torna all' indice


La teologia queer: un'introduzione


Le origini

La “teoria queer” è una teoria critica emersa all'inizio degli anni '90 a partire dagli studi gay e lesbici, dagli studi di genere e dalla teoria femminista. Sulla scia delle tesi di Michel Foucault, Jacques Derrida e Julia Kristeva, mette in discussione la naturalità dell'identità di genere, dell' identità sessuale e degli atti sessuali di ciascun individuo, affermando invece che essi sono, almeno in parte, costruiti socialmente e che, quindi, gli individui non possono essere realmente descritti usando termini generali come "eterosessuale", “omosessuale”, “uomo”, "donna". La teoria queer critica la pratica comune di dividere in compartimenti separati la descrizione di una persona affinché possa essere ricondotta ad una o più particolari categorie definite.

Laddove gli studi gay e lesbici analizzano in particolare il modo in cui un comportamento viene definito "naturale" o "innaturale" rispetto al comportamento eterosessuale, la teoria queer si sforza di comprendere qualsiasi attività o identità sessuale che ricada entro le categorie di normativo e deviante, rigettando la creazione di categorie e gruppi artificiali e socialmente assegnati, basati sulla divisione tra coloro che condividono un'usanza, abitudine o stile di vita e coloro che non li condividono.

A coniare il termine "teoria queer" è stata Teresa de Lauretis, nell'ambito di una conferenza tenutasi all'Università della California, nel febbraio 1990. Nello stesso periodo vedono la luce altri due testi: Gender Trouble di Judith Butler e Epistemology of the Closet di Eve Kosofsky Sedgwick. Negli anni successivi si moltiplicano le opere sul tema: lo scenario si arricchisce così di contributi importanti con la prima storia della teoria queer di David Halperin e la prima introduzione “manualistica” di Anne Jagose con Queer Theory: An Introduction. È in questi anni che il termine fa la sua comparsa "ufficiale" anche in Italia, negli interventi di Liana Borghi e Marco Pustianaz. Negli Stati Uniti l'approccio critico ai testi e, soprattutto, ai generi quali che siano, si incontra con i temi delle riflessioni su genere, razza e classe e del rapporto tra essere umano, animale e macchina.

Transitività dei generi

La trasposizione in lingua italiana di "queer" affiancato a "teoria" non rende pienamente ragione dell'impatto, volutamente scandaloso, derivante dall'associare un termine “accademico” (teoria) con queer, esempio di linguaggio ingiurioso. Questo effetto di rottura è stato anche visto nei confronti della critica gay e lesbica più tradizionale, come interruzione di una pratica critica legata allo sviluppo di una politica culturale che punta sulla strategia del cosiddetto “reverse discourse”, teso a “naturalizzare” l'identità omosessuale e a creare una comunità. Ci si è “impadroniti” in senso positivo della parola queer, che in origine significava "abuso", per mettere l'accento sugli elementi della non convenzionalità, della non conformità e del disordine. La teoria queer non ha avuto origine nei circoli accademici, bensì quale risultato dell'attivismo nelle fasce marginali: viene dagli USA, dal movimento delle donne chicanas — native statunitensi con antenati messicani — che non riconoscevano le implicazioni culturali, razziali e di classe della definizione imposta alle proprie identità lesbiche.

Attraverso queste elaborazioni si vuole dunque rimettere al centro dell'attenzione il problema della differenze sviluppando contemporaneamente le contraddizioni proprie del modo in cui viene comunemente intesa la definizione omo/eterosessuale: le discrepanze e le incoerenze tra sesso cromosomico, genere e desiderio sessuale diventano oggetto d'analisi, arrivando ad includere il travestitismo, l'ermafroditismo, l'ambiguità di genere e la chirurgia per il cambiamento di sesso. Affermando la transitività dei generi vengono anche  messe in discussione la stabilità dell'identità e delle politiche ad essa legate. Identità non fisse, infatti, non possono essere categorizzate o etichettate e pertanto un singolo aspetto della persona - aspetto che la precede socialmente e culturalmente nei “gruppi identitari” che a tali aspetti si rifanno - non può in alcun modo definirla:

Performatività

L’elaborazione di una teoria queer ha portato alla luce differenti soggetti sessuali come i bisessuali e i travestiti, rifiutando di conferire qualsiasi identità omogenea a opzioni sessuali differenti. La sessualità, come il genere, si insegna e si prova (aspetto pedagogico dei generi); ad esempio, insegnare a una donna come vestire, come eseguire certi compiti o, addirittura, come camminare o parlare con un particolare tono di voce, è insegnare a una donna a diventare donna. Questo è ciò che Judith Butler chiama performatività di genere: “L'assenso collettivo tacito a esibire, produrre e sostenere generi discreti e polari come finzioni culturali”. E la stessa autrice aggiunge che quanti si oppongono alla “credibilità di quelle produzioni” vengono puniti.

