3^ Domenica del T.O.

Un annuncio di conversione e impegno

Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto (Luca 1, 1-4).

Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi. Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore.
Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Luca 4, 14-21) .

Nell’’introduzione, l’evangelista ci illustra sia il metodo narrativo che intende seguire, sia ci presenta la dedica a Teofilo (personaggio reale o rappresentazione della comunità e di tutti coloro che sono “amici/amiche di Dio”), sia lo scopo dell’opera.

Luca scrive affinchè la comunità allora, e ciascuno/a di noi oggi, possa conoscere la solidità dell’insegnamento ricevuto. L’autore, che scrive circa 50 anni dopo la morte di Gesù, ha constatato che, anche nella sua comunità, per vivere e perseverare sulla strada del Maestro, occorre avere una “base solida”. Non bastano supposizioni o convinzioni superficiali e passeggere, non bastano impeti di generosità e momenti di coraggio.

Luca, probablmente, aveva visto nella sua esperienza personale e comunitaria, che soltanto chi “aveva scavato molto a fondo e aveva posto le fondamenta sopra la roccia” (6, 48) era diventato un vero discepolo di Gesù. In realtà, egli scriveva il Vangelo anche per mettere sull’avviso quei fratelli e quelle sorelle che avevano costruito la casa della loro fede “senza fondamenta” (6, 49), semplicemente appoggiata sulla terra.

Nella sua vita Gesù era stato un credente, un profeta che amava con tutto il cuore e con tutte le forze, conforme all’insegnamento ricevuto nella sinagoga fin dall’infanzia.

Diventato “annunziatore e predicatore itinerante”, aveva sempre richiamato i suoi ascoltatori e le sue ascoltatrici al coinvolgimento, alla conversione a Dio “con tutto il cuore”. Quante volte, probabilmente, Gesù aveva udito in famiglia e alla sinagoga: “Questo popolo si avvicina a me solo a parole e mi onora solo con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Is. 29, 13), il passo con cui il profeta esortava i suoi connazionali ad una fedeltà sincera verso Dio…

Forse questi primi versetti del Vangelo di Luca possono suscitare anche in noi una gioiosa ed impegnativa consapevolezza.

In mezzo ad oceani di parole e di false promesse, immersi in una melassa mediatica che ci sommerge ogni giorno di parole, scoop, proposte e rettifiche, accuse e “marce indietro”, travisamenti e insulti… corriamo il rischio di ridurre le parole a pure “emissioni di voce”, a muri dietro cui nasconderci, a “intrecci vocali” senza spessore e senza responsabilità. Molte voci invitano a scegliere ciò che fa immagine, ciò che dura un momento, ciò che ci fa sentire “i migliori”, ciò che ci solleva dalla responsabilità della vita quotidiana.

Il Vangelo, ci viene detto, è invece la Parola viva, gioiosa con cui le Scritture ci annunciano l’amore di Dio e rappresenta un richiamo a dare gioia, spessore, solidità alla parola come luogo dell’incontro e della comunicazione tra uomini e donne. La Parola di Dio che noi cerchiamo nella testimonianza delle Scritture, è il cibo di cui abbiamo bisogno, è la roccia su cui costruire la casa della nostra vita.

Con il secondo brano, la liturgia di oggi ci fa compiere un salto in avanti: icontriamo Gesù nella sinagoga di Nazareth mentre enuncia il programma della sua vita e della sua predicazione, con parole prese a prestito dai profeti Isaia e Sofonia. Gesù, secondo la narrativa “teologica” delle tentazioni, viene a Nazareth dal deserto pieno della forza di Dio (versetto 14). E’ la forza di Dio che gli conferisce il coraggio di enunciare a chiare lettere la prospettiva profetica che stava maturando nel suo cuore.

In queste poche righe ci è presentato come già tutto chiaro ciò che Gesù capirà solo progressivamente nella sua vita, un orizzonte nel quale è entrato a piccoli passi. Ma questo “riassunto” è, con molta probabilità, davvero fedele a ciò che Gesù è stato e a ciò che ha fatto. Egli, in ubbidienza alla volontà di Dio e consapevole della Sua vicinanza, ha votato la sua vita, ha legato tutta la sua esistenza al cammino di liberazione dei poveri, degli oppressi, dei ciechi, dei prigionieri, degli ultimi.

