Chi siamo

Il gruppo donne delle comunità cristiane di base della zona di Pinerolo è nato il 6 gennaio 1986 sulla spinta di un incontro di studio comunitario fatto su un fascicolo che la rivista teologica Concilium del 1985 aveva dedicato al tema dell’invisibilità delle donne nella teologia e nella chiesa. Questo gruppo, che si riunisce mensilmente, è nato dal desiderio di alcune di noi di ritagliarci uno spazio per narrare ed ascoltare i vissuti di ciascuna, uno spazio, solo nostro, dove, per dirlo con le parole di allora, “riflettere e raccontare sono un po’ la stessa cosa: una racconta se stessa e da questo nasce e si sviluppa la riflessione, sua e delle altre, che conduce ad una maggiore consapevolezza”

In un secondo momento, ci siamo chieste se non sarebbe stato più utile affiancare a questi scambi di esperienze e di riflessione anche momenti più specifici legati al nostro essere donne credenti che avevano scelto di vivere la loro fede nell’ambito di una comunità cristiana di base. Sovente emergevano riflessioni ed interrogativi circa il nostro modo di porci di fronte a Dio e nella comunità dove, sia pure in modo più sfumato, era presente una divisione dei ruoli maschili e femminili analoga a quella diffusa e radicata nella società.

Infatti, i momenti pubblici, l’elaborazione di documenti, di articoli erano riservati ai maschi con, in genere, “il sollievo e il benestare delle donne” che da un lato nutrivano un senso di inadeguatezza e di incapacità, pur essendo attive negli altri momenti di vita della comunità (catechesi, lettura biblica, eucarestie), e dall’altro erano condizionate dagli obblighi familiari e casalinghi e, pure, dai sensi di colpa per il tempo sottratto a figlie e figli. C’era però anche un forte desiderio in noi di superare quella situazione di svilimento e di scarsa autostima e, pensando alla lettura della Bibbia, c’era anche una gran voglia di capire e di riprendere possesso della Parola, superando i condizionamenti di una Scrittura tutta al maschile e rivolta agli uomini.

Fu in quel periodo, siamo nel 1987, che si affrontò il tema uomo-donna, anche nei gruppi biblici comunitari, con il sottotitolo molto indicativo: “conflitto, dialogo, conversione”, ed ebbe luogo l’incontro sul tema “Gesù e le donne”. Intanto, insieme al desiderio di mantenere i momenti di narrazione e di scambio di esperienze, si evidenziava sempre di più l’esigenza di affiancare a questi momenti anche incontri di studio e di approfondimento utilizzando testi, esperienze, articoli, documenti, ecc…

Da Brescia a…

Nel mese di aprile 1988 partecipammo in modo massiccio al seminario nazionale di Brescia “Le scomode figlie di Eva”, dove le comunità cristiane di base italiane si interrogarono e si confrontarono sui percorsi di ricerca delle donne. Ricordo che qualche donna del gruppo partecipò anche in modo attivo alla preparazione di questo seminario.

Nei primi anni di storia del nostro gruppo, ricevemmo un forte stimolo e un aiuto a proseguire nel nostro cammino dagli incontri con le donne delle comunità cristiane di base olandesi e francesi.

Ne cito uno per tutti: l’incontro di Parigi del settembre 1988, dove 14 donne delle CdB di Pinerolo, Cavour, Piossasco e Mirafiori – Torino si trovarono con donne olandesi e francesi e si confrontarono sulla difficoltà del dialogo fra uomini e donne all’interno delle comunità, sul riconoscimento dell’autorevolezza e della rappresentatività del gruppo donne, sulla necessità di essere più presenti nei momenti ufficiali della vita delle comunità (come i collegamenti nazionali e internazionali) e sulla gestione del potere.

