirne, ma per l’inizio del prossimo anno dovrebbe essere a disposizione dei pinerolesi che vorranno avvalersene.

«Naturalmente la discussione c’è stata – racconta l’assessora Falzoni – ma data la specificità dei contenuti del regolamento che delineano molto bene la portata del registro, si sono convinti pure i più scettici, tanto che anche consiglieri di minoranza hanno votato a favore.

Qualcuno ha espresso delle perplessità, ad esempio sul discorso delle adozioni o delle famiglie omosessuali, ma tutto sommato sono argomenti fuori tema, che non sono nemmeno menzionati nel regolamento; non è materia di competenza comunale, e saranno altre aule a doverne discutere.

Siamo un paese fortemente cattolico, e forse è per questo che il governo centrale è ancora così indietro, ma questo tipo di proposte non tolgono nulla a nessuno, anzi, danno qualcosa a chi non aveva nulla. Penso che chi è mosso da spirito cristiano dovrebbe essere totalmente favorevole ad iniziative come queste.

È vero, di fatto essere iscritti in un registro di questo tipo non porta vantaggi giuridici o tanto meno equiparazione a coppie regolarmente sposate, ma è un gesto simbolico importante, e credo che questo sia stato capito sia dal Consiglio che dalla cittadinanza. Chi è privo di tutta una serie di diritti ne è già ben consapevole, e non sarà questo registro a fargli credere il contrario».

Nella pratica, sarà presso l’Ufficio Anagrafe del Comune di Pinerolo che ci si potrà iscrivere al registro delle unioni civili. Verrà rilasciato un attestato in carta semplice, non un certificato, sul quale sarà documentato il nome delle due persone che hanno deciso di notificare la propria scelta, la data ed alcune altre informazioni anagrafiche.

Quella di Pinerolo è stata una scelta importante, fortemente simbolica, che non mancherà di far discutere anche in futuro, ma che sicuramente rappresenta anche un un esempio che altri comuni del circondario potranno seguire, se lo vorranno, aprendosi ad un sano dibattito che sempre di più sta segnando la distanza tra paese politico e paese reale.

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CONTRO LA GUERRA NON SI PUÒ RESTARE IN SILENZIO

Nessuna interpretazione monolitica, nessuna spiegazione meccanicistica può far luce sugli attentati. Ma possiamo forse rimanere in silenzio? Molte persone — e le comprendiamo — ritengono che davanti all’orrore di questi fatti, l’unico atto decente sia il raccoglimento. Eppure non possiamo tacere, quando altri parlano e agiscono in nostro nome: quando altri ci trascinano nella loro guerra. Dovremmo forse lasciarli fare, in nome dell’unità nazionale edell’intimazione a pensare in sintonia con il governo?

Si dice che adesso siamo in guerra. E prima no? E in guerra perché? In nome dei diritti umani e della civiltà? La spirale in cui ci trascina lo Stato pompiere piromane è infernale. La Francia è continuamente in guerra. Esce da una guerra in Afghanistan, lorda di civili assassinati. I diritti delle donne continuano a essere negati, e i talebani guadagnano terreno ogni giorno di più. Esce da una guerra alla Libia che lascia il paese in rovine e saccheggiato, con migliaia di morti, e montagne di armi sul mercato, per rifornire ogni sorta di jihadisti. Esce da una guerra in Mali, e là i gruppi jihadisti di al Qaeda continuano ad avanzare e perpetrare massacri. A Bamako, la Francia protegge un regime corrotto fino al midollo, così come in Niger e in Gabon. E qualcuno pensa che gli oleodotti del Medioriente, l’uranio sfruttato in condizioni mostruose da Areva, gli interessi di Total e Bolloré non abbiano nulla a che vedere con questi interventi molto selettivi, che si lasciano dietro paesi distrutti? In Libia, in Centrafrica, in Mali, la Francia non ha varato alcun piano per aiutare le popolazioni a uscire dal caos. Eppure non basta somministrare lezioni di pretesa morale (occidentale). Quale speranza di futuro possono avere intere popolazioni condannate a vegetare in campi profughi o a sopravvivere nelle rovine?

