2^ domenica del T.O.

Giovanni la voce, Gesu’ la parola

Il giorno seguente, Giovanni vide Gesù che veniva verso di lui e disse: «Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo! Questi è colui del quale dicevo: “Dopo di me viene un uomo che mi ha preceduto, perché egli era prima di me”. Io non lo conoscevo; ma appunto perché egli sia manifestato a Israele, io sono venuto a battezzare in acqua». Giovanni rese testimonianza, dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma colui che mi ha mandato a battezzare con acqua, mi ha detto: “Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, è quello che battezza con lo Spirito Santo”. E io ho veduto e ho attestato che questi è il Figlio di Dio». (Giovanni 1, 29-34)

Dopo il famosissimo “prologo teologico” (i vv 1-18), il primo capitolo del Vangelo di Giovanni ci offre un “prologo narrativo”: il battesimo (1,19-34), la formazione del primo nucleo della comunità di discepoli (1,35-51); e al capitolo 2, vv 1-12, i primi credenti.

La “voce” e la “parola”

Giovanni il battezzatore è il testimone per eccellenza di Gesù, del Messia tanto atteso nei miti di Israele. Giovanni è la “voce” che rende presente, visibile, udibile, la “parola”, il logos… E il giorno dopo si materializza la differenza tra voce e parola: la “parola” attrae più della “voce”. Quando Giovanni indica Gesù ad alcuni discepoli, questi, sentendo cosa dice di Gesù, seguono il nuovo maestro. Poi fanno il passa-parola e comincia a prendere consistenza la prima piccola comunità intorno a Gesù.

Potenza della “parola”, ma anche della “voce”: Giovanni era un profeta conosciuto, riconosciuto e molto seguito; la sua testimonianza è assolutamente autorevole, deve essere presa sul serio. Quando dice che Gesù era prima di lui e più grande di lui (v 30) e che lui, Giovanni, è testimone della luce, nessun israelita avrebbe dovuto dubitare del fatto che Gesù fosse proprio “la luce, il messia…”, per mezzo della fede nel quale uomini e donne possono essere pieni e piene di grazia e di verità (vv 16-17).

Testimone e testimonianza

A differenza dei Sinottici, il Vangelo di Giovanni non racconta il battesimo di Gesù, ma ne fa memoria per bocca del battezzatore, protagonista e testimone oculare diretto dell’evento. Quando viene scritto, sullo scorcio finale del primo secolo, le comunità conoscevano bene “vita e miracoli” (letteralmente…) di Gesù. A Giovanni preme radicare la fede in Gesù, e la fede vera è seminata dalla parola…

La parola, se ascoltata con attenzione, scende nel cuore e vi stabilisce la propria dimora. Mente e cuore se ne nutrono, nel trascorrere dei giorni, la ruminano e ne vengono trasformati, rigenerati.

La parola deve essere autorevole… per questo autorevole deve essere chi la pronuncia. L’autorevolezza è figlia e compagna della coerenza: è coerente il profeta che vive in sobrietà senza ostentazione, per dedicarsi alla predicazione della conversione, del cambiamento di vita, scelta che il battesimo rende visibile; è coerente il rabbi Gesù che, prima di dedicarsi alla predicazione della conversione, si fa battezzare, per manifestare al popolo di Israele (v 31) la propria scelta di cambiamento di vita.

Così si diventa testimoni autorevoli e, quindi, credibili… Quando Giovanni dice “io ho visto”, chi lo sta ascoltando non può non credere che sia successo esattamente quello che lui attesta: “Ho contemplato lo Spirito discendere come colomba dal cielo e fermarsi su di lui… lui è il Figlio di Dio” (vv 32 e 34).

Anche per il battezzatore è intervenuta una parola autorevole: Dio l’ha costituito profeta, lo ha inviato a battezzare… e tutto questo per preparare l’evento/avvento di Gesù. Lui è più grande perché battezzerà in Spirito Santo. Su di lui è sceso lo Spirito in forma di colomba, esattamente come la voce di Dio gli aveva preannunciato. “Io ho visto” e, dunque, dovete credermi: Gesù è colui che battezzerà in Spirito Santo, il divino Figlio di Dio in forma umana.

Io non lo conoscevo

Sono coetanei, sono cugini… è difficile pensare che Giovanni e Gesù non si conoscessero. Eppure il battezzatore per due volte (vv 31 e 33) dice “io non lo conoscevo”. Non sapevo che fosse il Messia, “l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (v 29).

“Agnello di Dio”: una formula liturgica, una preghiera con ogni probabilità nata o diffusa nella comunità dell’evangelista, che sintetizza in un’immagine poetica il senso e la sostanza della vita e della missione di Gesù. L’agnello, la colomba… sono icone della tenerezza, della pace, dell’amore. L’amore è l’“arma” degli agnelli, animali tra i più inoffensivi al mondo. Solo l’amore, predicato e vissuto da Gesù, ha la forza di sottrarre il mondo al dominio del peccato, del male, dell’egoismo, del negativo, della violenza… Non è una formula magica, come il serpente innalzato nel deserto durante la fuga dall’Egitto, che bastava guardare per essere guariti.

L’amore deve essere incarnato: come in Gesù, così in ogni uomo e in ogni donna che calpestano i sentieri polverosi o le strade asfaltate del mondo. L’amore salvifico è fatica quotidiana; l’esercizio consapevole lo rende meno faticoso… ma deve essere praticato e predicato con coerenza radicale e instancabile. Non è una parola da dire una volta per sempre perché, ripetuta, annoia… la parola dell’amore deve essere ascoltata e interiorizzata, fatta carne in ciascuno e ciascuna di noi.

Anche noi possiamo confessare: non lo conoscevo, poi qualcuno o qualcuna me ne ha parlato e ho dato credito a quella parola, perchè era detta da una persona coerente, autorevole, credibile… e adesso lo conosco, so chi è Gesù e cos’è l’amore. E non ho più nessuna intenzione di abbandonare questa strada. Ho visto dove abita (vv 38 e 39) e mi piace far parte della sua comunità.

Beppe Pavan

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