Questa, sembra dirci Luca, è stata l’opera di Gesù e questa essenzialmente dovrà essere la direzione di vita, l’opera delle donne e degli uomini che si richiamano a lui.

Qual è il compito che Dio gli ha affidato? Qual è “l’unzione”, cioè la missione particolare, al quale Dio lo ha preparato? Dove lo spinge il vento di Dio?

“Lo Spirito del Signore è sopra di me. Egli mi possiede e mi spinge…”. Gesù è un uomo totalmente posseduto dallo Spirito di Dio. Tuttavia lo Spirito non si “impadronisce” di lui per farne un mistico distante dalla vita del mondo, ma un profeta della consolazione e della cura, annunciatore del regno della pace e della giustizia di Dio.

Gesù scegliendo il racconto della vocazione del cosiddetto “terzo Isaia” (Is. 61) si presenta come profeta della consolazione, della restaurazione e della cura (profetismo dell’epoca post-esilio) più che come portavoce del castigo e della minaccia divina, figura comune ai primi tempi del profetismo.

La vocazione del profeta era quella di proclamare un anno di grazia e di perdono. Luca dice che Gesù vede la sua missione nella prospettiva di una funzione sociale (curare e soccorrere i poveri) e politica (annunciare il regno della liberazione per tutti). È bene ricordare che Gesù legge il testo, ma omette la parte del verso 2 che parlava dell’ira e della vendetta di Dio.

Gesù ha esercitato la sua missione non a partire dalla grandezza e dal potere, ma ha proclamato un giubileo che non si realizza magicamente; ci dà la forza dello Spirito per lavorare e “dare la vita” perché questa liberazione si realizzi. È una liberazione vissuta a partire dal vivere e dall’identificarsi con coloro che soffrono e sono vittima di ingiustizie in ogni società.

Questa pagina che non ci permette troppe scappatoie “spiritualistiche”. Se non lottiamo, ogni giorno nei nostri ambiti di vita e di relazione, contro chi opprime, imprigiona, schiaccia, accieca e addormenta le coscienze, forse la nostra fede non è che una idea senza contenuto.

Gesù è stato un credente “spirituale”, cioè davvero desideroso di affidarsi alla volontà di Dio, ben radicato in Dio; ma non è stato uno “spiritualista”, cioè una persona che si sottrae all’impegno storico concreto, parlando di un Dio da adorare ritagliandosi un angolino di cielo sulla terra, fuori dai problemi. La chiarezza profetica è la scelta precisa di “non vendere fumo”, di non lavorare sottobanco, di non lasciarsi guidare da interessi personali.

Questo straordinario messaggio di liberazione che Gesù, seguendo l’insegnamento dei profeti, assume come impegno di tutta la sua vita, non viene dall’alto di un palazzo “imperiale”; non ha scelto il Tempio di Gerusalemme per dare questo annunzio, non lo ha proclamato fra il fumo dell’incenso e il suono degli strumenti. Lo ha annunciato in un sabato qualunque, in una piccola sinagoga di una qualsiasi cittadina di Galilea.

Oggi, come Gesù, possiamo dire che questa Scrittura “fa per noi”, siamo chiamati ad adempierla perché essa è il sogno di Dio che Gesù ha fatto suo e che ci lascia in eredità. Non possiamo metterlo tra parentesi anche se molte forze lo avversano, anche se si procede a piccoli passi, anche se si raccolgono pochi frutti.

E’attorno a questo “progetto di liberazione” che la nostra vita prende significato, esce dalla prigione dell’egoismo. E’ nella direzione di questo progetto, che come Gesù, ciascuno/a di noi può dire: “Lo spirito del Signore è sopra di me e mi ha mandato…” . Noi possiamo così metterci in movimento perché sappiamo che il vento di Dio, il soffio del Suo amore e del Suo calore ci sospingono in questa direzione.

Dio, se ci fidiamo di Lui, se restiamo umili nelle Sue mani e accogliamo il “coraggio” che ci può regalare, si può servire di ciò che è piccolo. La Bibbia documenta incessantemente questo fatto: Dio rende fecondo ciò che è insignificante. La vita quotidiana, là dove viviamo nella semplicità dell’agire, dove le nostre scelte e la nostre parole sembrano cadere nel vuoto, tiene in serbo un tesoro: Dio potrà, a suo tempo, rendere fecondo anche il più piccolo seme…

Paolo Sales

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