4^ Domenica di Avvento

“Ti saluto, o favorita dalla grazia”

Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l’angelo partì da lei (Luca 1, 26-38).

La leggenda raccontata in questi versetti è davvero molto bella e significativa. Questi racconti, altamente poetici, vogliono indirizzare il nostro sguardo verso Gesù. Lo fanno con un processo di “retroproiezione”, cioè attribuiscono alle origini del nazareno ciò che la comunità primitiva ha poi compreso in seguito circa la funzione, la missione e la persona di Gesù.

Non c’è dunque nessun dogma mariano, tanto più che il versetto 28 nel testo greco non può essere tradotto con “piena di grazia”, ma con “tu sei stata fatta oggetto di un dono gratuito”. Al centro non c’è affatto un “privilegio” di Maria, ma l’azione di Dio che prende l’iniziativa. Per dire che Gesù è il Suo testimone più eccellente, il Suo messaggero, il “figlio”, vengono utilizzati i miti dell’annuncio e della nascita verginale.

Il centro del quadro sta però nel fatto che Dio continua ad avvicinarsi a noi e lo ha fatto in maniera per noi cristiani unica ed irripetibile nella vita di questo artigiano di Nazareth chiamato Gesù. La stessa metafora “figlio di Dio”, nell’accezione biblica, indica non una generazione divina, ma la funzione che Dio gli ha assegnato.

Maria di Nazareth è, qui, una figura paradossale, di quel paradosso con cui Dio spesso sconvolge la storia e le nostre convinzioni. Al tempo di Maria le donne contavano poco; proprietà del maschio, alla loro ombra erano costrette a vivere una non-vita: discriminate e maltrattate, sfruttate e calpestate, senza nessuna libertà. Una discriminazione che le donne subiranno per tanti secoli ancora.

Se una donna restava vedova era costretta alla fame e alla miseria, perché non le era permesso lavorare se non in casa; se aveva figli o rapporti sessuali fuori dal matrimonio veniva barbaramente lapidata. La parola di una donna valeva meno di niente: occorreva la testimonianza di ben sette donne per contrastare quella di un uomo; e se la madre portava avanti la gravidanza per nove mesi, era il padre a legare il figlio ad una casata. Il maschio aveva potere di vita e di morte sulla donna, come troppo spesso è avvenuto e avviene nella storia dell’umanità.

Maria è una ragazzina palestinese del tutto ordinaria e nient’affatto speciale o particolarmente meritoria. Quando Dio sceglie, è inutile specularne il perché o fantasticare sui presunti meriti che la persona scelta avrebbe. Il più delle volte il senso dell’agire sovrano di Dio è del tutto insondabile, ma possiamo stare certi che la cosa è sempre ben fatta. Ciò che Dio si propone di fare, Egli lo porta sempre a perfetto compimento avvalendosi dei mezzi necessari per realizzarlo.

Ma Dio sconvolge queste convinzioni radicate nella società ebraica e camuffate da precetti religiosi, di una religione che fa dire a Dio tutto quello che ci fa più comodo ascoltare; Dio, invece, contro ogni logica umana, sceglie proprio una donna. È in questa ottica che la verginità di Maria assume un valore altissimo e simbolico. Quando nel giardino di Eden l’uomo aveva “cavallerescamente” scaricato la colpa del peccato sulla donna, Dio aveva detto a Eva: “Moltiplicherò i tuoi dolori, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà”.

Dio “smentisce” quello che gli uomini gli avevano messo sulla bocca e “restituisce la dignità” a Eva, perché si fida esclusivamente di una donna, una piccola donna di Nazareth, una povera perché donna: in lei la femminilità è recuperata ed esaltata da un Dio che solo i maschi hanno deciso essere maschio.

Dio mette la salvezza dell’umanità nelle mani di una donna (e attraverso lei di tutte le donne), nelle mani di chi non conta niente mette le cose che contano; si fida sempre di coloro dei quali la maggioranza non si fida: chi non aveva diritto di testimoniare diventa testimone per eccellenza; anzi, il Vangelo di Gesù, la buona notizia per l’umanità, viene racchiuso entro le testimonianze di due donne: Maria di Nazareth e Maria di Magdala che vede il Risorto e ne dà testimonianza ai discepoli.

Maria, dunque, rimane stupita ed all’inizio incredula quando riceve l’annuncio che miracolosamente resterà incinta e darà alla luce Colui che sarà chiamato “Figlio dell’Altissimo” e il cui regno “non avrà mai fine”. Anche in questo caso è la sovranità e la potenza di Dio che realizzerà quest’opera umanamente impensabile. Non solo quest’opera le sembra impossibile (a Dio tutto è possibile), ma Maria stessa si chiede perché mai proprio lei sia stata scelta per questo compito.

