30^ Domenica del T.O.

Il comandamento piu’ importante

I farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si radunarono; e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» Gesù gli disse: «”Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti» (Matteo 22, 34-40).

Ci troviamo in un punto del Vangelo nel quale sono evidenziati i tentativi degli oppositori di Gesù di metterlo sempre più in difficoltà per poterlo cogliere in fallo e, quindi, farlo fuori. Dopo le tasse da pagare all’imperatore (15-22) e la discussione con i sadducei a proposito della resurrezione (23-33) è la volta del comandamento più importante.

Amare Dio, amare il prossimo. Di queste parole è ampiamente guarnita la Bibbia nei due testamenti. Amore è diventata una parola ampiamente abusata sia da molti predicatori delle nostre chiese, sia dalla gran parte dei politici, per non parlare delle canzoni un po’ di tutto il mondo.

Ma se nella Bibbia questo richiamo ad amare è così spesso presente, vuol dire che il più delle volte è disatteso. Faccio mie alcune riflessioni tratte da Viottoli (2-2005):

“Amare, voler bene, far del bene, nel vocabolario cristiano sono termini fin troppo ricorrenti pronunciati alla leggera, con disinvoltura e superficialità. Tanta è la retorica al riguardo che tali parole, troppo spesso, sono diventate pura esercitazione verbale, linguaggi rituali, astrazioni che non toccano più né la nostra vita, né quella degli altri…

Eppure, come uomini e donne inseriti nel cammino ebraico-cristiano sulla strada di Gesù, bisogna mille volte ripartire da questi versetti per riscoprirli nel loro spessore… Una bella gioiosa constatazione: Gesù non fa che riprendere le parole del Levitico e del Deuteronomio, il cuore della fede ebraica. Per lui, credente ebreo nel Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di Sara e di Agar, la risposta era ben chiara e l’aveva appresa nella sinagoga del villaggio.

Amare Dio con tutto il cuore e amare il prossimo come se stesso rappresentano anche per Gesù, come per moltissimi credenti d’Israele, il “tutto” della fede di cui si alimentava la vita quotidiana. Gesù sapeva che non c’è proprio nulla da aggiungere. Ebrei, cristiani e islamici abbiamo lo stesso centro della nostra fede. Questa è la radice profonda, insopprimibile, che ci unisce e ci unirà anche in futuro. Questa è la conversione alla quale siamo chiamati/e insieme ebrei, cristiani, islamici”.

O due o nessuno

L’originalità di Gesù è riuscita a mettere in evidenza l’interdipendenza tra questi due comandamenti. Non si può amare Dio senza amare il prossimo come noi stessi, ma questo secondo trova la sua origine nel primo. Sono due modi di amare che sono inscindibili. Gesù non ci dice che sono la stessa cosa, ma che sono “simili”, o meglio il secondo è simile al primo.

L’una cosa non dispensa dall’altra: ci vogliono tutte e due, l’una richiama l’altra. Se l’amore per Dio non produce amore per il prossimo, rischia di ridursi a illusione religiosa, a fuga dalla realtà.

Un comandamento “impossibile”

Cosa può significare nelle nostre vite amare Dio, amare il prossimo, amare la chiesa?

Non di rado nella mia vita accade, sull’onda di qualche entusiasmo, di partire pieno di lodevoli intenzioni, ma di fermarmi presto riconoscendo che amare il prossimo come me stesso, nei fatti è proprio un comandamento “impossibile”.

Amare Dio mi sembra che comporti meno problemi, forse perchè come concetto è piuttosto vago. Il guaio arriva quando lo devo tradurre in amore per il prossimo e per prossimo si intende soprattutto chi non fa parte della cerchia più ristretta di parenti, amici, ecc.

Devo tuttavia riconoscere che, essendo la vita un cammino che quasi mai procede senza intoppi, imprevisti, belle scoperte, ci può stare, come obiettivo massimo, un orizzonte che guardi nella direzione indicata da Gesù. Non deve però risultare una buona scusa per mollare tutto, una volta appurato che un tale obiettivo non si riesce a raggiungere.

Può succedere che non potendo ottenere il massimo, si rinunci anche a fare quel poco che già potrebbe servire. Tra il tutto e il niente ci può stare molto, abbastanza, poco; anche di questo, in certe situazioni, ci si deve accontentare.

Inoltre è sempre utile avere la consapevolezza che l’amore non è qualcosa che nasce o sboccia di colpo. L’amore va costruito e alimentato giorno dopo giorno e se ne potranno meglio cogliere gli effetti se perdiamo la brutta abitudine di puntare troppo spesso il dito sugli altri, ma guardiamo di più a ciò che possiamo fare noi.

Solo parole

Un numero sempre crescente di donne e uomini poi, sono stanchi di ascoltare solo parole. I ricchi e i potenti, dopo solenni proclami, dopo fiumi di parole continuano a fare il bello e il cattivo tempo, che non spostano di una virgola pratiche di cambiamento reale. I documenti ufficiali dei governi e delle chiese rimangono parole al vento.

Possiamo, come accennato in precedenza, partendo da noi, aiutare almeno le nostre chiese a uscire da questa infausta pratica dell’incoerenza, di non prendere seriamente le distanze da pratiche antievangeliche?

Dovremmo, senza mettere completamente da parte il Cristo glorioso, riscoprire il Gesù della storia, della vita, che si è sporcato le mani, il Gesù delle cattive compagnie, dell’amore difficile, delle scelte impegnative e impopolari. Se non si segue Gesù su questa strada si corre il rischio che il vangelo si riduca ad un annuncio di illusioni.

Amare la chiesa oggi può anche voler dire operare, lottare perchè non metta sempre se stessa al centro, ma cercare il volto, la presenza di Dio nei sentieri del quotidiano, scendendo dalla fortezza dei dogmi e della verità per addentrarsi nella vita senza i calzari delle sicurezze umane.

Domenico Ghirardotti

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