19^ Domenica del T.O.

Vita eterna è vivere con amore

Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?». Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Giovanni 6, 41-51).

Quello di Giovanni si presenta come Vangelo, ma è teologia. Come gli Atti degli Apostoli, le lettere di Paolo e degli altri, i Vangeli apocrifi… sono tutti testi di teologia, elaborazioni diverse intorno alle parole di Gesù e alle esperienze fatte da discepoli e discepole che lo avevano seguito sulle strade di Palestina.

Il Vangelo di Giovanni, in questo senso, è un documento quasi insuperabile. Prendiamo il capitolo 6, da cui è estrapolato il brano di oggi: mentre i Sinottici raccontano con sobrietà le cosiddette “moltiplicazioni di pani e pesci”, Giovanni ne trae lo spunto per mettere in bocca a Gesù un lungo discorso sul suo corpo come cibo di vita eterna.

Si rende conto, per la verità, che si tratta di un discorso difficile e lo documenta riferendo della defezione di “molti dei suoi discepoli” (v 66) che trovarono “duro” quel linguaggio (v 60). Chissà quanto sarà stato duro anche per la comunità di Giovanni! Chissà quante discussioni, quante domande, quanti dubbi!.. Ma poi lui l’ha messa per iscritto così e così ci arriva ancora oggi, dopo quasi duemila anni. E c’è scritto che, a differenza di quelli che gli hanno voltato le spalle, i dodici hanno resistito, anche se non capivano molto (vv 68-69)… Quanta dottrina ci hanno poi costruito sopra i loro autoproclamatisi successori, convinti di aver capito tutto!

Già qui, nel quarto Vangelo, Gesù non è più “il figlio di Giuseppe” (v 42) e di Maria, ma è ormai l’unigenito figlio di Dio, come recita il Credo che ogni domenica viene ripetuto a voce alta anche da chi, come quei discepoli e gli stessi dodici, non ne capisce il senso. Ma resta la carta d’identità di ogni cristiano/a cattolico/a. A ripeterlo così, ogni domenica per tutta la vita, finisci certamente per crederci ciecamente e per giudicare, di conseguenza, ateo/a e non cristiano/a chi sviluppa un pensiero e una fede diversa.

D’accordo: non sono più un cristiano cattolico. Penso che cristianesimo e cattolicesimo siano una dottrina, una cultura, addirittura una civiltà… Ma il Vangelo? Il messaggio di Gesù?… Siamo sicuri che coincida con la dottrina cristiana? Con la teologia ortodossa elaborata a partire da “san” Paolo e da “san” Giovanni? Io ne dubito e per questo sento di poter essere discepolo e seguace di Gesù pur non essendo più cristiano né, tantomeno, cattolico. Vivo la mia fede confrontandomi costantemente con uomini e donne non solo all’interno di una comunità di base, ma anche leggendo e approfondendo con chiunque ami pensare con la propria testa.

Giovanni è uno di questi e credo che gli si faccia torto, a lui e a tutti gli altri autori biblici, concludendo la lettura liturgica di qualsiasi brano con l’affermazione: “E’ parola di Dio!”. In realtà penso che non sia niente più che parola di Giovanni e come tale la interrogo.

Cosa mi dice, allora, il capitolo 6 e, in particolare, il brano su cui siamo invitati/e a meditare oggi?

1) Alla samaritana (Gv 4,14) Gesù dice: “Chi beve l’acqua che io gli darò non avrà sete in eterno” e “molti credettero per la sua parola” (4,41). L’acqua di vita è la parola di Gesù, che suscita la fede in chi l’ascolta: “L’acqua che io gli darò diverrà in lui fonte d’acqua zampillante per la vita eterna” (4,14). Là l’acqua, qui il pane. Nel cap. 6 “il pane della vita” è Gesù stesso, come “l’acqua della vita” è la sua parola.
La sua parola è lui: non si possono scindere. Chi parla con verità e vive con coerenza è ciò che dice. Vale per chiunque, anche se nel Vangelo di Giovanni questa identificazione è prerogativa esclusiva di Gesù, perché è l’unico “che viene da Dio” e “ha veduto il Padre” (6,46). Per questo chi accoglie in sé l’insegnamento di Dio “viene a Gesù”: perché vi è “attratto” dal Padre.

2) Questa identificazione tra Gesù e la sua parola è accettabile; ma è stata anche fonte di un tragico equivoco. Mentre la parola di Gesù ci chiede amore e giustizia in tutte le relazioni, la teologia funzionale al potere ha fatto di Gesù un idolo, chiedendoci di trasformare la fede in atti di culto: avremo la vita eterna se crediamo che Gesù è Dio, non se cerchiamo di vivere come lui ci ha insegnato con la parola e l’esempio.