La Francia vuole distruggere Daesh? Bombardando, moltiplica i jihadisti. I «Rafale» uccidono civili altrettanto innocenti di quelli del Bataclan. E, come avvenne in Iraq, alcuni civili finiranno per solidarizzare con i jihadisti: questi bombardamenti sono bombe a scoppio ritardato.

Daesh è uno dei nostri peggiori nemici: massacra, decapita, stupra, opprime le donne e indottrina i bambini, distrugge patrimoni dell’umanità. Al tempo stesso, la Francia vende al regime saudita, notoriamente sostenitore delle reti jihadiste, elicotteri da combattimento, navi da pattugliamento, centrali nucleari; l’Arabia saudita ha appena ordinato alla Francia tre miliardi di dollari di armamenti; ha pagato la fattura di due navi Mistral, vendute all’Egitto del maresciallo al Sisi che reprime i democratici della primavera araba. In Arabia saudita, non si decapita forse? Non si tagliano le mani? Le donne non vivono in semi-schiavitù? L’aviazione saudita, impegnata in Yemen a fianco del regime, bombarda le popolazioni civili, distruggendo anche tesori dell’architettura. Bombarderemo l’Arabia saudita? Oppure l’indignazione varia a seconda delle alleanze economiche?

La guerra alla jihad, si dice con tono marziale, si combatte anche in Francia. Ma come evitare che vi cadano dei giovani, soprattutto quelli provenienti da ceti non abbienti, se non cessano le discriminazioni nei loro confronti, a scuola, rispetto al lavoro, all’accesso all’abitazione, alla loro religione? Se finiscono continuamente in prigione, ancor più stigmatizzati? E se non si aprono per loro altre condizioni di vita? Se si continua a negare la dignità che rivendicano?

Ecco: l’unico modo per combattere concretamente, qui, i nostri nemici, in questo paese che è diventato il secondo venditore di armi a livello mondiale, è rifiutare un sistema che in nome di un miope profitto produce ovunque ingiustizia. Perché la violenza di un mondo che Bush junior ci prometteva, 14 anni fa, riconciliato, riappacificato, ordinato, non è nata dal cervello di bin Laden o di Daesh. Nasce e prospera sulla miseria e sulle diseguaglianze che crescono di anno in anno, fra i paesi del Nord e quelli del Sud, e all’interno degli stessi paesi ricchi, come indicano i rapporti dell’Onu. L’opulenza degli uni ha come contropartita lo sfruttamento e l’oppressione degli altri. Non si farà indietreggiare la violenza senza affrontarne le radici. Non ci sono scorciatoie magiche: le bombe non lo sono.

Quando furono scatenate le guerre dell’Afghanistan e dell’Iraq, le manifestazioni di protesta furono imponenti. Sostenevamo che questi interventi militari avrebbero seminato, alla cieca, caos e morte. Avevamo torto? La guerra di Hollande avrà le stesse conseguenze. Dobbiamo unirci con urgenza contro i bombardamenti francesi che accrescono le minacce, e contro le derive liberticide che non risolvono nulla, anzi evitano e negano le cause del disastro. Questa guerra non sarà in nostro nome.

Primi firmatari:

Etienne Balibar, Ludivine Bantigny (storica), Emmanuel Barot (filosofo), Jacques Bidet (filosofo), Déborah Cohen (storica), François Cusset (storico delle idee), Laurence De Cock (storica), Christine Delphy (sociologa), Cédric Durand (economista), Fanny Gallot (storica), Eric Hazan (editore), Sabina Issehnane (economista), Razmig Keucheyan (sociologo), Marius Loris (storico e poeta), Marwan Mohammed (sociologo), Olivier Neveux (storico dell’arte), Willy Pelletier (sociologo), Irene Pereira (sociologa), Julien Théry-Astruc (storico), Rémy Toulouse (editore), Enzo Traverso (storico).

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DISCORSO DI GINO STRADA, PRONUNCIATO DOMENICA SCORSA A STOCCOLMA.

Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili. A Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima volta le vittime delle mine antiuomo. Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette ‘mine giocattolo’, piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette. Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un po’, fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi. Bambini senza braccia e ciechi. Conservo ancora un vivido ricordo di quelle vittime e l’aver visto tali atrocità mi ha cambiato la vita.

Mi è occorso del tempo per accettare l’idea che una ‘strategia di guerra’ possa includere prassi come quella di inserire, tra gli obiettivi, i bambini e la mutilazione dei bambini del ‘Paese nemico’. Armi progettate non per uccidere, ma per infliggere orribili sofferenze a bambini innocenti, ponendo a carico delle famiglie e della società un terribile peso. Ancora oggi quei bambini sono per me il simbolo vivente delle guerre contemporanee, una costante forma di terrorismo nei confronti dei civili.

Alcuni anni fa, a Kabul, ho esaminato le cartelle cliniche di circa 1.200 pazienti per scoprire che meno del 10% erano presumibilmente dei militari. Il 90% delle vittime erano civili, un terzo dei quali bambini. È quindi questo ‘il nemico’? Chi paga il prezzo della guerra?

Nel secolo scorso, la percentuale di civili morti aveva fatto registrare un forte incremento passando dal 15% circa nella prima guerra mondiale a oltre il 60% nella seconda. E nei 160 e più ‘conflitti rilevanti’ che il pianeta ha vissuto dopo la fine della seconda guerra mondiale, con un costo di oltre 25 milioni di vite umane, la percentuale di vittime civili si aggirava costantemente intorno al 90% del totale, livello del tutto simile a quello riscontrato nel conflitto afgano. Lavorando in regioni devastate dalle guerre da ormai più di 25 anni, ho potuto toccare con mano questa crudele e triste realtà e ho percepito l’entità di questa tragedia sociale, di questa carneficina di civili, che si consuma nella maggior parte dei casi in aree in cui le strutture sanitarie sono praticamente inesistenti.

Negli anni, Emergency ha costruito e gestito ospedali con centri chirurgici per le vittime di guerra in Ruanda, Cambogia, Iraq, Afghanistan, Sierra Leone e in molti altri Paesi, ampliando in seguito le proprie attività in ambito medico con l’inclusione di centri pediatrici e reparti maternità, centri di riabilitazione, ambulatori e servizi di pronto soccorso. L’origine e la fondazione di Emergency, avvenuta nel 1994, non deriva da una serie di principi e dichiarazioni. È stata piuttosto concepita su tavoli operatori e in corsie d’ospedale. Curare i feriti non è né generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si deve fare.

In 21 anni di attività, Emergency ha fornito assistenza medico-chirurgica a oltre 6,5 milioni di persone. Una goccia nell’oceano, si potrebbe dire, ma quella goccia ha fatto la differenza per molti. In qualche modo ha anche cambiato la vita di coloro che, come me, hanno condiviso l’esperienza di Emergency. Ogni volta, nei vari conflitti nell’ambito dei quali abbiamo lavorato, indipendentemente da chi combattesse contro chi e per quale ragione, il risultato era sempre lo stesso: la guerra non significava altro che l’uccisione di civili, morte, distruzione. La tragedia delle vittime è la sola verità della guerra.

Confrontandoci quotidianamente con questa terribile realtà, abbiamo concepito l’idea di una comunità in cui i rapporti umani fossero fondati sulla solidarietà e il rispetto reciproco. In realtà, questa era la speranza condivisa in tutto il mondo all’indomani della seconda guerra mondiale.

Tale speranza ha condotto all’istituzione delle Nazioni Unite, come dichiarato nella Premessa dello Statuto dell’Onu: «Salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nell’uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole». Il legame indissolubile tra diritti umani e pace e il rapporto di reciproca esclusione tra guerra e diritti erano stati inoltre sottolineati nella Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta nel 1948. «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti» e il «riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo».

70 anni dopo, quella Dichiarazione appare provocatoria, offensiva e chiaramente falsa. A oggi, non uno degli Stati firmatari ha applicato completamente i diritti universali che si è impegnato a rispettare: il diritto a una vita dignitosa, a un lavoro e a una casa, all’istruzione e alla sanità. In una parola, il diritto alla giustizia sociale. All’inizio del nuovo millennio non vi sono diritti per tutti, ma privilegi per pochi. La più aberrante in assoluto, diffusa e costante violazione dei diritti umani è la guerra, in tutte le sue forme. Cancellando il diritto di vivere, la guerra nega tutti i diritti umani.

