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Omosessualità e diritti umani
(Seppur dopo molti  anni, i temi affrontati, le riflessioni proposte, il linguaggio utilizzato sono più che mai attuali e stimolanti e lo riteniamo ancor oggi un contributo essenziale)

di Ferruccio Castellano
 

Nel 1953 la rivista di cultura internazionale «Ulisse» dedicò una monografia al tema: "L'omosessualità e la società moderna" (1). Fra i vari saggi se ne trova uno di Pietro Agostino D'Avack, allora ordinario di diritto ecclesiastico all'Università di Firenze, che illustra anche molto efficacemente quale fosse il punto di vista della chiesa cattolica sull'omosessualità e perché. D'Avack, che costituisce oggi un'indubbia autorità nel campo del diritto ed un significativo riferimento per i giuristi democratici, a quei tempi annotava: «Sotto l'influenza della tradizione ebraica e soprattutto con quel disgusto profondo per ogni forma di piacere e voluttà carnale che dominò il pensiero e la dottrina cristiana dei primi secoli, la chiesa considerò fin dalle sue origini con vero orrore il vizio della sodomia, ma non lo fece oggetto di sue immediate prescrizioni e sanzioni, trattandosi di un'aberrazione da cui i suoi fìdeles dovevano essere ancora completamente immuni»(2).
L'avvento degli anticoncezionali, le lotte delle donne e quelle degli omosessuali hanno cambiato profondamente la nostra immagine della sessualità. Lo psichiatra cattolico inglese Jack Dominian ha sottolineato la portata di questo mutamento con le seguenti parole: «Stiamo entrando in un'epoca storica del tutto nuova, in cui la fecondazione sarà quasi completamente sotto il controllo dell'uomo. Assistiamo così alla fine di un'era che ha collegato in modo prevalente il piacere sessuale con la procreazione. Nessuno può aggirare o negare questa realtà fondamentale» (3).
I cristiani non possono restare — e difatti non restano — indifferenti a questo cambiamento e la presenza di un capitolo come questo in un libro sui diritti umani nella chiesa (Il libro in questione è "I diritti umani nella Chiesa cattolica" - ancora disponibile presso l'associazione Viottoli) sta a dimostrarlo.
 
 
L'omosessualità è un diritto umano?
 
La nostra legislazione non configura la relazione omosessuale come indipendente titolo di reato. Il progetto preliminare del nostro codice penale prevedeva il reato di «relazioni omosessuali» punibile «se dal fatto derivi pubblico scandalo» (4). Il progetto definitivo soppresse questa ipotesi perché, secondo il Guardasigilli, «il turpe vizio [...] non è così diffuso in Italia da richiedere l'intervento della legge penale». Tuttavia la nostra legislazione appresta contro l'omosessualità dei mezzi indiretti. Penso in particolare a quegli articoli del codice penale dove si fa riferimento alla moralità pubblica. L'articolo 527 recita: «Chiunque, in luogo pubblico, o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni, è punito con ecc. ...». Ma che cosa intende il nostro codice per «osceno»? L'articolo 529 definisce così gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento offendono il pudore. Senza entrare ora nel merito delle tendenze interpretative che la giurisprudenza ha adottato (per l'analisi di queste rinvio volentieri alla relazione fatta da Enzo Cucco al VI Congresso Nazionale del «Fuori!»(5) ), vogliamo però metter in luce la pericolosità di questa legge per gli omosessuali.
L'ambiguo richiamo alle «giuste esigenze della morale» — senza meglio precisare di quale «morale» si tratti (quella di Wojtyla o quella di Khomeini, di Al Fatah o di Fidel Castro?) — si trova anche nell'articolo 29 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite. È chiaro in questo modo che la «libertà di pensiero, di coscienza e di religione» sancita all'articolo 18 della medesima Dichiarazione, per «ogni individuo», è fortemente limitata.
Sebbene l'orientamento sessuale non fosse stato esplicitamente previsto dalla Dichiarazione tra i possibili fattori di discriminazione. L'articolo 2 della stessa comprende due proposizioni che estendono, secondo noi, il principio della non discriminazione anche agli omosessuali: "Ad ogni individuo — dice l'articolo — spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione".
Anni fa, Norberto Bobbio riaffermava che, «rispetto ai diritti dell'uomo, il problema grave del nostro tempo era già non quello di fondarli ma di proteggerli» (6). Per quanto concerne i diritti degli omosessuali mi pare che ciò sia vero solo in parte e cioè che il problema della loro fondazione non sia affatto risolto. Meno di due anni fa «L'Europeo» e «Lambda» condussero un'inchiesta sulla condizione omosessuale in Italia e in quell'occasione Bobbio liquidò il problema dicendo: «D'omosessualità non m'intendo, e non ritengo serio da parte mia rispondere alle vostre domande» (7).
Che un omosessuale abbia gli stessi diritti degli altri uomini «alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona», come recita l'articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ovvero «alla libertà di pensiero» e «alla libertà di opinione», come recitano rispettivamente gli articoli 18 e 19, non è affatto acquisito ne in sede internazionale, ne nel nostro paese, ne tantomeno nella chiesa cattolica.
Il problema, dunque, è duplice; affermare i diritti umani degli «omosessuali» e affermare il diritto umano all'omosessualità. Diverse osservazioni — non ultima quella sulla difficoltà a definire la categoria degli «omosessuali» (per questo abbiamo messo la parola fra virgolette) — ci inducono a sottolineare specialmente quest'ultimo diritto anche se qualcuno potrebbe obiettare — giustamente — che l'omosessualità non è un diritto ma una realtà.
 