Riporto qui un pezzo della riflessione fatta in quell’occasione, perché mi pare molto interessante ed indicativa del nostro modo di vivere la responsabilità e il potere negli anni successivi: “Spesso le donne che arrivano ad occupare posti di responsabilità adottano delle strategie maschiliste e si comportano secondo schemi autoritari degni del peggior patriarcato. E’ indispensabile cercare vie nuove, giungere insieme ad investirci di responsabilità e quindi di potere, cercando di viverlo come servizio e collettivamente, in equipe, per non trovarsi sole di fronte alle difficoltà e alle tentazioni di abusarne” .

Voglio anche ricordare l’eucarestia di Parigi: un momento di intensa comunione tra le donne presenti, particolarmente vivo e toccante nei segni simbolici usati e scaturiti dalla rilettura di alcuni passi biblici come l’unzione di Betania.

Fu dall’incontro di Parigi che nacque l’idea di un primo collegamento nazionale delle donne delle CdB italiane, che si concretizzò nell’incontro seminariale di Moncalieri (TO) del marzo 1989, sul tema: “Identità, prassi comunitaria, terreni di ricerca e di intervento delle donne CdB”.

Con l’aiuto di nuovi metodi di animazione, che diedero a tutte le donne la possiblità di esprimersi, ci interrogammo sulla nostra identità di donne nelle comunità, sulla nostra visibilità, sui nostri interventi in campo sociale e politico, sui nostri modi di pregare, sulle pratiche di solidarietà. In quell’occasione celebrammo la nostra prima eucarestia con l’introduzione di simboli appresi durante la celebrazione di Parigi.

Il percorso che abbiamo maturato nel corso degli anni si è intrecciato, negli incontri nazionali, con i percorsi di altri gruppi donne delle CdB e ne ha ricevuto un forte stimolo. Questi incontri annuali costituiscono un momento importante di collegamento, di costruzione di reti di relazioni tra i gruppi e tra le singole donne. Sono un luogo dove riflessioni ed elaborazioni s’intrecciano con i problemi, le esperienze pratiche; dove si sperimentano nuovi modi di comunicare anche con il corpo, dove vengono messe in comune preghiere, nuove celebrazioni e nuovi gesti simbolici.

Tutto questo è fonte di reciproco arricchimento e costituisce una boccata d’ossigeno per tutte, ma specialmente per quelle donne che non hanno alle spalle una comunità o uno specifico gruppo con cui confrontarsi, pregare, riflettere.

Dopo il seminario di Brescia, alcune donne del gruppo iniziarono in modo più incisivo ad assumere degli incarichi di responsabilità nelle loro comunità sia sul piano organizzativo che su quello dell’animazione biblica e qualcuna s’iscrisse anche alla Facoltà valdese di teologia.

Un percorso multiforme

Caratteristica del gruppo donne di Pinerolo è il suo percorso multiforme: a periodi in cui si sono affrontati temi legati alle esperienze delle donne, si sono alternati momenti di lettura biblica, di preparazione di celebrazioni eucaristiche, di laboratori biblici per gli incontri nazionali e si sono avuti contatti con realtà esterne (associazioni, casa delle donne, centri di documentazione, partecipazione alle “Donne in nero” contro le guerre).

Molto stimolante è la partecipazione al “Gruppo donne di Pinerolo per la ricerca teologica” in cui alcune donne valdesi, cattoliche e della comunità di base, da parecchi anni ormai, conducono un’azione comune di ricerca, di studio e di confronto sia sul terreno teologico e cristologico che su quello prettamente femminista. Questa collaborazione ha prodotto anche momenti significativi di dibattito a livello cittadino con la partecipazione di filosofe come Luisa Muraro e Chiara Zamboni.

Qualche anno fa, alcune donne esterne alla nostra comunità, che soffrivano situazioni di violenza da parte dei loro compagni e mariti, ci hanno chiesto di essere aiutate. Abbiamo avviato con loro un percorso di riflessione e di accompagnamento, prendendo spunto dalla lettura collettiva di alcuni libri che proponevano un percorso di autocoscienza e di liberazione dagli schemi tradizionali imposti alle donne. Alcuni dei testi più incisivi sono stati: “Donne che amano troppo” di Robin Norwood, “Distacchi” di Judith Viorst, “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estés e vari libri e articoli sulla sessualità femminile. Questa esperienza si è consolidata e trasformata nel tempo, coinvolgendo numerose donne che non hanno problemi di violenza, ma un forte desiderio di riflettere e confrontarsi sui più svariati temi, partendo da sé.

