2^ di Quaresima

Un nuovo orizzonte alla sequela di un perdente

Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù. Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!». Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell’ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!». E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti (Marco 9,2-10).

Questa pagina del vangelo di Marco è inserita subito dopo l’annuncio della passione e le chiare condizioni per seguire Gesù. Anche gli evangelisti Matteo e Luca riportano questo episodio, sempre dopo il primo annuncio della passione.

Discepoli e discepole di un perdente

Innanzitutto occorre considerare che non siamo davanti ad una cronaca, ma davanti a un quadro teologico, a una narrazione costruita per trasmettere un messaggio di fiducia in un momento molto difficile per i discepoli. Infatti i dubbi, l’ansia e molti interrogativi stavano tormentando chi si era messo alla sequela di Gesù.

Se la prospettiva che si stava delineando era quella di una imminente fine disastrosa del loro Maestro (quando gli evangelisti scrivono Gesù è già stato crocifisso), che li aveva così tanto appassionati a una visione nuova della vita, a pratiche di amore e di giustizia… come potevano elaborare l’annuncio della passione e della morte? Come potevano avere fiducia e continuare a seguire Gesù, se la prospettiva era quella del fallimento?

Nel gruppo dei discepoli e delle discepole molto probabilmente questi interrogativi erano ricorrenti ed incalzanti. Gesù, con i suoi comportamenti e con il suo insegnamento, aveva dato fastidio e suscitato opposizione, perchè aveva toccato troppi interessi e denunciato svariate ipocrisie. Aveva coltivato amicizie pericolose con pubblicani, peccatori, prostitute: gente impura ed emarginata. Inoltre aveva sempre parlato chiaro, denunciando soprusi e incongruenze.

Che cosa sarebbe successo, si domandava il gruppo di discepoli, a chi fosse andato fino in fondo su questa strada, alla sequela di un profeta ormai sconfitto?

Un nuovo orizzonte

Dunque il brano della trasfigurazione narra come episodio storico un evento che è avvenuto nel cuore di questi uomini e di queste donne. Essi, aiutati da Gesù di Nazareth (“li conduce sopra un monte alto, in disparte, da soli”), possono scoprire un orizzonte nuovo.

I loro cuori “ricoperti dall’ombra della nube”, che è il simbolo dell’azione ristoratrice di Dio, si aprono a una “voce” (v. 7) che li tocca in profondità: “Questo Gesù che voi ritenete ormai sconfitto e avviato verso la morte violenta… è in realtà il mio figlio, che tanto amo. Ascoltatelo, perché è il testimone fedele, colui al quale ho affidato il compito di indicarvi la strada…”.

L’espressione “figlio di Dio” non era sconosciuta a quei credenti di fede ebraica; non significava che Gesù fosse un essere divino, ma indicava, come per altri profeti, la persona alla quale Dio affida una missione particolare.

La comunità di Marco sa quanto è faticoso proseguire sulla strada di Gesù. Ma Dio apre gli occhi della fede ai discepoli: Gesù, il perdente, è il “trasfigurato”, cioè acquista per loro un significato nuovo. Anziché essere scandalizzati e abbandonarlo, essi capiscono che devono “ascoltarlo”.

E’ l’azione di Dio che è entrata nei loro cuori e ha messo Gesù in una nuova luce per le loro vite. Gesù, come Mosè ed Elia, è il testimone fedele della volontà di Dio, è colui che prosegue il loro cammino. E allora… cercheranno ancora di seguirlo, anche se hanno già iniziato a prendere coscienza che la strada di Gesù si farà di giorno in giorno più difficile e più impegnativa.

Rendere concreto l’Amore percepito nella relazione con Dio

Dal vangelo sappiamo che Gesù sovente sale sul monte, ma per ridiscendere subito dopo nella mischia. E’ come se cercasse Dio affinché lo accogliesse per consolarlo, per sostenerlo… per poi restituirlo alla sua quotidianità.

Mi sembra che si possa paragonare al bisogno di coccole di un bimbo o di una bimba che cerca rifugio tra le braccia della mamma, ma che, dopo un tempo di relazione profonda, torna ad allontanarsi da questa intimità, per crescere e per assumersi gradualmente le sue responsabilità. Gesù, dunque, scende dal monte e si coinvolge appassionatamente nella vita concreta, incontra uomini e donne reali, porta un messaggio straordinario.

Gesù ci parla di Dio come Colui/Colei che si prende cura e dà valore a coloro che, agli occhi umani, nella logica del patriarcato, non hanno né potere né riconoscimento. Solo mettendo al centro “il più piccolo” si può cercare di non dimenticare nessuno. E si può sperare di trasformare in amore e rispetto ogni relazione che, invece, oggi è basata sul proprio tornaconto personale.

Dove possiamo rendere visibile questo messaggio di amore e di giustizia? Scendendo dal monte, cioè nella quotidianità delle nostre vite. E’ lì che dobbiamo cercare di rendere visibile l’Amore, la Sorgente della vita, la prospettiva di “cieli nuovi e terre nuove”. Era così per Gesù e così sarà anche per i discepoli e le discepole di ogni giorno.

E allora per noi può significare andare “contro corrente”, osare dei piccoli atti di coraggio quotidiani, pensare e cercare insieme alternative concrete ai sistemi che procurano povertà e praticano la violenza, come il capitalismo e il patriarcato che sono, secondo me, due facce della stessa medaglia.

Carla Galetto

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