 
La crociata di Wojtyla
 
Col papa Giovanni Paolo II la chiesa cattolica si è fatta nuovamente corresponsabile del rafforzamento del pregiudizio anti-omosessuale nel mondo. Giovanni Paolo II è anzi il primo papa che leva la propria voce personalmente e pubblicamente contro l'omosessualità.
Nel giugno 1980 si è svolto presso il Centro ecumenico di «Agape», nelle Valli Valdesi, un incontro internazionale sul tema: «Fede cristiana e omosessualità». L'idea di organizzare questo incontro — il primo del genere in Italia — era maturata prima che Giovanni Paolo II prendesse posizione sull'argomento (8). Ma il papa, col suo intervento, «orientativo e illuminante» come ebbe a dirci il cardinale Ballestrero, ci ha fatto davvero capire molte cose. Dopo il discorso di Chicago, un amico del movimento francese «Christianisme et homophilie - David et Jonathan » (movimento che conta fra i suoi membri centinaia di preti e che, almeno sin qui, non si poteva certamente considerare irrispettoso del Magistero) scriveva: «È certo, in ogni caso, che la situazione è bloccata [...] da parte dell'autorità della Chiesa romana e che non dobbiamo nutrire alcuna illusione circa un'evoluzione negli anni a venire» (9).
La maggior parte dei commentatori si sono fermati alla prima parte del brano dove il papa, citando i vescovi americani, disse: «Il comportamento omosessuale [...] in quanto distinto dall'orientamento omosessuale, è moralmente disonesto». A partire da questa valutazione il papa aggiunse: «Voi non avete tradito coloro i quali, a motivo dell'omosessualità, si trovano di fronte a diffìcili problemi morali, come invece sarebbe successo se [...] aveste suscitato una falsa speranza, ecc.». Dopo questo discorso, con quale faccia potrei andare dai miei fratelli e sorelle a dire: «Guardate che il papa l'ha fatto per il nostro bene»? Mi sembra molto più onesto dire: da oggi noi possiamo contare unicamente sulle nostre forze, o meglio: su quelle che Dio ci darà.
Su «Rocca» del 15 novembre 1979, Giovanni D. scriveva: «Cosa vuoi dire per un essere umano essere omosessuale? Significa essere sempre sbagliato: sbagliati i suoi sentimenti, le sue azioni, le sue aspirazioni. È sbagliato trasformare la sua amicizia in amore. È sbagliato voler avere un dialogo chiaro coi genitori che inorridiscono. È sbagliato volerne parlare coi fratelli perché li si rovina. È sbagliato manifestare il proprio affetto verso un altro perché ciò è esibizionismo. È sbagliato pregare assieme agli altri perché è indegno di tutte le chiese. È sbagliato vivere». Ma anche le persone «sbagliate» hanno una loro funzione sociale ben precisa e dei posti fatti «su misura». In certi paesi, per l'omosessuale c'è ancora il carcere. Da noi restano: lo psichiatra, il marciapiede e, per i soli credenti, il confessionale.
Personalmente, ciò che mi ha ferito, ma che mi ha anche spinto a riflettere seriamente e per la prima volta sulla realtà della violazione dei diritti umani nella chiesa cattolica, è stato constatare che l'intervento di Giovanni Paolo II non fu un «incidente», ma una scelta ben precisa e quasi doverosa. Basti ricordare le precisazioni del segretario di Stato vaticano, cardinale Agostino Casaroli, secondo cui il papa «non fece alcuna eccezione nella valutazione morale negativa di certi atti: essi restano in se stessi illeciti, anche quando in un soggetto vi siano tendenze devianti, a lui non imputabili» (10).
Tali interventi, come fu subito messo in luce da più parti, nella misura in cui riescono a influenzare la mutevole opinione pubblica, sono profondamente lesivi per tutti gli omosessuali, credenti e non credenti. In occasione della visita di Giovanni Paolo II a Parigi, nel maggio 1980, il movimento «Christianisme et Homophilie - David et Jonathan» ha scritto al papa una lunga lettera in cui ricordava la gravità delle dichiarazioni di Chicago: «Si dovette aspettare il Concilio — scrivevano fra l'altro gli amici francesi — per prendere coscienza che l'atteggiamento della chiesa aveva contribuito a rafforzare l'antisemitismo e aveva preparato gli orrori del nazismo. Anche cinquecentomila omosessuali furono vittime dei campi di concentramento e perdettero la vita a motivo della loro omosessualità. Bisognerà aspettare altri massacri simili perché la chiesa si renda conto della pericolosa responsabilità ch'essa ha rafforzando il pregiudizio anti-omosessuale nella mentalità contemporanea? ».
L'esempio più prossimo e più significativo della crociata di Wojtyla si è avuto a Torino. Utilizzando la rubrica dei lettori di un quotidiano laico (giacché per quello cattolico l'argomento è ancora tabù), il gesuita Giovanni Costa S.J., poco dopo il discorso del papa, interveniva paragonando l'omosessualità alla cleptomania (11). Non so se Costa abbia mai riflettuto sui meccanismi che scattano nei confronti di coloro che compiono atti socialmente riprovati. Quando si innescano tali meccanismi quale efficacia può ancora avere la distinzione fra peccato e peccatore? Anche per queste ragioni riaffermiamo che rivendicare i diritti omosessuali degli uomini è un tutt'uno col rivendicare i diritti degli omosessuali.
 