I generi sono quindi “imitazioni senza gli originali” ed è per mezzo di essi che una donna impara ad essere una donna e un uomo un uomo. Per sostenere la sua pretesa di naturalezza, l'eterosessualità ha bisogno anche di ripetere costantemente gli atti propri dei generi. L'analisi di queste strategie ripetitive dimostra che i generi sono solo degli espedienti pedagogici di cui una delle principali funzioni è quella di insegnare l'identità sessuale prevalente. Sempre secondo la Butler, “una strategia di cambiamento significherebbe rompere la prestazione di regime del normale così come è iscritto nelle ripetizioni dei generi”.

Le critiche

 Molti critici della teoria queer sostengono che un grande numero di prove fisiologiche, genetiche, antropologiche e sociologiche mostra come l'orientamento e la classificazione sessuale siano più che semplici costrutti sociali. Secondo questo punto di vista, le varie caratteristiche biologiche (alcune delle quali genetiche ed ereditarie) giocano un ruolo importante nel plasmare il comportamento sessuale. Numerosi commentatori e commentatrici rispondono a queste critiche affermando che non tutti gli individui sono nettamente classificabili come "maschi" o "femmine", anche su basi strettamente biologiche. Ad esempio, i cromosomi che determinano il sesso (X e Y) possono esistere in combinazioni atipiche (come nella sindrome di Klinefelter [XXY]). Ciò rende difficoltoso l'uso del genotipo come mezzo per definire esattamente due generi distinti. Gli individui intersessuati possono avere, per varie e diverse ragioni biologiche, genitali ambigui.

Gli aspetti biologici non sono altrettanto rilevanti per coloro che ritengono che il processo di costruzione prenda avvio nel linguaggio naturale e nelle categorie che esso plasma tramite il continuo rafforzamento nella mente di ciascuno (ad esempio i pronomi che fanno distinzioni di genere o la ripetizione degli insulti). E' dunque possibile che sia il linguaggio a costruire l'intera idea di sé, come pure le distinzioni di genere/sesso; inoltre, nonostante possano esistere delle verità biologiche, la nostra conoscenza e concettualizzazione è sempre mediata da linguaggio e cultura.

La teoria queer sostiene dunque che le identità sessuali sono una funzione della rappresentazione. I teorici e le teoriche queer sono molti attenti a descrivere non il soggetto, ma cosa il soggetto predilige e come ciò sia legato a circostanze storiche, a dinamiche di rappresentazione. Assumere una qualsiasi identità come fondante è ritenuto sbagliato poiché automaticamente prescrittivo ed escludente. La liberazione perseguita dalla teoria queer non è una liberazione del Sé, bensì una liberazione dal Sé.

Sesso e genere

 Nonostante la teoria queer riguardi spesso il desiderio sessuale fra soggetti dello stesso sesso non ha, dichiaratamente, nulla a che fare con l'identità omosessuale. Concetti quali "sesso", "genere", "gruppo" sono, in quest'ottica, considerate come gabbie comportamentali. Il genere è talmente pervasivo che arriva a sembrarci naturale, anziché costruito. Nella nostra cultura i generi vengono assegnati su basi biologiche e sono soltanto il maschile e il femminile; ma dal punto di vista della socializzazione della persona, i sessi sono di più: uomini e donne eterosessuali, gay o lesbiche e poi, a seconda che l'orientamento dell'infanzia venga seguito o meno dalle persone adulte, travestiti, transessuali, transgender. La teoria queer analizza, dunque, non solo la costruzione dei generi, ma anche quella delle sessualità, come prodotto ideologico. Il sesso biologico è quella cosa che ci fa dire di un nuovo nato: "È maschio, è femmina." Il neonato/a nasce con questo “marchio di fabbrica”. Cosa farà in seguito non dipende da cosa ha “in mezzo alle gambe”, ma da altri fattori personali, sociali, culturali...

