Lunedì 2 aprile 2012 – Vangelo di Matteo cap. 13,53 – 14,36

Introduzione

Inizia una nuova sezione che va dal cap. 13,53 al 18. Poi Gesù partirà dalla Galilea per la Giudea, al di là del Giordano.

In questa sezione aumentano le ostilità verso Gesù da parte dei farisei e della stessa folla, che lo spingono a ritirarsi verso località più sicure o più appartate.

Restano in sua compagnia i discepoli e le attenzioni di Gesù sono rivolte particolarmente verso di loro.

 

13,53-58: Gesù respinto a Nazareth

Al termine delle “parabole del Regno” si evoca nuovamente la famiglia di Gesù (cfr. 12,46-50). I commenti degli abitanti di Nazareth indicano l’incapacità di comprenderne il messaggio: anziché suscitare stupore e riconoscenza, causa irrequietezza e disagio. Essi credono che si possa giudicare una persona dalla sua famiglia biologica. Condividono il messianismo corrente, politico, trionfalistico e trovano assurdo che il messia sia il povero figlio del falegname che essi conoscono. Tutti conoscono i suoi parenti e ne vengono pure ricordati i nomi (sono nomi di persone che hanno ricoperto funzioni importanti nelle comunità delle origini…). Gesù si limita a prendere atto del loro rifiuto e Matteo si richiama a un proverbio di sapienza popolare: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria e in casa sua».

 

14,1-12: la morte del Battista

Continua l’interesse per l’identità di Gesù. L’equiparazione di Gesù al Battista riferiva un’opinione che circolava anche nel popolo (16,14). Qui è riferito a Erode che, secondo Marco, stimava il Battista. Marco entra più nei dettagli, mentre Matteo ne ricorda il motivo dell’arresto e dell’uccisione: un profeta non può essere catturato se non per il disturbo che arrecano le sue parole e le sue proteste.

Se il Battista e Gesù si fossero limitati a condannare il male (come facevano i filosofi) e non coloro che lo compivano, non sarebbero stati perseguitati e uccisi.

Mentre in Marco Erode viene presentato come succube della concubina, qui è invece Erode che cerca di uccidere Giovanni (v. 5). Erode è come suo padre, che aveva compiuto il massacro dei neonati costringendo i genitori a portarlo in salvo con la fuga.

Le donne narrate in questo brano sembrano le principali responsabili della morte del Battista. Matteo le addita come perverse e senza scrupoli, scaricando su di loro la responsabilità per ciò che accade. “L’ingresso delle donne nella sfera politica è descritto in un modo generalmente negativo: esse possono pervertire ciò che non è necessariamente dannoso, e possono peggiorare, ma non migliorare, ciò che è già cattivo. Tale descrizione è coerente con il progetto globale di Matteo. Il servizio è il segno del vero discepolato, e non il potere esercitato sull’altro. L’ingresso delle donne, e in realtà di chiunque, nella politica secolare non può fornire, per Matteo, alcuna redenzione né sociale né spirituale” (La Bibbia delle donne, vol. III, pag. 20).

 

14,13-21: il miracolo della condivisione

Questo brano viene riportato ben sei volte (2 in Marco, 2 in Matteo, 1 in Luca e 1 in Giovanni). Anche in 2Re 4,42-44 Eliseo aveva provveduto i discepoli di un pane miracoloso.

Come abbiamo detto tante volte, qui viene narrato il miracolo della condivisione. Se ciascuno/a condivide quello che ha, nessuno rimarrà a pancia vuota. Gesù può proporre una simile pratica perchè “si mosse a compassione” (v. 14). E’ questo atteggiamento, “patire con”, che induce al superamento dell’individualismo del “si salvi chi può”.

A differenza degli altri Evangelisti, Matteo sottolinea che i discepoli hanno il compito di provvedere, in prima persona, alle necessità della folla: “date loro voi da mangiare!”, che vede il suo parallelo in “Fate questo in memoria di me”.