 
La condizione omosessuale
 
La lotta di liberazione degli omosessuali e credenti oggi si giova dell'esperienza delle lotte condotte sin qui da un lato dai marxisti e credenti: pensiamo all'affermazione della legittimità di scelte difformi nel mondo cristiano, alla questione dei rapporti tra il temporale e lo spirituale, all'analisi dei rapporti fra potere ed emarginazione e fra repressione e sottomissione ecc. Dall'altro lato tiene conto dell'esperienza delle femministe e credenti: in particolare l'analisi parallela della storia maschilista ed eterosessuale, la necessità di una rilettura della Bibbia non «dalla parte delle donne » ne «dalla parte degli omosessuali», ma piuttosto cercando di ritrovare il messaggio originario, la ricerca della parità nella diversità, la contestazione dei ruoli imposti ecc. Gli omosessuali e credenti perciò non partono da zero. Quand'anche sembra che diano per scontate alcune cose (come ad esempio la stessa possibilità di essere omosessuali e credenti), in realtà si servono dei contributi di lotte precedenti. Ma soprattutto possono lottare con altri ed altri possono lottare con loro.
La condizione omosessuale, quella femminile e quella degli oppressi in generale, hanno in comune una sola genesi: gli oppressi esistono perché ci sono degli oppressori. La condizione femminile è il prodotto di una storia maschilista. La condizione omosessuale (non l'omosessualità) è il prodotto di una storia eterosessuale.
Vogliamo approfondire questa analisi per ciò che riguarda la condizione omosessuale così come viene intesa dai nostri contemporanei e come la viviamo noi.
La divisione dell'umanità in eterosessuali e omosessuali corrisponde molto male alla realtà: «Il mondo non è diviso in pecore e montoni — diceva Kinsey —. Nulla è tutto nero. Nulla è solamente bianco»(12). Malgrado ciò, anche la chiesa cattolica, che ha sempre giudicato come manichea l'analisi di classe della società capitalista, non ci pensa due volte a propagandare una divisione dell'umanità fondata sull'orientamento sessuale delle persone. Ma in quest'ultimo caso, i «buoni» ed i «cattivi» corrispondono ai suoi desiderata, mentre con l'analisi di classe accade il contrario.
Al tempo della Bibbia, e fino solo a cento anni fa, gli «omosessuali» come categoria non esistevano. Gli uomini erano tutti «normali», l'omosessualità era un comportamento (sodomia) e non una condizione. Inoltre la sodomia poteva essere anche un comportamento eterosessuale. I sodomiti pertanto non potevano essere considerati una categoria di persone a sé stante, tanto più che bastava che smettessero di «commettere» tali atti per cessare di essere sodomiti.
Nel 1862, Karl Heinrich Ulrichs coniò il termine «Urning» (uranico) per riferirsi agli omosessuali, allora considerati come un «terzo sesso». Sette anni dopo, Benkert inventò la parola «omosessuale». Per dirla con Foucault, mentre «il sodomita era un recidivo, l'omosessuale ormai è una specie»(13). Contemporaneamente Benkert metteva già in luce una delle principali funzioni degli omosessuali: quella di creare capri espiatori per la maggioranza (14). Un'altra capitale funzione degli omosessuali fu quella di diventare principio di identificazione dei neo-eterosessuali. Non per nulla le due «specie» — eterosessuali e omosessuali —furono subito contrapposte nonostante che la linea di separazione fra eterosessualità e omosessualità sia indefinibile.
Come ha fatto notare anche Tordjmann (15), è pure molto significativo il fatto che non si diceva — e non si dice — di una persona: «Ha un orientamento omosessuale», ma «è omosessuale» — e nei nostri dialetti: cupio, finocchio, ricchione, frocio ecc. — volendo in questo modo deliberatamente ridurre una persona al suo solo comportamento sessuale. Eppure — c'è bisogno di insistere? — l'omosessualità è semplicemente una tendenza che coesiste accanto ad altre e anche accanto all'eterosessualità. Essa non nega né l'eterosessualità né la complementarità degli organi genitali più di quanto la neghi il bacio o qualunque altra espressione della sessualità che non sia il coito eterosessuale.
E allora perché si è imposta questa classificazione? Per salvarsi da che cosa la società ha sentito il bisogno di etichettare ed emarginare «gli omosessuali»? Penso che nemmeno per coloro che oggi si trovano a ricoprire il ruolo di «eterosessuali» sia facile rispondere a queste questioni. Possiamo supporre che forse la scoperta dell'omosessualità come orientamento (per cui i sodomiti non dovevano essere più semplicemente delle persone che indulgevano a certe pratiche sessuali, ma persone che seguivano una tendenza connaturale e forse universale) abbia rischiato di mettere in crisi una concezione della sessualità, bene o male rassicurante per le persone, la società e la chiesa. Un'educazione ed una consuetudine di pensiero che duravano da duemila anni avevano convinto tutti che Dio «li creò maschio e femmina» e che il rapporto eterosessuale fosse l'unico valido. Forse è stato più facile inventare una nuova parola che rimettere in discussione le proprie credenze.
Questi brevi cenni possono anche essere inesatti o incompleti. Ciò che è grave è che tutto questo continua a tradursi nell'esistenza di milioni di fratelli e sorelle che vivono questa condizione, in violazione dei loro diritti umani, dentro e fuori la chiesa, e la responsabilità della chiesa cattolica al riguardo è incalcolabile.
 