Il concetto di "genere" quale categoria interpretativa è entrato abbastanza di recente nell’elaborazione scientifica e sociologica (fino all'altro ieri si parlava esclusivamente del sesso maschile inteso come prototipo: maschio, bianco, eterosessuale che era - e per molti/e ancora è - la "giusta misura"). Il concetto di genere sottende, invece, l'abitudine a vedere la realtà come dotata di una doppia radice: il suo intento è dare rilevanza a tutto ciò che non è biologico nella relazione fra i sessi e nella rappresentazione degli stessi. Confondere sesso e genere è un errore “grossolano” dovuto all'uso della lingua italiana, in cui i due significati tendono a confondersi. Il "genere" include la nozione di "differenza sessuale" sulla quale si possono generalmente distinguere quattro punti di vista:

1- quello "essenzialista", che ha un forte riferimento alla base biologica ed include sia la sessualità che la capacità di dare vita. Il femminile viene esaltato come positivo, ma le valenze per le quali si riconosce la sua "positività" sono quelle del pensiero maschile-universale della tradizione occidentale. Affermando che tutte le donne hanno a disposizione il medesimo bagaglio di capacità e possibilità se ne annullano le differenze, rendendole uniformi;

2- il cosiddetto "pensiero della differenza", che riconosce la sottrazione di un sistema simbolico, tramite il pensiero filosofico occidentale, al genere femminile, continuamente compreso e definito in rapporto all'Uno Neutro-Maschile. Il pensiero della differenza considera i due sessi entrambi originari ed irriducibili l'uno all'altro, entrambi portatori di una propria visione del mondo. La pratica politica di questo pensiero (il "partire da sé") fa delle differenze, comprese quelle riconoscibili fra la pluralità delle donne e la pluralità degli uomini, il centro della propria azione;

3- il "decostruzionismo", ovvero un approccio che tenta di smontare la costruzione storico-sociale del genere. Se in effetti il genere è solo una "rappresentazione", esso può essere smontato e decostruito, ignorando però la percezione soggettiva che ognuno/a ha del proprio corpo e che sperimenta durante la propria vita;

4- il genere inteso come “mappa di similarità e differenze” che si intrecciano vicendevolmente, quindi il corpo come "esperienze" (e non come entità data da cui si parte) socioculturali e biologiche. Nessuna delle differenze percepibili fra uomini e donne è una differenza "data", neppure quella sessuale. La differenza, e il genere, non sono più criteri di individuazione e analisi ma possibilità di scelta. Secondo questa visione, poiché nessuno è compreso in alcunché o comprensibile in qualche modo, nessuno dovrebbe sentirsi inadeguato o non corrispondente all'identità/comunità di appartenenza.

Nella teoria queer non si dà, dunque, alcuna premessa di identità sessuali omogenee tra gli individui, così come non c'è omogeneità tra gli eterosessuali stessi. Le identità sessuali non sono stabili e necessariamente coincidenti con le politiche di fondamenti religiosi o sociali. Ciò è vero anche per l'instabilità dell'eterosessualità, quantunque essa sia una ideologia sessuale ratificata.

Teologie del “sospetto”

“La teologia — o, per essere più precisi, le teologie — queer sono il risultato complesso di una riflessione che considera ciò che le differenti costruzioni della sessualità e del genere hanno da dire circa la nostra comprensione di Dio, dell'amore e della comunità. La teoria queer è stata influenzata dal movimento poststrutturalista che sosteneva la nozione contraria a quelle di un soggetto stabile e metteva a confronto la formazione ideologica delle identità sessuali. Delle sue riflessioni due sono gli elementi principali da considerare. Il primo è un “sospetto” circa la premessa che l'eterosessualità sia un'identità sessuale universale e stabile e, come tale, parte di un ordine naturale (sacralizzato). Il secondo elemento è il rendersi conto del fatto che le costruzioni egemoniche dell'identità sessuale hanno storicamente contribuito al consolidamento delle strutture oppressive dei rapporti di potere nella chiesa e nella teologia cristiana” (Marcella M. Althaus-Reid, Concilium 1/2008 , Queriniana).