3) Chi afferma che la cristologia di Giovanni è parola di Dio si arroga il diritto indiscutibile di trasformare la propria interpretazione della parola di Giovanni in un dogma assoluto e immutabile. Ma questo è contestabile: dovremmo per lo meno confrontarci sul senso da dare alle parole “in eterno” – “vita eterna” – “chi mangia di questo pane non muore”…

Gesù ha provato a insegnare a uomini e donne a trovare da sé risposte concrete ai grandi bisogni di pace e di giustizia che sentivano e sempre sentiranno urgere dentro. Aveva fatto loro toccare con mano che, dividendo generosamente il poco che ciascuno/a ha, tutti e tutte possono mangiare a sazietà. Quelli invece volevano farlo re perché era bravo a moltiplicare per mille pochi pani e pochi pesci. Non avrebbero più avuto problemi di sopravvivenza… Il dogma cattolico pretende ugualmente di offrirci risposte “magiche”: se crediamo che Gesù è Dio avremo la vita eterna.

Quel “pane di vita”, simbolo di condivisione, servizio e solidarietà, è diventato un’ostia da consumare come una polizza di assicurazione per l’eternità individuale. Mentre Gesù, spezzando il pane e lavando i piedi ai discepoli durante la sua ultima cena pasquale (Gv 13), voleva verosimilmente far capire a discepoli e discepole che credere è “fare la volontà di Dio” (6,38-39) e che l’unica strada per fare ciò è amare, condividere, vivere e testimoniare coerenza a uomini e donne, a costo di lasciarci la pelle. Non ci ha consegnato un rito da ripetere, ma un esempio di vita coerente da seguire e imitare, cercando a tutti i costi la giustizia in nome dell’amore, cioè di Dio.

4) La “vita eterna”, dunque… E’ l’immortalità dell’anima individuale dopo la morte del corpo? O ci dice che il creato e ogni creatura vivranno in eterno solo se incarneranno con coerenza la “volontà del Padre”: l’amore nelle relazioni? Una vita impastata di amore, giustizia, condivisione, rispetto reciproco, convivialità di tutte le differenze… non è forse la vita che vorremmo vivere in eterno, senza fine? Mentre l’egoismo e l’ingiustizia non mettono forse bruscamente fine a questo ideale di vita? E cosa insegna Gesù, nei capitoli 13-17 che Giovanni dedica al suo appassionato commiato dai discepoli, prima di morire, se non “che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato” (15,12)?

Finalmente, nel cap. 17 Giovanni ci spiega che cosa intenda per “vita eterna”: “che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (17,3). Credo che possiamo serenamente escludere che Gesù potesse parlare di sé con la locuzione “Gesù Cristo”; quindi possiamo altrettanto serenamente intendere questo versetto come parola di Giovanni, non di Gesù. Verosimilmente era ormai una formula della preghiera comunitaria…

E cosa mi dice? Che la “vita eterna” non è ciò che ci aspetta dopo la morte, ma è l’esperienza di vita che Gesù e Giovanni ci invitano a fare nel qui e ora della nostra individuale e comunitaria quotidianità. Questa è la vita senza fine, che Gesù e Giovanni ci augurano: se viviamo secondo Dio e secondo il messaggio evangelico di Gesù. “Conoscere Dio” non è esperienza intellettuale o estatica, ma incarnazione del suo grande comandamento d’amore.

E’ certamente difficile anche per noi, non solo per i suoi contemporanei, capire il linguaggio “duro” che Giovanni mette in bocca a Gesù; ma questo non giustifica il fatto che i gerarchi delle chiese cristiane abbiano scelto di imporre come verità unica e indiscutibile la propria interpretazione.

Sulla strada di Paolo, di Pietro, di Maria, di Giovanni e di ogni discepolo e discepola del profeta di Nazareth, anche noi siamo chiamati/e, in nome della libertà dei figli e delle figlie di Dio, a cercare la nostra personale e comunitaria interpretazione, che, per me, significa “incarnazione”, del messaggio evangelico: è vita eterna solo una vita vissuta con amore, secondo la volontà e la legge di Dio. Questo mi dice Giovanni, che ha molto riflettuto sulle parole e sulla vita di Gesù.

Beppe Pavan

One comment

  1. Sono perfettamente d’accordo con questa interpretazione. Grazie per avercela consegnata in maniera seriamente approfondita e rispondente al bisogno profondo di chi si interroga quotidianamente.

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