 
La giustificazione del «contro natura»
 
I diritti omosessuali degli uomini sono negati dalla chiesa in nome della legge naturale. Fra le giustificazioni addotte dai moralisti per la condanna dell'omosessualità v'è infatti l'idea che essa sia contro natura (non dimentichiamo però che dietro a ciò c'è soprattutto il disgusto profondo per il piacere sessuale).
Io non sono un moralista, non ho «ricette» pronte, parto semplicemente da una situazione che mi sembra disumana: che una persona non possa guardare tranquillamente dentro di sé, che non possa parlare apertamente nemmeno coi suoi famigliari, che non possa esprimere liberamente il suo affetto e i suoi sentimenti migliori, tutto ciò è intollerabile. Non c'è nulla che giustifichi l'oppressione dell'uomo da parte dell'uomo. Io non posso accettare che questo avvenga in nome di un'ideologia, di una filosofia, di una teologia o di una morale che considera l'omosessualità contro natura. Soprattutto non riesco a capacitarmi del fatto che, mentre noi passiamo il tempo a discutere che cosa s'intende per natura e contro natura, i nostri fratelli e sorelle muoiano. Anche per questo, se il papa in America invece di lanciare anatemi si fosse degnato di visitare un gruppo di omosessuali, questo gesto ci sarebbe sembrato molto più evangelico.
In questi ultimi anni, nella chiesa cattolica, sul tema dell'omosessualità, agli articoli dei moralisti hanno incominciato ad affiancarsi dei pronunciamenti autoritari. Mentre Wojtyla la sua condanna non l'ha minimamente motivata (ha detto però di riferirsi a un documento dell'episcopato statunitense), la Dichiarazione vaticana del 1975 affermava che, «secondo l'ordinamento morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile» (16).
La contraddizione fra il tono deciso (possiamo dire «virile»?) di queste condanne e la fragilità dei loro presupposti è fin troppo evidente: il concetto di natura è ambiguo e la legittimità della chiesa di appellarsi alla legge naturale è discutibile. Cerco di precisare meglio questi due punti. Parto dal primo: la chiesa quale lingua parla? Che cosa intende per «natura»? Si tratta di un concetto scientifico o prescientifico, fisico o metafisico? E la gente, in un periodo come l'attuale in cui l'ecologia è di moda, quale interpretazione darà alla parola «natura»? Scambierà l'omosessuale per un sovvertitore dell'equilibrio naturale o invece penserà che anche l'omosessualità abbia una propria funzione nell'organizzazione della natura?
I1 primo richiamo alla natura venne fatto da Paolo nella Lettera ai Romani. L'atteggiamento della tradizione nei confronti della sessualità è talmente distruttivo che non meraviglia che essa abbia fatto del brano di Paolo l'uso che sappiamo. La cosa grave è che questa non è «acqua passata», perché il testo di Paolo è quello citato dalla Dichiarazione vaticana allo scopo di "dimostrare" che le relazioni omosessuali costituiscono «la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio».