Il XX secolo ha visto l'emergere di molte teologie (nera americana, africana, asiatica, femministe, indigene e postcoloniali…) originatesi nel tentativo di mettere radicalmente in discussione  i presupposti universalistici dell'identità di un soggetto teologico elaborato attraverso le tendenze colonialiste della teologia europea e statunitense; queste, infatti, nel loro impianto concettuale hanno completamente ignorato, se non per annetterle, le differenze tra i soggetti, l'esperienza e la riflessione storiche e religiose di quelle che, in realtà, sono delle maggioranze: donne, neri, comunità indigene, gay e lesbiche sono infatti stati sottomessi dalle strutture teologico-gerarchiche della discriminazione, del controllo e dell'oppressione religiosa e sociale.

La teologia femminista è stata la prima a identificare quelle ideologie di genere che sostengono un discorso patriarcale di potere nella teologia classica, dove le categorie di "normale" o "naturale" erano sacralizzate come volontà divina. A partire dalla metà degli anni Settanta le teologie gay e lesbiche hanno inoltre evidenziato come l'eterosessualità fosse un'ideologia pervasiva e formativa che ha contribuito non soltanto alla creazione di una struttura di diseguaglianza e di violenza, ma ha anche portato a ignorare l'esperienze religiosa dei non-eterosessuali.

L'irruzione del soggetto sessuale

L'irruzione, nel proprio orizzonte, dell'altro/a complica la vita di ciascuno/a sotto molti aspetti: farsi carico dell'alterità significa molto di più che comprendere il diverso in un discorso familiare. In campo teologico implica tenere in piena considerazione le sfide ermeneutiche e pastorali evidenziate da un soggetto a cui fino a quel momento non era stato dato il diritto di parola: occorre così confrontarsi  non solo con un cambio di orizzonte ma anche con una critica radicale alle metodologie esistenti e con la denuncia di “crimini” commessi dall'ortodossia teologica per ragioni di genere, etnia, classe, sessualità.  Il soggetto sessuale è sempre stato teologicamente insignificante. La teologia sessuale non è mai esistita come tale: mentre gli studi sul genere mettevano a confronto la teologia con la costruzione ideologica dei ruoli della donna (e dell’uomo) nella società, la chiesa ha risposto, e risponde, barricandosi contro la possibilità di prendere sul serio i reali soggetti della storia.

Nella discussione sull'autorità dell'eterosessualità come unico fondamento valido nella chiesa e nella società, le teologie sessuali, come sono quelle lesbiche, gay e queer, hanno interessi comuni, sebbene le differenze fra loro restino. La principale tra queste sta nell'idea che, se tanto l'omosessualità quanto l'eterosessualità sono identità costruite, esistono altre sessualità che non necessariamente rientrano in una qualsiasi di queste categorie (anche l'espressione "non-eterosessuale" perpetua l'idea del primato ideologico dell'eterosessualità). La teologia queer, definendo le identità sessuali esistenti al di fuori del dualismo tra eterosessualità e omosessualità, prende così in considerazione altri soggetti teologici e altre realtà, per esempio il bisessualismo, il transgenderismo — che è proprio di chi non accetta il genere maschio/femmina attribuito dalla società — e il transessualismo — cioé il rifiuto del determinismo biologico (il sesso attribuito alla nascita). Essa fornisce anche una riflessione critica sulla costruzione sociale dell'eterosessualità e sul modo in cui il pensiero eterosessuale influisce sugli eterosessuali stessi. Nel  momento in cui si rivendicano, accanto ai temi della sessualità, argomenti sociali e politici, anche i fondamenti “sessuali” del cristianesimo hanno bisogno di essere ripensati nella prospettiva di un nuovo soggetto teologico.

Teologie plurali

La teoria queer ha anche implicazioni per quanto riguarda l'etica cristiana e la teologia pratica, nel porre domande, per esempio, all'economia sessuale della famiglia e del matrimonio cristiano, all'inclusione/esclusione del corpo nella liturgia e alle norme della spiritualità, contribuendo inoltre alla riflessione sui sacramenti, la cristologia e la dogmatica.

Le teologie queer sono plurali: esistono sottolineature contestuali e approcci diversi che dipendono dalle circostanze storiche e dai bisogni delle comunità specifiche; non sono teologie dell’inclusività sessuale, bensì della differenza. Si rivolgono, infatti, a quell'elemento che sostiene molti dei discorsi e delle pubbliche battaglie della chiesa, la sessualità: invitano a produrre una teologia cristocentrica, della riflessione e dell'azione, un richiamo a un discepolato socialmente impegnato e capace di trasformazione.