Che la scelta di Dio non si basi su meriti o di dignità della persona in questione, è chiaro dalle parole stesse dell’angelo: “Ti saluto, o favorita dalla grazia” (28). Quando si parla di grazia, infatti, si parla sempre di un favore immeritato. Se, infatti, fosse cosa dovuta alla dignità o meriti della persona stessa, la Scrittura non userebbe il termine “grazia”, “…se è per grazia, non è più per opere; altrimenti, la grazia non è più grazia” (Ro. 11:6). Maria “ha trovato grazia presso Dio” (30).

E’ la stessa sorpresa che coglie oggi il credente che si sente personalmente “chiamato da Dio”: “Perché sono giunto a questo punto? Perché occuparsi proprio di me? So di non esserne degno”. Beh, sei stato favorito dall’insondabile e sovrana grazia di Dio. Come non esserne allora eternamente riconoscenti? Come non consacrare la propria vita con fiducia a Colui che ci ha fatto una tale grazia? Come non rispondere con Maria: “Ecco, sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola!”. “Faccio tacere in me ogni domanda, so che posso fidarmi e, per quanto difficile possa essere seguire la via che il Signore mi indica, io so che non ne resterò delusa e che sarà sempre per il meglio. Iddio sa che cosa sta facendo e non oserei mai contestarlo.

Angelo, che significa messaggero, è una figura. Per Agostino di Ippona, “angelo” è la definizione di un compito, non di un essere. Siamo nel mondo delle immagini e dei significati. Questo angelo Gabriele (= forza di Dio) è il segno di Dio che cerca la terra e le Sue creature, che ci annuncia il Suo amore, che getta ponti verso di noi, che continua a inviarci messaggi e a fare progetti per noi e con noi.

Dio sembra preoccupato che sopra di noi il cielo si chiuda, che noi non riusciamo a guardare verso di Lui, che la ressa delle cose e il frastuono delle voci rendano impercettibile il brusio della Sua voce. L’angelo viene ad aprire un varco, a tenere aperta una comunicazione, ad annunciare ai cuori che Dio non è una sorgente disseccata.

Le simbologie luminose e piene di meraviglia che accompagnano le apparizioni angeliche in tutti i miti delle religioni, contengono un messaggio prezioso: Dio ha ancora in serbo per noi qualcosa di nuovo, di meraviglioso, di altro, oltre la nostra routine. La figura dell’angelo è un invito a sognare i sogni di Dio restando però saldamente ancorati alla terra.

Perchè la nostra vita sia feconda occorre che tra cielo e terra non si interrompa mai la comunicazione, il dialogo. Oggi questa immagine non è per nulla diventata insignificante. Troppe luci fatue, troppo rumore possono spegnere la luce e la voce di Dio. Siamo talmente esposti alla tentazione di concentrarci sulle cose da non alzare più gli occhi, da trascurare il dialogo con Dio.

Il teologo Anselm Grün ricorda che “in tutte le religioni incontriamo il motivo di un angelo che promette la nascita del figlio di Dio. E’ un’immagine archetipa che riveste importanza anche per noi oggi”. Chi nasce è sempre “figlio dell’Altissimo” ed ha un compito importante in questo mondo.

Ma, secondo lo stesso Autore, il simbolo dell’angelo è aperto ad ulteriori significati. Per Maria e Giuseppe (Luca 1-2 e Matteo 1-2) l’angelo è il simbolo di Dio che affida un compito e poi ci accompagna nel compierlo. E’ il messaggio della vicinanza di quel Dio che molto spesso sentiamo lontano o assente.

E prosegue Grün: “E’ questa la vocazione di tutti: trasformarci gli uni per gli altri in angeli che aprono il cielo agli altri e comunicano loro la vicinanza di salvezza e di amore di Dio”: è molto importante essere attenti/e agli “angeli in carne ed ossa” che incontriamo sul nostro cammino.

Angeli che ci aiutano a guardare verso Dio, che ci sollevano nei momenti di angoscia, che si avvicinano nelle ore dell’incertezza, che ci svegliano – come successe ad Elia – quando siamo scoraggiati o demotivati, che ci richiamano alla realtà quando fuggiamo dalle nostre responsabilità o ci rinchiudiamo nell’egoismo.

Anche nella nostra vita abbiamo incontrato e incontreremo persone, gruppi ed esperienze che saranno per noi delle vere “apparizioni angeliche”. Il rischio di non accorgercene o di rimanere sordi al messaggio è assai reale tanto più che molto spesso gli “angeli e i profeti si riconoscono quando sono passati”, quando sono morti.

Paolo Sales

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