Il secondo punto è questo: per il cristiano la «natura» può essere termine di riferimento? Il dibattito più recente e vasto su questo problema è probabilmente quello che si è svolto all'interno del dibattito sul1' Humanae vitae. In tale enciclica, pubblicata nel 1968 per condannare l'uso dei contraccettivi, Paolo VI scriveva: «Nessun fedele vorrà negare che al Magistero della chiesa spetti di interpretare anche la legge morale naturale. È infatti incontestabile, come hanno più volte dichiarato i nostri predecessori, che Gesù Cristo, comunicando a Pietro e agli apostoli la sua divina autorità ed inviandoli ad insegnare a tutte le genti i suoi comandamenti, li costituiva custodi ed interpreti autentici di tutta la legge morale, non solo cioè della legge evangelica, ma anche di quella naturale, essa pure espressione della volontà di Dio» (17). Mi addolora che Paolo VI abbia scritto queste cose e mi dispiace che abbia detto che fossero «incontestabili». Molti infatti sono di parere diverso. Scrive a questo proposito Mons. Luigi Bettazzi: «... si insisteva sulla procreazione come fine "primario" del matrimonio, quale è appunto per i "naturalisti" portati a giudicare "primario" ciò che è comune a tutta la natura, quindi anche agli animali; mentre è "primario" per dignità ciò che è caratteristico dell'uomo, l'amore, a cui tutto il resto va finalizzato» (18). In un libro che cerca di fare il punto del dibattito sulla Humanae vitae a dieci anni dalla pubblicazione, il pastore Mario Sbaffi scrive: «II richiamo alla legge naturale presentata come immutabile non può quindi essere colto anche perché, col progresso delle nostre conoscenze e con le mutazioni socio-culturali, il suo contenuto è in costante evoluzione» (19).
La condanna dell'omosessualità da parte della chiesa propone dolorosamente anche il problema dei rapporti tra fede, scienza e potere. Il messaggio agli intellettuali inviato dai Padri del Vaticano II è rimasto inascoltato? Purtroppo, leggendo certi moralisti ed anche certi «scienziati», parrebbe di sì. In occasione del congresso di Sanremo del 1972, il «Fuori! » distribuì un volantino in cui si diceva tra l'altro: «Questo congresso è organizzato dalla Società italiana di sessuologia, il cui statuto, contenuto nella rivista "Sessuologia" 1960 n. 1, rivela chiaramente l'intendimento di ispirarsi alle vedute della chiesa cattolica nell'ambito degli studi sessuologici. Se la vostra fosse una scelta puramente e dichiaratamente morale, se voi vi poneste nella veste semplicemente di chi ha attuato delle scelte che possono essere rifiutate o discusse ma mai imposte, noi non avremmo nulla da obiettare. Ma voi vi siete nascosti, dietro il vostro ruolo di medici e di scienziati per imporre una norma che rappresenta soltanto una vostra scelta e che, al di là di ogni pretesa di cattolicesimo vissuto, non è altro che una scelta borghese» (20).
 