Sono teologie legate al contesto in cui si sviluppano, con una preferenza per coloro che si trovano al margine delle ideologie eterosessuali: come tali sfidano il sistema binario di sesso/genere della teologia cristiana, mentre aspirano a trasformare tutte le strutture di peccato della società; l'obiettivo è liberare Dio dalle strutture ideologiche di oppressione che un certo cristianesimo ha storicamente costruito intorno al sacro, alla lettura delle Scritture e alla visione di come dovrebbe essere la chiesa. I teologi e le teologhe queer hanno prodotto strategie per leggere le Scritture al fine di reclamare un soggetto diverso da quello presupposto dai testi: ciò porta allo scoperto elementi nuovi e costituisce una sfida alla "normale" interpretazione della parola di Dio.

Da un punto di vista femminista, liberazionista, queer si vede dunque come la teologia, “lo studio di Dio”, sia lo studio di noi stessi in rapporto a Dio: la spiritualità è la somma di tutto ciò che noi siamo e facciamo, che promuove l’integrità del creato e la pienezza del rapporto giusto con l’Alterità e degli uni con gli altri. Con una comprensione della spiritualità di questo tipo, dobbiamo mantenere una costante attenzione alla “politica” nel mezzo della nostra indagine spirituale, una politica che opera a molti livelli e con molte componenti diverse: la lotta per liberare l'amore di Dio dalle nostre costruzioni precarie e ideologiche di potere sessuale, di genere, razziale, religioso o culturale deve così proseguire tra i credenti.

Corpo “queer” di Cristo (una proposta...)

 “[…] In che modo la nostra spiritualità influenza la comprensione e la percezione del nostro rapporto con tutti e tutto? La spiritualità non è un fatto privato, ma ha delle conseguenze tanto sociali, quanto  personali. La spiritualità è la somma di tutto ciò che noi siamo e facciamo, che  promuove l’integrità del creato e la pienezza del rapporto giusto con Dio e degli uni con gli altri. Con la comprensione della spiritualità di questo tipo, dobbiamo mantenere una costante attenzione alla politica  nel mezzo della nostra indagine spirituale, una politica che opera a molti livelli e con molte componenti  diverse. […] L’intenzione della parola “queer” è di portarci al di là di un’identità nella prassi, in una politica, che ha  molteplici forme in termini di identità razziali, di genere e di identità sessuale.

[…] Io credo che la questione della comunità sia fondamentale al nostro percorso che dovrebbe intrecciare la politica, la spiritualità e la teologia, pertanto, parlerò di comunità soprattutto utilizzando l’immagine del Corpo di Cristo. Possiamo intendere questa immagine a vari livelli: come Chiesa universale, in ogni sua forma; come Chiesa locale, come pane dell’Eucaristia, come Corpo di Cristo vero e proprio, materiale, storico, vedendo in ciascuno/a parte del Corpo di Cristo, chiamati ad incarnare Cristo nel nostro mondo qui ed ora. All’interno del Cristianesimo l’enfasi sulla comunità come corpo, e sul corpo come comunità, è un dato di fatto […] se c’è qualcosa che segna una distanza tra le persone queer e le altre persone, quel qualcosa è proprio il corpo, un corpo diverso, che i queer comunicano, annunciano e celebrano.

[…] Non è facile, però, abbinare l’idea del “Corpo queer” di Cristo al pensiero tradizionale cristiano. Come qualsiasi altra attività umana, anche la religione utilizza gli strumenti ed i metodi che ha a disposizione  per esprimersi; nella Chiesa cristiana delle origini, uno degli strumenti disponibili era l’idea neoplatonica che corpo e spirito fossero fondamentalmente distinti. Lo spirito è buono, superiore, santo, mentre il corpo è inferiore, effimero e forse anche considerato come il male. Contemporaneamente, però, il Cristianesimo parla di incarnazione: questo ha fatto sì che nei secoli opponesse  resistenza ad una visione religiosa che contemplasse solamente l’altro mondo, ma, nonostante  l’incarnazione, rimane sempre la tendenza a dare più valore allo spirito che non alla materia.