In questi ultimi anni ci siamo anche incontrate e confrontate alcune volte con il Gruppo uomini.

Linguaggio e cultura patriarcale

Nel corso di questi anni, abbiamo preso coscienza di essere inglobate in una società e in una cultura patriarcale che negano la nostra indipendenza e la nostra autodeterminazione. Ci siamo rese conto che un linguaggio generico, grammaticalmente maschile, dove si dice uomini per parlare anche delle donne, rende le donne invisibili e marginali e che questo linguaggio contribuisce a interiorizzare fin da bambine la nostra invisibilità e la nostra inferiorità.

Inoltre, un linguaggio maschile per parlare di Dio legittima e accresce l’alienazione delle donne: “Per secoli“, dice la teologa femminista E. Schüssler Fiorenza, “noi abbiamo dovuto ascoltare discorsi teologici e prediche indirizzati agli uomini. Abbiamo dovuto fermarci a pensare due volte per sapere se eravamo incluse o no, quando si rivolgeva il discorso ai ‘fratelli’, quando si parlava della fede dei ‘nostri padri’, della ‘fratellanza degli uomini’ o dei ‘figli di Dio’ (Rompere il silenzio – diventare visibili, Concilium 6/1985, pag. 31). Mentre sono sempre stati molto chiari, puntuali e rivolti al femminile i discorsi e le prediche indirizzati alle donne per imporre loro ruoli e comportamenti funzionali al patriarcato.

Abbiamo dovuto prendere atto che non solo la società è patriarcale, ma che anche la nostra fede è nata e si è sviluppata in questo contesto. Gli stessi testi biblici sono nati dentro a una realtà patriarcale: nessun testo canonico è attribuito a una donna, anzi, spesso, parlando delle donne, gli autori maschi hanno taciuto elementi significativi e importanti per le donne stesse o hanno “interpretato” i loro percorsi di fede.

Insieme abbiamo scoperto le teologie femministe che hanno ampliato gli orizzonti della nostra ricerca, che ci hanno stimolate a riflettere sulla nostra fede e sulla vita della comunià, sulle liturgie e sulle celebrazioni.

L’approccio alle teologie femministe

Il nostro approccio alle teologie femministe iniziò con la lettura collettiva di “Donne invisibili e Dio patriarcale” di Marga Bührig, un testo che raccoglie cinque lezioni sul tema “Donne nella teologia e nella chiesa“.

Sono seguite conversazioni con pastore valdesi, abbiamo anche fatto letture personali e di gruppo di libri come “In memoria di lei“: una ricostruzione femminista delle origini cristiane di E. Schüssler Fiorenza, che io ritengo sia stata molto importante per la ricerca e la riflessione biblica del nostro gruppo ma anche per i riflessi che ha avuto nei gruppi biblici della comunità.

E poi sono seguiti libri come “Interpretazione femminista della Bibbia” di Letty M. Russel, “Le donne che Gesù incontrò” di Elisabeth Moltmann Wendel, per ricordare quelli più letti.

Abbiamo anche letto insieme una parte del libro di Mary Daly “Al di là di Dio Padre“, il cui messaggio interpella radicalmente la teologia femminista cristiana e che ci ha posto molti interrogativi riguardo al nostro immaginario di Dio.

Ci ha anche aiutate la lettura dei quaderni di Concilium, una rivista internazionale di teologia, che periodicamente ha dedicato alcuni numeri alle teologie femministe e alla loro evoluzione nei vari contesti.