 
Omosessuali e credenti: una realtà
 
Dati i gravi ritardi storici della chiesa cattolica nel conoscere i diritti umani, potrebbe sembrare prematuro parlare dei diritti degli omosessuali all'interno della chiesa, tanto più che, almeno in parte, il diritto all'omosessualità è ancora da fondare e la chiesa rimane complice della persecuzione degli omosessuali. Ma è proprio quest'ultimo fatto a rendere il discorso particolarmente urgente.
Gli omosessuali e credenti hanno incominciato a prendere coscienza della loro oppressione all'interno delle loro chiese in quanto omosessuali e, nel corso degli anni settanta, hanno incominciato a riunirsi fra di loro in tutte le principali nazioni (Stati Uniti, Australia, Canada, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Germania Occidentale, Francia, Belgio, Spagna). Questi gruppi, il cui scopo principale è quello di aiutare gli omosessuali e credenti, hanno portato alla luce una discriminazione che nel cuore delle chiese cristiane è particolarmente scandalosa.
Questi cristiani, che hanno rifiutato ogni compromesso in ordine al loro orientamento sessuale (e se è facile immaginare la gioia che questa liberazione ha apportato loro, non è diffìcile immaginare le difficoltà di ogni genere che essi incontrano), difficilmente possono accettare dei compromessi nel campo della fede. A questo riguardo, e per via della nostra esperienza molto più dura, la nostra posizione è molto diversa da quella, per esempio, di quelle coppie eterosessuali che ricorrono con la medesima facilità e noncuranza alla pillola e poi al confessionale.
Un tempo, per gli omosessuali, la loro identità era forse qualcosa più imponderabile della religione che potevano «vedere e toccare». Il passaggio, da un lato, da una religiosità tradizionale ad una fede personale e, dall'altro, da un'omosessualità assunta male ad un'omosessualità vissuta con gioia, non può non provocare un ribaltamento della situazione. Coloro che si sono trovati a dover scegliere hanno optato per l'amore: «Allora, non senza tristezza e senza nostalgia — scrive un amico — sono passato oltre. Forse avrei potuto trovare un prete più lassista, barare un po' con la Legge, ma non amo i compromessi ed ho scelto di non vivere più secondo il diritto canonico, ma secondo l'amore, il mio amore, il nostro amore» (21).
Mi pare che per gli omosessuali e credenti non ci siano oggi altre strade: o rifiuto globale della chiesa e del Vangelo oppure incominciare a distinguere fra chiesa e Vangelo. In questo senso, il dibattito su «fede cristiana e omosessualità» contribuisce a mettere in luce delle mistificazioni molto grosse. «Fede cristiana e omosessualità - dicevo ad Agape - sono due realtà indipendenti, ma oggi la coincidenza di questi due aspetti nella vita di molti di noi può portare ad una maggiore autenticità sia nella fede cristiana che nella lotta omosessuale. Sono convinto che, ancora una volta, non potrà non essere salutare per i cristiani distinguere ciò che essi sono da ciò che essi credono in rapporto al Signore». E, subito dopo l'incontro di Agape, un amico mi scriveva: «Ripensando alle cose sentite e vissute, mi lavora dentro l'intuizione che il percorso dove l'omofilia incrocia la ricerca cristiana, pur restando una pista deserta e lacerante, può diventare anche il