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13^ domenica del T.O. – CdB – Comunità Cristiana di Base Viottoli

13^ domenica del T.O.

Ed egli lo diede alla madre

In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e una gran folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: “Non piangere!”. E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: “Giovinetto, dico a te, alzati!”. Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: “Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo”. La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione. (Luca 7,11-17)

Il vangelo della prima domenica della ripresa del tempo ordinario è un racconto di miracolo: la risurrezione del figlio della vedova di Nain.

Il brano è contenuto solo in Luca al cap. 7 preceduto da un altro racconto di miracolo: la guarigione del centurione di Cafarnao. I due racconti in sequenza costituiscono un crescendo che ha la funzione di esplicitare la funzione messianica di Gesù tanto che il brano seguente (vv 18 e seg.) è la domanda di Giovanni il battista: “Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?”. A questa domanda Gesù non risponde con un si o con un no ma con i fatti: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella” (7,22). La collocazione dei due racconti di miracolo all’inizio del cap. 7 prepara la risposta di Gesù all’interrogativo di Giovanni.

Nain è un piccolo villaggio della Galilea a sud di Cafarnao e Nazareth. Al seguito di Gesù ci sono i discepoli e “grande folla”. Alle porte della città incontrano un corteo funebre: “veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei” (v 12). Molte persone sono presenti al fianco di Gesù e della madre. Due folle che cercano qualcosa: l’una il senso delle parole e dei gesti di Gesù, l’altra il senso di un evento così insensato come la morte dell’unico figlio di una vedova.L’essere vedova a quel tempo poneva la donna in una condizione di grande difficoltà tanto da farla rientrare nelle categorie bibliche dei deboli per antonomasia: l’orfano, la vedova e lo straniero; era una condizione che esponeva la donna, soprattutto se non aveva parenti, al rischio di perdere il proprio ruolo sociale, la propria identità e la propria dignità.
Per quella vedova si era rotto l’ultimo filo che la legava al futuro: il figlio che crescendo, avrebbe potuto esserle al fianco, ripopolare la casa con una nuova famiglia. Cosa le restava da sperare? Che senso avrebbe avuto il proprio futuro? Forse erano proprio queste le domande che si ponevano gli abitanti di Nain che erano con lei in quel momento. Non è forse la domanda che tutti e tutte ci poniamo di fronte all’assurdità di certe morti?

Circa settecento anni prima a Sarepta, nella regione di Tiro e Sidone, successe un fatto analogo raccontato nel I° libro dei Re al cap. 17. Anche qui una vedova con un unico figlio, poverissimi. Il profeta Elia, di benedetta memoria, le chiede del cibo e lei confessa di averne pochissimo: “…ho solo una manata di farina, e un po’ d’olio in un orciuolo…mangeremo e poi moriremo”. La farina non terminò e l’olio non calò nell’orciuolo fino a quando non piovve. E si salvarono. Tuttavia, dopo breve tempo, il figlio di quella vedova si ammalò gravemente tanto che “non gli rimase più soffio di vita”. Di fronte a quell’evento così assurdo anche Elia si pose la stessa domanda, anzi, essendo un profeta la pose all’Eterno (i profeti non hanno paura di fare delle domande, soprattutto a Dio): “O Eterno, Iddio mio, colpisci Tu di sventura anche questa vedova, della quale io sono ospite facendole morire il figliolo?” (1 Re 17,20). Elia è palesemente coivolto in quella situazione, si attiva, prega, prende contatto con la morte distendendosi tre volte sul corpo senza vita del fanciullo… L’Eterno esaudì la voce di Elia: l’anima del fanciullo tornò in lui, ed ei fu reso a vita. Poi lo riconsegna alla mamma dicendole “Guarda, il tuo figliolo è vivo”.

Anche Gesù si lascia coinvolgere in quella situazione: vedendo la madre “…ne ebbe compassione e le disse “Non piangere!””, una frase apparentemente banale, come sono banali le parole di fronte ad un dolore così grande. Ma nella prospettiva di Gesù sembra acquistare un senso di rivolta: non rassegnarti, Dio ti è vicino. Mi piace immaginare che Gesù mentre le dice queste parole, piange lui stesso: “Vedutala ne ebbe compassione”. Compassione deriva da “cum patire” soffrire insieme: e come avrebbe potuto Gesù non essere vicino al cuore di quella donna, lui che aveva fatto della condivisione uno stile di vita? Come Elia anche Gesù prende contatto con la morte, tocca la barella su cui era disteso il giovinetto e gli intima di alzarsi. Il verbo greco utilizzato nel vangelo è egeirein il cui senso originale è: far levare, alzarsi, risvegliare; Luca lo usa anche per gli altri racconti di risurrezione e per la resurrezione stessa di Gesù.
E’ da rilevare che Gesù non appare mai preoccupato dell’impurità rituale proveniente dal contatto con un cadavere. Nessuno può essere guaritore e tenersi lontano dalla malattia e dalla morte, o esorcista ed avere paura del demonio. “Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre”.

Allora Gesù ripete il gesto di Elia: riconsegna alla madre il figlio tornato in vita. L’atto della riconsegna è importante: è la restituzione della speranza, l’atto di riportare qualcosa che era stato indebitamente sottratto. Anche in Lc 9,42 dopo aver guarito un fanciullo indemoniato, Gesù lo riconsegna al padre. E’ avvenuto un grande cambiamento: dalla morte alla vita; ora anche la vita dei genitori sarà diversa. Non è ristabilire un ordine preesistente, rotto dal destino. Nell’atto della restituzione è implicito la chiamata ad una nuova vita anche per quel padre, anche per la vedova di Nain.
Forse da quel giorno ella non si visse più come “vedova”, vittima della mala sorte o della “volontà imperscrutabile di Dio”; forse la vera persona che doveva essere “resuscitata” era lei e l’atto di ridarle il figlio equivale alle parole: “…dico a te, alzati!”.

La riconsegna da parte di Gesù dei figli ritornati in vita, è un invito ad aprire il cuore ad una prospettiva diversa: Gesù la chiama “regno dei cieli”. La folla che fa da cornice al racconto evangelico, quelli che accompagnavano Gesù nella sua predicazione e gli altri e le altre che accompagnavano la vedova di Nain nel suo dolore, ora sono unite: “presi da timore glorificavano Dio dicendo: “Un grande profeta è sorto in mezzo a noi e Dio ha visitato il Suo popolo””.  Forse avevano avuto parte della risposta alla domanda che li aveva fatti uscire di casa quel giorno.

Paolo Sales

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