8^ Domenica del T.O.

Un cuore da nutrire e custodire

Disse loro anche una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca? Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni.Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo.L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore. (Luca 6,39-45)

Il “discorso della pianura” del Vangelo di Luca prosegue raccogliendo, in modo sapienziale, alcuni dei più preziosi insegnamenti di Gesù. L’evangelista propone alla sua comunità quelli che, nel volgere degli anni, erano emersi come veramente determinanti per la vita della sua comunità.

Non si può passare a cuor leggero sopra nessuno di questi versetti. Come non identificarsi con quel tipo che vede la pagliuzza nell’occhio del fratello o della sorella e così riesce ad aggirare ed occultare la trave che porta nel suo? Tante volte nella vita ci siamo trovati nei suoi panni.

L’albero e i frutti

Nel mondo in cui Gesù viveva e dal quale traeva immagini, similitudini e parabole l’albero occupava uno spazio centrale.
L’uomo giusto, che cerca la volontà di Dio ogni giorno della sua vita, “sarà come un albero piantato su rivi d’acqua, darà i suoi frutti ad ogni stagione e le sue foglie non appassiranno mai” (Salmo 1).

Ancora più poetiche ed appassionate sono le parole del profeta Geremia: “Benedetto l’uomo che confida nel Signore ed è il Signore la sua speranza. Egli sarà come un albero piantato presso l’acqua, verso il ruscello spinge le sue radici. Non se ne accorge quando giunge il calore e il suo fogliame resta verde. Persino nell’anno di siccità non si preoccupa e non cessa di produrre i suoi frutti” (17, 8-9). La similitudine dell’albero per parlare della vita umana ricorre continuamente nella Bibbia, nel Primo e nel Secondo Testamento.

Qui non si tratta di sapere se è il caso di sradicare o di innaffiare ancora l’albero improduttivo, ma di imparare a conoscere quali sono gli alberi buoni e quali gli alberi cattivi. Probabilmente il primo albero al quale dare un’occhiata può essere il mio, cioè guardare in faccia la mia vita e domandarmi che razza di albero sono, in quali direzioni corrono le mie radici e quali sono i frutti. Probabilmente non ho affatto di che pavoneggiarmi tanto più che, nella tradizione cristiana, accanto a tanti frutti buoni, sono nati tanti rovi, tante spine.

Siano sempre esposti ad essere una chiesa delle parole e dei teatrini mondani che cerca di “piantare” le proprie radici nella terra dell’immagine del potere più che non lungo i corsi dell’acqua viva della Parola di Dio. Una chiesa che, come il ricco stolto, riempie i suoi granai, ne costruisce di nuovi e, mentre estende la sua presenza nei palazzi del potere e su tutti i video del mondo, diventa un ostacolo alla predicazione del Vangelo, una chiara controtestimoniamza.

L’albero buono non è un sogno di perfezione, di “onnipotenza della virtù”. No, assolutamente no. La nostra vita è un alberello e saremmo molto lontani/e dalla strada di Gesù se volessimo diventare una “quercia del Libano”, un albero gigantesco, se coltivassimo sogni di grandezza.

Nella storia cristiana i deliri e i progetti di grandezza hanno condotto a metodi e a risultati catastrofici. Ognuno di noi, se pone la radici presso l’acqua viva della fiducia in Dio, può portare quei frutti che, senza spezzare i rami, si traducono in amore e condivisione.

Se siamo il tralcio unito alla vite, se ci lasciamo potare dal contadino, può portare frutto. Dio è il grande albero della vita, la tessitrice instancabile della nuova creazione: accanto a Dio collaboriamo alla Sua opera mettendo nelle Sue mani il tenue e fragile filo che entra nella Sua opera tessitrice.

Il tesoro del cuore

Anche la seconda immagine, quella dell’uomo che ha nel cuore come un “deposito”, come un “magazzino” in cui giacciono cose buone o cose cattive e porta fuori quello che ha dentro, è particolarmente concreta e stimolante.
In realtà il nostro cuore è più complicato. Nella camera interiore del nostro io c’è male e bene, c’è un grande miscuglio, una matassa non così facilmente districabile.

Ci accorgiamo progressivamente nel corso della nostra vita che bene e male dentro il nostro cuore sono vicini di casa, abitano sullo stesso pianerottolo, spesso sono divisi da pareti sottili. Ma proprio per questo motivo è ancor più preziosa e saggia la testimonianza del Vangelo di Luca. Per poter trarre dal nostro cuore qualcosa di buono non c’è altra strada che nutrirlo, purificarlo, custodirlo, saziarlo con il cibo della Parola di Dio e della preghiera. Questo ha insegnato a fatto Gesù con i discepoli e le discepole.

L’ammonimento di Luca non ha perso per nulla la sua attualità. Se deponiamo alla rinfusa e diamo libero accesso al nostro cuore a tutte le stupidaggini, alle ingordigie, ai venti di novità e ai richiami consumistici, è impensabile che possiamo trovare in noi “un buon tesoro”. Se porto in casa della “cacca” non posso poi trovarmi del pane fresco.
Se non nutro il mio cuore del cibo buono dell’amore, della solidarietà e della tenerezza, esso cercherà altri cibi, si rivolgerà ad altri “pascoli”.

Il cuore non nutrito ogni giorno si svuota, si infiacchisce e si espone ai “cattivi inquilini”, fa posto agli idoli che ci vengono insistentemente proposti. La Scrittura ci ricorda con estrema saggezza: “Custodisci il tuo cuore con ogni cura perché da esso sgorga la vita” (Proverbi 4,23).

Solo così non ci capiterà di “innalzare idoli nel nostro cuore” (Ezechiele 14,3), di “correre dietro agli idoli” (ivi 20,16) oppure di “rendere il nostro cuore duro come un diamante” (Zaccaria 7,12) o “lontano dal Signore” (Isaia 29,13).
O Dio della vita, perché il “mio cuore non si lasci deviare e trascinare” (Proverbi 7,25) cercherò ogni giorno di volgerlo verso di te come il fiore che apre i suoi petali al sole. Cercherò di guardare al Cielo per amare la terra

Paolo Sales

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