[…] L’idea di rovesciare la formulazione giovannea della Parola che diventa carne in modo che sia la carne a divenire Parola, è chiaramente un’idea queer: gran parte della verità viene dal corpo. Chi è e quali sono il Corpo ed i Corpi di Cristo? Per i queer, i Corpi di Cristo sono sia il Corpo materiale, attuale di Cristo, ma sono anche i nostri corpi e sono tutti quei corpi in  rapporto gli uni agli altri. Questo essere in relazione include tutte le possibilità aperte a due o più corpi, o anche ad uno solo. In altre parole, il sesso e la sessualità non sono esclusi né dal Corpo di Cristo, né dai Corpi di Cristo, né dai nostri corpi.  Dire che i Corpi di Cristo costituiscono il Corpo di Cristo, potrebbe sembrare non  molto diverso dal sostenere che tutte le persone fanno parte del Corpo di Cristo. Tuttavia, nella  comprensione tradizionale del Cristianesimo, si chiedeva a molte persone di fede di rinunciare a quelle  parti del proprio corpo che non rientravano nel sistema. Così molti di noi sono rimasti esclusi, non  hanno mai fatto parte del Corpo di Cristo, oppure ne sono usciti; invece quelli che c’erano hanno in  qualche modo lasciato altrove il loro pene, la loro vagina o qualsiasi altro carattere sessuale avessero.

[…] Il corpo di Cristo non è passivo; il Corpo di Cristo non può solo pregare silenziosamente, e in modo composto, in decoro appropriato e nell’obbedienza dell’autorità; quel Corpo non è disincarnato, asessuato e inaridito. Questa è la spiritualità della strada, di tutti quei luoghi dove la gente si raccoglie per condividere il nutrimento, l’amore e la passione degli uni con gli altri. Questa è anche una  spiritualità di una chiesa che ascolta i suoi membri più umili, una chiesa dove anche le donne che vendono i propri corpi sulla strada fanno teologia, pregano, e guidano processioni sacre ai palazzi dei vescovi a dire di offrire nutrimento ai poveri, di recare disturbo ai ricchi, e di scomodare gli  agiati. Questa è una spiritualità in cui tutti sono i benvenuti, indipendentemente dalla loro posizione, dal  loro credo, dalla loro possibilità di pagare, dalla loro salute fisica, mentale o spirituale.

[…] Suggerisco di ammettere i nostri desideri apertamente, di amare attivamente i corpi gli uni degli altri, toccandoli, sentendoli e guarendoli, di trovare modi  per invitare gli sporchi, gli affamati, i malvestiti e gli ammalati in un posto chiamato casa. Propongo che  ogni domenica, ed eventualmente anche in altri momenti, apriamo le nostre tavole di comunione a tutti,  non solo lasciando che essi entrino a nutrirsi, ma anche annunciando che il cibo è per tutti i  popoli e che tutti siamo “popolo di Dio”. E’ quest’ultimo punto che l’essere queer deve evidenziare  come un obiettivo spirituale. Dopo una vita di reclusione e di scherno, di messa al rogo, di impiccagione  al pubblico palo, dopo avere subito la mutilazione ai genitali, dopo essere stati etichettati come malati e  pervertiti, essere stati esclusi dai sacramenti e dal rito di ordinazione, essere stati privati dell’affido e della possibilità di avere figli ed essere stati danneggiati nei più semplici e fondamentali diritti legali di cittadini, dopo tutto  questo ed altro, nessuna persona che s’identifichi come queer vuole escludere nessuno altro da qualsiasi  bene e da qualsiasi divino.

[…] Secondo il pensiero tradizionale, lo spirito può guarire il corpo, ma secondo il pensiero queer può avvenire anche viceversa che il corpo guarisca lo spirito: fonte della nostra vitalità spirituale è la potenza divina di un tocco corporeo affettivo. Tale tocco affettivo, amorevole include l’impegno per la giustizia, per fare in modo che le comunità diventino più capaci e più accoglienti verso la diversità. Attraverso il lavoro sul nostro corpo, sia personale che politico, si scopre la nostra forza spirituale” (pastore Robin Hawley Gorsline, Relazione al V Convegno Nazionale REFO, Roma 2003).

Una spiritualità accogliente

La spiritualità e la teologia queer sfidano il normale, in particolare quando “la normalità” (sociale, politica, delle convenzioni) limita la serenità, l’integrità, il diritto all’esistenza ed il benessere dei corpi. L'etica queer, dunque, a differenza di molta ortodossia cattolica, non chiede una negazione del proprio essere ad ogni costo ma, anzi, invita ad accogliere e a “celebrare” ognuno/a di noi in maniera autonoma e nello stesso tempo partecipe.