luogo di una insospettata freschezza dell'Evangelo. Saremo capaci di inventare una nuova etica, una nuova spiritualità della tenerezza, un'arte di vivere che non rinneghi ma valorizzi anche ciò che di più inquietante abita le nostre vite? Infine come creare un tessuto di fraternità (e penso ai volti dei compagni incontrati), che non sia un'illusione per fuggire la propria parte di solitudine, ma un prendersi per mano affettuoso, un aiutarsi a camminare nella serietà e nella festa, nella solitudine e nella comunione?».
Da questo punto di vista, credo che per la comunità cristiana gli omosessuali non dovrebbero essere solo dei fratelli da non discriminare e emarginare, ma dei fratelli che con la loro battaglia possono aiutare tutta la chiesa a diventare più evangelica. È un ulteriore motivo, e non di poco conto, perché la «loro battaglia» diventi lotta di tutti. Cessi di essere (se lo è, dove lo è) un discorso corporativo di una minoranza che cerca un'impossibile integrazione in una chiesa (e in una società) eterosessuale e destinata a rimanere tale e diventi finalmente un discorso che investe più profondamente tutta la comunità. Quando l'omosessualità sarà davvero accettata - non parlo dell'omosessualità degli «omosessuali» ma dell'omosessualità di tutti - allora scompariranno le divisioni esistenti. Questo vorrà dire che la chiesa avrà rinunciato per sempre ad una dottrina ed una prassi che escludono dalla comunione ecclesiale dei fratelli a motivo del foro orientamento sessuale. Sarà diventata Una, cioè finalmente la chiesa-di-tutti-gli-uomini.
L'ultimo pensiero desidero rivolgerlo affettuosamente, personalmente (ho fatto così anche ad Agape), a coloro che non accettano la loro omosessualità, non solo perché conosco la loro sofferenza, ma anche perché troppo spesso questi fratelli non hanno coscienza dei nostri diritti.
La questione dei diritti umani degli e delle omosessuali, dentro e fuori la chiesa, è oggi principalmente un problema di autodeterminazione, di riappropriazione della nostra vita. Io ho parecchi amici eterosessuali a cui devo molto. Parecchie iniziative recenti hanno potuto realizzarsi grazie all'intuizione e all'amore dei fratelli eterosessuali. La comunità deve prendere coscienza non solo del dovere di non emarginare gli omosessuali, ma altresì dell'importanza di questa lotta per la fede e la liberazione di tutti. Ma la battaglia numero uno sono gli omosessuali che devono condurla e gli amici che fanno più fatica ad accettarsi ci ricordano molto opportunamente che sovente il campo di battaglia è anche qui: in noi stessi.
Essi purtroppo credono che ciò che si dice (o che taluni dicono) sul nostro conto sia vero. Sono disprezzati ed hanno finito per disprezzarsi. Si sentono degli handicappati, vittime di un «misterioso e drammatico scherzo della natura» (come mi scriveva un fratello): in altre parole il loro cuore li condanna. Ad essi, che sono fra tutti, i fratelli che amo di più, desidero prima di terminare, ricordare le parole di Giovanni: Anche se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore (I. Giov. 3,20).
L'orizzonte di questa battaglia e di questo cammino di liberazione mi pare felicemente espresso nel Documento finale del campo di Agape. Esso si trova negli atti dell'incontro (che sono stati pubblicati).