Vorrei sottolineare ancora una volta che, nella maggior parte dei Paesi sconvolti dalla violenza, coloro che pagano il prezzo più alto sono uomini e donne come noi, nove volte su dieci. Non dobbiamo mai dimenticarlo. Solo nel mese di novembre 2015, sono stati uccisi oltre 4mila civili in vari Paesi, tra cui Afghanistan, Egitto, Francia, Iraq, Libia, Mali, Nigeria, Siria e Somalia. Molte più persone sono state ferite e mutilate, o costrette a lasciare le loro case. In qualità di testimone delle atrocità della guerra, ho potuto vedere come la scelta della violenza abbia – nella maggior parte dei casi – portato con sé solo un incremento della violenza e delle sofferenze. La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza.

Sessanta anni dopo, ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russel-Einstein: «Metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?». È possibile un mondo senza guerra per garantire un futuro al genere umano? Molti potrebbero eccepire che le guerre sono sempre esistite. È vero, ma ciò non dimostra che il ricorso alla guerra sia inevitabile, né possiamo presumere che un mondo senza guerra sia un traguardo impossibile da raggiungere. Il fatto che la guerra abbia segnato il nostro passato non significa che debba essere parte anche del nostro futuro. Come le malattie, anche la guerra deve essere considerata un problema da risolvere e non un destino da abbracciare o apprezzare.

Come medico, potrei paragonare la guerra al cancro. Il cancro opprime l’umanità e miete molte vittime: significa forse che tutti gli sforzi compiuti dalla medicina sono inutili? Al contrario, è proprio il persistere di questa devastante malattia che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per prevenirla e sconfiggerla. Concepire un mondo senza guerra è il problema più stimolante al quale il genere umano debba far fronte. È anche il più urgente. Gli scienziati atomici, con il loro Orologio dell’apocalisse, stanno mettendo in guardia gli esseri umani: «L’orologio ora si trova ad appena tre minuti dalla mezzanotte perché i leader internazionali non stanno eseguendo il loro compito più importante: assicurare e preservare la salute e la vita della civiltà umana».

La maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell’immaginare, progettare e implementare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino alla completa disapplicazione di questi metodi. La guerra, come le malattie letali, deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente. L’abolizione della guerra è il primo e indispensabile passo in questa direzione. Possiamo chiamarla ‘utopia’, visto che non è mai accaduto prima. Tuttavia, il termine utopia non indica qualcosa di assurdo, ma piuttosto una possibilità non ancora esplorata e portata a compimento. Molti anni fa anche l’abolizione della schiavitù sembrava ‘utopistica’.

Nel XVII secolo, ‘possedere degli schiavi’ era ritenuto ‘normale’, fisiologico. Un movimento di massa, che negli anni, nei decenni e nei secoli ha raccolto il consenso di centinaia di migliaia di cittadini, ha cambiato la percezione della schiavitù: oggi l’idea di esseri umani incatenati e ridotti in schiavitù ci repelle. Quell’utopia è divenuta realtà. Un mondo senza guerra è un’altra utopia che non possiamo attendere oltre a vedere trasformata in realtà. Dobbiamo convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l’idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell’umanità.

Ricevere il Premio Right Livelihood Award incoraggia me personalmente ed Emergency nel suo insieme a moltiplicare gli sforzi: prendersi cura delle vittime e promuovere un movimento culturale per l’abolizione della guerra. Approfitto di questa occasione per fare appello a voi tutti, alla comunità dei colleghi vincitori del Premio, affinché uniamo le forze a sostegno di questa iniziativa. Lavorare insieme per un mondo senza guerra è la miglior cosa che possiamo fare per le generazioni future“.