Un libro che ha ampliato la nostra conoscenza sulla teologia ecofemminista e ci ha molto aiutate nella preparazione del VII° incontro nazione delle donne delle comunità cristiane di base del 1996 a Cavoretto (TO) su “Creazione, distruzione e guarigione del mondo”, è stato “Gaia e Dio” di Rosemary Radford Ruether. Per questa teologa esiste un collegamento molto stretto tra l’oppressione della donna da una parte e lo sfruttamento delle risorse naturali dall’altra. Entrambi fanno parte della stessa mentalità che ha condizionato tutto l’ordine socio-simbolico dell’occidente, inclusa la sua produzione teologica. L’opera della Ruether dà alcune indicazioni per una teologia cristiana che ha a cuore la guarigione della Terra e ci invita a pensare le ingiustizie che minacciano il mondo in relazione le une alle altre e a sondare, all’ombra della crisi ecologica, la complessa relazione tra donne e uomini, tra creato e Dio.

Lettura biblica ed ermeneutica femminista

Un posto importante nella vita del nostro gruppo è occupato dalla lettura biblica che è fatta utilizzando, oltre al metodo storico critico anche l’ermeneutica femminista. Si tratta di una ricerca fondamentale per la vita del nostro gruppo, fatta a volte con fatica ma anche con tanta gioia e coinvolgimento. E’ un percorso comunque molto fecondo, perché la Scrittura, molto lontana da noi (lontanta nel tempo, nel linguaggio e nella cultura), diventa viva, diventa Parola di Dio che ci salva, che ci libera, che ci riconosce, se viene liberata dalle interpretazioni patriarcali basate sul dominio e sull’oppressione. E, come diceva Carla Galetto al convegno delle comunità cristiane di base italiane a Vico Equense (NA) nel 1998, “la mia libertà nasce da questa Parola liberatrice di Dio, che colgo quando, con altre donne, leggo e interpreto questa scrittura lontana”.In questo cammino siamo state accompagnate per un certo periodo dalla pastora e teologa femminista Letizia Tomassone.

Nella Bibbia abbiamo cercato le antenate della nostra fede, abbiamo cercato di risentire la voce delle donne che ci hanno precedute e che hanno sperimentato la forza liberante dello Spirito di Dio.

Abbiamo appreso con gioia della libertà e della piena accettazione delle donne nel movimento egualitario di Gesù, una libertà e una considerazione che sicuramente non erano in sintonia con gli schemi della società patriarcale del tempo. Abbiamo scoperto le figure di profetesse e di apostole delle prime comunità come Maria di Magdala, Priscilla e molte altre che ad una lettura superficiale e classica della Bibbia non appaiono. Abbiamo riletto i testi cercando di far rivivere la libertà di quelle donne.

Nell’autunno del 1993, alcune donne delle comunità di base di Cagliari espressero il desiderio di conoscere le riflessioni e la prassi comunitaria delle “donne di Pinerolo”, con un invito a portare un nostro contributo al convegno regionale delle CdB della Sardegna che si sarebbe svolto a S. Pietro in Sorres (SS) nel gennaio del 1994, sul tema: “Le donne nel movimento di Gesù e nelle prime comunità cristiane”. La preparazione per il convegno si trasformò in un’occasione di studio e di riflessione collettiva e poi … …, un mattino nebbioso di gennaio, otto donne partirono per la Sardegna portando il loro contributo a più voci.

Naturalmente la nostra lettura biblica non si è limitata a quei passi che parlano delle donne, ma abbiamo spaziato nei testi e, col passare degli anni, ci siamo accostate alla Scrittura con maggior libertà e senso critico. A questo proposito, voglio citare ciò che Letizia Tomassone aveva detto commentando il percorso di lettura biblica, fatto con il nostro gruppo, in preparazione del IV° incontro nazionale delle donne delle CdB sul tema: “Noi donne e Dio”: “Abbiamo imparato a leggere dentro a questi testi la nostra libertà. Abbiamo imparato anche a dire no: questa parola mi ricaccia in un ruolo, un ruolo di oppressione; questa parola non può appartenere all’Evangelo, in quanto l’Evangelo è libertà, libertà in tutti i sensi, sociale, materiale e spirituale, ma anche nel senso di una libertà sessuata e quindi diversa per uomini e donne. La libertà che noi abbiamo trovato facendo questo percorso, è una libertà che nasce dal fatto che ci siamo messe insieme, cioè è nata dalla relazione tra di noi.”

