4^ Domenica di Pasqua

In buone mani

Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola» (Giovanni 10, 27-30).

Assistiamo al tentativo del redattore del Vangelo di rincuorare la comunità in un tempo di probabile persecuzione e i conseguenti contrasti interni di come far fronte a ciò.

L’impero romano aveva distrutto il tempio di Gerusalemme e dominava su tutto con forza inaudita. Quale poteva essere la percezione di sé da parte di una piccola comunità di credenti che si riconosceva nell’annuncio di un profeta di Nazareth che andava in direzione diametralmente opposta alla seduzione della potenza imperiale?

Doveva essere molto facile smarrirsi in un simile contesto. Ecco allora la ripresa del tema del pastore che guida il suo gregge, che conosce ed ama ad una ad una le sue pecore, tema caro a Gesù e più volte ripreso nei salmi.

Per noi moderni l’allegoria del “buon pastore” è quasi incomprensibile. A sentire queste parole, per molti/e l’immaginario rimanda a un tizio, poco più che barbone, piuttosto maleodorante, con a tracolla un ombrello ed una bisaccia, una figura d’altri tempi con cui non scambieremmo neppure una parola.

Per gli antichi, compresi gli ebrei, le cose andavano diversamente, fino al punto che gli stessi re erano definiti “pastori di popoli”. Senza pastore la pecora è persa; preda dei lupi. Non ha nulla per difendersi la pecora. Possiamo ben dire che la vita della pecora dipende dal pastore.

Che Gesù, il falegname di Nazareth, si definisca il “pastore buono, bello” non è una cosa da poco. Sta attribuendo a sé, almeno chi l’ha scritto sembra intenderlo, una immagine classica del Messia. Senza dirlo, lui che preferisce evitare questa parola, si sta definendo il Cristo. Sta dicendo cosa è venuto a fare sulla terra. A dare la vita. A impegnare cioè tutto se stesso per portare avanti in modo decisivo quel progetto che, partito da Dio, ha come obiettivo la vita eterna, per gli altri evangelisti: il Regno di Dio.

Il rischio è di perdersi

La risposta al rischio di perdersi sta nella consapevolezza che Gesù, il suo ricordo, la sua vita, ci è vicino nella difficoltà, che pure lui ha attraversato. Proseguire il suo sogno: il lavoro per il Regno di Dio, dà una prospettiva non solo per noi.

Al v. 29 Gesù sembra dire: “Se proprio non riuscite ad avere fiducia nelle mie parole sappiate che il Padre che le ha affidate a me, è più grande di tutti (anche del potere imperiale che appare invincibile) e nessuno può sottrarvi dal suo amore”.

Gesù nella sua esistenza si è fidato totalmente di Dio. E Dio gli ha dato fiducia. Uno dei messaggi che si possono leggere dopo la Pasqua è che con la crocifissione non è stato annullato il progetto del Padre di fare rifiorire la gioia sulla terra.

La sofferenza del giusto (e non solo di Gesù) non è la sconfitta della Bontà e della Tenerezza; è il solo modo in cui Dio oggi manifesta il suo amore di Padre reso “impotente” dalla libertà, sovente mal usata, dei suoi stessi figli.

“Io e il Padre siamo una cosa sola”. Il cuore di Gesù era vicino al cuore dei profeti, era fedele alla Torà, ai salmi, a Dio, quel Dio colmo di amore e di compassione che sogna attraverso Gesù di trasmetterlo alle sue creature.

Chi è oggi il nostro pastore?

E’ triste dirlo ma sempre di più si ha l’impressione che, nei fatti, sia il mercato il nostro “pastore”. Sempre di più ci si illude di trovare la vita, tranquilla, sicura, soddisfacente dai muri che innalziamo, dai recinti che costruiamo per proteggerci da quanti ci “disturbano”.

Sembrano essere i soldi, il nostro potere d’acquisto a darci la vita, il nostro successo. Sembra dia più sicurezza fabbricare armi che tentare, rinunciando magari ad alcuni discutibili privilegi, le strade più impegnative ma anche più feconde del dialogo e della crescita comune. Eppure qualcosa dovrebbe cambiare.

Gesù dopo la Pasqua ci ha lasciato un messaggio più che incoraggiante. Ci ha fatto capire che la coerenza, anche portata alle massime conseguenze, com’è stato per lui, può aprire uno squarcio di azzurro dal quale riprendere vita. Ben sappiamo che quando dopo un violento temporale si comincia a vedere un lembo di cielo, è sicuro che il tempo sta per cambiare e in meglio.

A noi è chiesto di avere fiducia e di fare la nostra parte. Dio sarà per noi come l’assicurazione migliore che si possa stipulare. Un’assicurazione, per buona che sia, non ti può garantire che non avrai incidenti, perché una parte di attenzione dipende da te.

Tuttavia se è una seria assicurazione, in caso di incidente ti sarà vicina e ti assisterà nel migliore dei modi. Quando un casa automobilistica affidabile nel momento in cui acquisti una vettura ti da la garanzia, non vuol dire che non ci saranno guasti, ma che se malauguratamente se ne dovessero verificare, provvederà il più rapidamente possibile a risolverli, rispettando l’impegno preso.

Tutto questo per dire che Gesù, attraverso l’evangelista, ci ricorda che Dio è per noi la migliore assicurazione e la garanzia più certa che si possa stipulare. A noi è chiesto un atteggiamento non sempre facile da mantenere nel tempo ma indispensabile per tenere accesa la fiamma della vita: disponibilità, fiducia e a volte tanta pazienza.

Domenico Ghirardotti

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