Il Manifesto – 27/11/15 (Traduzione di Marinella Correggia)

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Augusto CAVADI – MOSAICI DI SAGGEZZE. Filosofia come nuova antichissima spiritualita’, Ed. Diogene, Bologna 2015

Al lettore

Nell’ordito della filosofia occidentale si intrecciano trame di spiritualità, al punto che insieme costituiscono un tessuto illacerabile. In questo libro aspirerei a presentare una possibile spiritualità filosofica da vivere sia in quanto soggetti individuali sia, soprattutto, in quanto aggregati sociali. Ma una spiritualità non nasce, bella e adulta, come Atena dalla testa di Zeus: si costituisce e si configura lungo i secoli, attraverso una tradizione. Con spinte pionieristiche in avanti, sbandate, arretramenti, faticose correzioni di marcia… Hai dunque sotto gli occhi il testo di un autore che, pur mettendosi in gioco in prima persona, parla più spesso da portavoce che da titolare. Ciò spiega l’abbondanza delle citazioni letterali dai “classici” della storia del pensiero: non certo per sfoggio di erudizione. Sono piuttosto le piccole portate di un menù degustativo che ha la sola ambizione di suscitare appetiti: curiosità più ampie e desideri più intensi. Citare è un po’ ripetere: ma non dicevano i Latini che repetita iuvant? E non si potrebbe adattare al nostro caso la proposta di Peter Handke (nel suo Il cinese del dolore) di intendere ripetizione come sinonimo di ritrovazione (un ritrovare ciò che si era perduto per farne risorsa creatrice di futuro)?

Può darsi che proprio questa nolontà di originalità conferisca alle pagine che seguono un tocco, imprevisto, di… originalità. Ma non è questo l’essenziale per un libro che intende accompagnare l’esistenza umana con un po’ di luce, di calore e – là dove possibile – di sereno umorismo.

Se non rischiassi di suggerire un accostamento irriguardoso, o addirittura risibile, farei mia una dichiarazione di Plotino: “Questi discorsi non sono una novità, non sono di oggi, ma sono stati fatti da lungo tempo, sia pure non esplicitamente, e i nostri ragionamenti attuali si presentano solo come interpretazione di quelli antichi, con testi che ci garantiscono che queste dottrine sono antiche” (Enneadi, V, 1, 8, 10-14). Meno arditamente, mi accontento del prestito di alcune righe dal commiato di Gerd Achenbach dai lettori del suo Il libro della quiete interiore: “Così ho scritto questo libro, che mi ha dato gioia, poiché in esso i miei amici hanno preso la parola e posso sperare che presto diventeranno anche i vostri amici (se non lo sono ancora)”.

Augusto Cavadi

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Annamaria TAGLIARETTI, Il treno sta per arrivare, Freeman ed., Busto Arsizio 2015, € 12,00

Lucia è una donna di mezza età, coniugata, con tre figli adulti. Cresciuta nell’indifferenza e nel disamore dei genitori, si innamora e si sposerà giovanissima con un “bel moretto dagli occhi di fuoco”, che renderà un inferno la sua vita e quella dei suoi figli. Il suo temperamento caldo ed esuberante le permetterà di sopportare anni di violenze fisiche e psicologiche accanto ad un uomo abbrutito dall’alcol e incapace di amore e di rispetto; oltre a lei, i suoi figli saranno le prime vittime dell’accanimento cieco del padre.

Lucia galleggia sopra il girone dantesco che è la sua vita, a volte inconsapevole, a volte disperata, altre rassegnata, quasi mai in grado di cogliere l’orrore del suo rapporto coniugale e incapace di prendere in mano la sua vita e quella dei suoi figli. Finché, in una notte di follia, la situazione precipita: Lucia si ritrova improvvisamente libera, ma avrà bisogno ancora di tempo per decidere infine che la salvezza arriverà da quel treno che la porterà lontano, verso il riscatto e la riconquista della sua dignità.

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COMUNITA’ CRISTIANA DI BASE DI PIOSSASCO

– sabato 12 dicembre h15 gruppo biblico: riflessione sulla lettera di Giacomo;

– sabato 19 dicembre h 18,30 eucarestia di Natale

Gli incontri si svolgeranno da Maria Grazia Bondesan e Giorgio Violato

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