Preghiera e nuovi immaginari

Anche il nostro immaginario di Dio si è arricchito e sta cambiando. Alcune immagini patriarcali si sono spezzate dentro di noi e altre ne sono emerse, nuove e belle, che cercano di esprimere il nostro desiderio di libertà e di autorealizzazione nato da un nuovo rapporto con Dio, che trasformano il nostro modo di pregare. Sono preghiere che scaturiscono dal nostro vissuto, che testimoniano percorsi di liberazione nati dall’incontro con Dio e dalla relazione con altre donne, dove esplode la nostra fantasia e la nostra libertà nel rapportarsi alla Divinità, nell’uso di simboli e di nuove metafore per dire Dio, Colui/Colei che è, Colui/Colei che sarà.

Nuove immagini e simboli non nascono su comando, ma salgono dagli strati più profondi dell’anima“, dice Catharina Halkes (La sfida del femminismo alla teologia, Queriniana, pag. 171), e perciò, ci sono molti percorsi, sensibilità diverse e nessuna esclude l’altra. Ad esempio parlare di Dio al femminile può essere molto utile per renderci conto di quanto siamo vincolate e vincolati ad un immaginario maschile, interiorizzato fin dalla nostra infanzia, ma, se per alcune questo linguaggio può anche rappresentare qualcosa di più, per altre è una tappa di un percorso verso altri modi di parlare della Divinità.

Sallie McFague nel suo libro “Modelli di Dio“, propone per dire Dio le metafore di madre, di amico/amica, di amante, metafore che rimandano a caratteristiche come fedeltà, nutrimento, attrazione, affetto, rispetto, cura, reciprocità. Ma propone anche di pensare al mondo come corpo di Dio, in contrasto con il modello tradizionale del mondo come regno del re, di Dio re. Una visione del rapporto Dio-mondo in cui tutte le cose hanno origine in Dio e nulla esiste al di fuori, sebbene questo non significhi che Dio sia limitato a tali cose. Pensare al mondo come al corpo di Dio, pone la Divinità in una situazione di Colui/Colei che si prende cura, che sta in relazione, che interagisce. E suggerisce per noi un’etica verso le donne e gli uomini, verso tutte le creature, caratterizzata dalla giustizia, dalla sollecitudine, dalla cura.

Il cammino verso nuovi simboli, nuove metafore per parlare di Dio, di nuovi linguaggi per parlare a Dio, i tentativi di nominare la Divinità e di chiamarla con un nome nuovo, è un percorso liberante, ma ancora lungo e travagliato, a volte gioioso a volte sofferto, che ci spinge verso un territorio sconosciuto dove lasciamo il certo per l’incerto, dove non vi è più nulla di stabilito. Questo cammino ha delle ripercussioni anche nella nostra comunità dove può risultare stimolante e creare nuove aperture, ma può anche suscitare tensioni, chiusura, smarrimento perché si vanno ad intaccare le basi di una identità individuale e collettiva patriarcale che si è consolidata nel tempo.

Elisabeth A. Johnson nel suo libro “Colei che è“, esprime molto bene questo travaglio: “Per alcune, il cammino implica un soggiorno nell’oscurità e nel silenzio, attraversando un deserto dello spirito creato dalla perdita dei simboli abituali. Per altre, è nato un nuovo linguaggio quando le donne si radunano insieme creativamente nella solidarietà e nella preghiera, e le sorelle studiose scoprono modi alternativi di parlare del mistero divino, che sono rimasti a lungo nascosti nella Scrittura e nella tradizione” (pag. 19).

Nella nostra esperienza, questi sono cammini che si intrecciano, coesistono, rappresentano un nostro andare verso la libertà ed è questa percezione che ci dà la forza di soggiornare a volte nell’oscurità e nel silenzio.