(da: AAVV, I diritti umani nella Chiesa Cattolica, Claudiana Editrice 1981, pagg.115-130)

 

 
NOTE
 
(1) "Ulisse", anno VII, vol. III, fascicolo XVIII, primavera 1953
(2) ivi, pag.686
(3) JACK DOMINIAN, Proposte per una nuova etica sessuale, Claudiana, Torino 1979, pag.22
(4) SALVATORE MESSINA, L'omosessualità nel diritto penale, in "Ulisse", n. cit., pag. 672
(5) ENZO CUCCO, Norme discriminanti l'omosessualità, in "Fuori!", n° 19 settembre - ottobre 1978, pag. 13
(6) NORBERTO BOBBIO, I diritti del'uomo si fondano sul consenso di tutta l'umanità, in: I.VERGNANO, I diritti umani, Paravia, Torino 1978, pag. 1
(7) "Lambda", novembre - dicembre 1978, n° 18-19, pag. 3
(8) Giovanni Paolo II, Incontro con i vescovi degli Stati Uniti d'America, in: L'Osservatore Romano, 07/10/1979, pag. LXI
(9) JEAN CLAUDE VILBERT, A' propos du discours de Jean Paul II à Chicago, in "David et Jonathan", n° 26, dicembre 1979, pag. 17
(10) "La Nazione", Firenze, 07/12/1979
(11) P. GIOVANNI COSTA s. j. , rubrica "Specchio dei Tempi", "La Stampa", 17/10/1979
(12) ALFRED C. KINSEY, Il comportamento sessuale dell'uomo, Bompiani 1950, pag. 523
(13) MICHEL FOCAULT, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1978, pag. 43
(14) J. LAURITSEN - D. THORSTAD, Il primo movimento per il diritto degli omosessuali (1864 - 1935), in: AAVV, Gay storia e coscienza omosessuale, La Salamandra, Milano 1976, pag. 11
(15) Le Regard des Autres, Actes du Congrès International, Arcadie, Paris 1979, pag. 64
(16) Questioni di etica sessuale, Dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, n°8
(17) PAOLO VI, Humanae Vitae, n°4
(18) LUIGI BETTAZZI, Al di là... al di dentro, Gribaudi, Torino 1978, pag. 98-99
(19) MARIO SBAFFI, Le Chiese non cattoliche e il problema del controllo della natalità, in: AAVV., La coppia e l'amore, Libreria della famiglia 1978, pag. 153
(20) Dichiarazione del gruppo "F.U.O.R.I." al Congresso di Sanremo, in: MARIASILVIA SPOLATO (a cura di), I movimenti omosessuali di liberazione, Samonà&Savelli, Roma 1972
(21) JEAN NOEL SEGRESTAA, Le Saint-Père et la bete humaine, in "Arcadie", giugno 1980, n°318, pag.367