Un’etica queer (per l’essere umano, per la società, per il mondo) dovrebbe sempre prendere i considerazione chi siamo e la nostra situazione di partenza nelle relazioni con gli altri/e. Da quanto visto finora, essere queer vuol dire essere autonomi, non permettere ad altri di pensare per noi, avere una visione del mondo “altra”, affermare, per i/le credenti, che la nostra liberazione è poter interpretare la Scrittura e non il contrario.

Nel costruire un'etica queer occorre cominciare dalla nostra esperienza di vita, dato che, ad esempio, quanti hanno scritto e compilato il “canone cristiano” lo hanno fatto da un altro (loro) punto di vista, un'altra visione del mondo (quella del patriarcato e della complementarietà eterosessuale). Il che non vuol dire, tuttavia, che la Scrittura e la Tradizione debbano essere ignorate o completamente stravolte e adattate.

Dovendo portare quello che noi siamo nel discorso etico, come possiamo vivere con noi stessi, la società, il mondo? Per alcuni teologi queer il concetto di amicizia è di enorme importanza, non nel senso che tutti/e devono essere amici di tutti/e, ma nel senso che i principi e i valori inerenti al concetto di amicizia dovrebbero essere la norma: l'amicizia, infatti, si origina dal rispetto reciproco e dal consenso. L'amicizia andrebbe nutrita non solo nei confronti di altri/e cristiani ma con tutte le persone di diversa fede (o di nessuna) che vengono a contatto con noi; va ricercata anche con la terra e il creato. Essere “un/a amico/a” è un atteggiamento personale e politico, individuale e sociale.

In questo senso si delineano i presupposti di una “nuova etica”, nella quale il concetto di amicizia diventa centrale come meccanismo relazionale veramente salvifico, in quanto privo del meccanismo di dominazione che caratterizza altri modelli relazionali, in primis quello uomo-donna nella sua connotazione più tradizionale. E' per questo che il modello relazionale queer non basandosi su quello della dominazione-controllo-possesso dell'altro, diviene il paradigma di nuove relazioni e di nuovi rapporti, anche nello schema uomo-donna.

Coltivare l'amicizia offre, dunque, la speranza di respingere valori fondamentalisti ed egoistici che allontanano dalla vita, dalle relazioni per arrivare ad affermare la vita, la convivenza solidale. L'amicizia offre, individualmente e collettivamente, la possibilità di entrare in connessione con noi stessi/e, con gli altri/e, con la terra, con i ritmi e le potenze della vita. Per vivere una vita al “meglio possibile”, una vita che si manifesti in una comunità (e in una società) dove nessuno sia considerato/a inferiore o superiore, moralmente e eticamente “sano” o “malato”, una vita che porti i/le credenti a vivere la propria fede in tutta la sua pienezza, nell'impegno quotidiano verso gli altri/e, verso se stessi/e.

(a cura di ) Paolo S.


Bibliografia

AA.VV., Religion is a Queer Thing: A Guide to the Christian Faith for Lesbian, Gay, Bisexual and Transgendered People, Cassell, London 1997
Althaus-Reid Marcella M., Teoria queer e teologia della liberazione. L’irruzione del soggetto sessuale in teologia, in: Concilium 1/2008 - Le omosessualità, Queriniana, Brescia 2008
Antosa Silvia  (a cura di), Omosapiens 2: spazi e identità queer, Carocci, Roma 2007
Bellagamba A., Di Cori P., Pustianaz M. (a cura di), Generi di traverso, Edizioni Mercurio, Vercelli 2000
Butler Judith, Corpi che contano, Feltrinelli, Milano 1996
Butler Judith, Scambi di genere, Sansoni, Milano 2004
De Lauretis Teresa, Queer Theory: Lesbian and Gay Sexualities. An Introduction, in: Differences, 1991, 3 (II)
De Lauretis Teresa, Pratica d'amore: Percorsi del desiderio perverso, La Tartaruga, Milano 1997
Kosofsky Sedgwick Eve, Epistemology of the Closet, University of California Press, Berkeley 1990
McMahon John, Queer living: Ethics for ourselves, our societies and our world, Cassell, London 1997
Preciado Beatriz, Manifesto contra-sessuale, Il Dito e La Luna, Milano 2002
Rothblatt Martine, L'apartheid del sesso, Il Saggiatore, Milano1997
http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_queer