La macabra immagine della testa di Giovanni su un piatto è sostituito dal cibo dato ai cinquemila (14,13-21); il pasto dell’orrore cede il posto al presagio del banchetto messianico. La presenza di donne e bambini ai pasti miracolosi, esplicitamente sottolineata, contrasta con la presenza di Erodiade e di sua figlia alla festa di Erode. Le donne e i bambini non sono inclusi fra i cinquemila e i quattromila uomini, ma menzionati “oltre” a loro (14,21; 15,38b), e indicano perciò sia la prospettiva androcentrica di Matteo, sia l’attrattiva del messaggio di Gesù. La loro presenza sarà evocata nel capitolo seguente, quando Gesù compie un miracolo non per la comunità ebraica, ma per una donna pagana e sua figlia” (La Bibbia delle donne, vol. III, pag. 20).

 

14,22-33: dalla diffidenza alla fiducia

E’ una narrazione a sfondo storico, che riguarda la comunità e i suoi vari componenti. Gesù sale sul monte a pregare dopo il bagno di folla. Matteo presenta raramente Gesù in preghiera. E’ inconsueto anche il fatto che si trovi solo lassù, mentre i discepoli stanno navigando sul lago. C’è una burrasca: i momenti critici della comunità sono quelli in cui i discepoli sentono Gesù lontano, assente. Matteo modifica il racconto di Marco per inserire la vicenda di Pietro, che troviamo solo qui.

Che significato può avere questo “camminare sulle acque”? Credere oltre il visibile e il razionale? Saper stare “fuori” dalle logiche del buon senso comune?

Gesù stende la mano verso Pietro: questo passo suggerisce l’importanza di farsi aiutare e lasciarsi trarre fuori dalle acque che lo (ci) sommergono. Pietro passa dalla diffidenza alla fiducia e si affida a Gesù.

La fede non risparmia difficoltà, prove, dolore… Matteo crede che la sua comunità, anche se in difficoltà perchè divisa e perseguitata, sarà salvata da Gesù, nel tempo del suo ritorno.

Il v. 33 presenta la nuova comunità di credenti che ha superato la prova, stretta intorno a Gesù (il figlio di Dio). Egli sa amare, ricambiato dall’amore del Padre. “Figlio di Dio” è l’appellativo che la comunità di Matteo attribuisce ormai a Gesù.

 

14,34-36: parola e pratiche

Il capitolo si chiude con un’annotazione geografica e un sommario di guarigioni. La missione di Gesù (profeta e terapeuta) viene ricordata ai suoi discepoli: il suo compito è annunziare il vangelo del Regno, non come dottrina, ma come pratica di amore e di giustizia, dove la sofferenza, il dolore e le malattie devono finire.

La parola deve sempre essere legata alle pratiche di guarigione e di liberazione.

 

Riflessioni nel gruppo

  • La paura (tempesta sul lago) è la prima barriera che ci impedisce di realizzare un desiderio in cui crediamo molto. Gesù ci invita a renderci consapevoli delle nostre paure, per non soccombere ad esse, ma per elaborarle e, quando possibile, superarle. I discepoli evidentemente non avevano la personalità di Gesù: la loro fiducia era fragile, limitata; Pietro è sempre presentato come “uno di noi”, tra alti e bassi… Questa è la condizione di ogni discepolo/a.
  • Nasce una domanda: come è potuto accadere che un fatto avvenuto nel palazzo di Erode sia “uscito” e si sia venuti a conoscenza dei dettagli?

Il giudizio di Giovanni su Erode non è una condanna totale, ma sul solo adulterio: quella di Giovanni voleva essere una relazione di correzione. Viceversa Matteo sembra dimostrarsi misogino: punta il dito sulle due donne, indicandole come responsabili. Anche se è verosimile che talvolta, alle corti dei potenti e non solo, ci siano donne intriganti e senza scrupoli, questo non può essere per noi un modello: il cambiamento avviene partendo ognuno/a da sé, non puntando il dito contro gli altri e le altre.

Carla Galetto

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