Foglio di Comunità – n° 12/2018

Bollettino informativo non periodico della Comunità cristiana di base Viottoli
Distribuzione gratuita — Pinerolo (To), 30/11/2018

EUCARESTIE

DOMENICA    9  dicembre, ore 10: prepara Memo

 NATALE DI  GESU’

Celebriamo la memoria della nascita di Gesù con la Veglia natalizia LUNEDI’  24 dicembre  ore  21 in sede. Come facciamo da qualche anno, durante l’eucarestia faremo una colletta per continuare a sostenere “Medici con l’Africa”

ASSEMBLEA DI  COMUNITA’

Lunedì 17 dicembre, dopo il gruppo biblico

 GRUPPO BIBLICO

Ogni lunedì alle ore 21: stiamo leggendo il Vangelo di Marco.

GRUPPO DONNE

Ci incontreremo giovedì  20 dicembre alle  ore 21 a casa di Carla: Doranna ci riferirà sul coordinamento delle donne  CdB e non solo, del 1° e il 2 dicembre  a Bologna.

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GRUPPO RICERCA

Giovedì 13 e 27 dicembre:stiamo leggendo il libro “Il contratto sessuale” di Carole Pateman. Il gruppo è sempre aperto per chi voglia coinvolgersi in un cammino di approfondimenti.

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CAPODANNO AL F.A.T. 

Anche quest’anno chi vorrà potrà unirsi a  noi  per salutare l’arrivo del  2019.   Il ritrovo è alle ore 19 di Lunedì  31 dicembre nei locali del  F.A.T. in Vicolo Carceri n.1 a Pinerolo. Come di consueto ci saranno gli agnolotti  preparati da  volontari/e e utenti del  F.A.T..  Per il resto si condividerà  ciò che ognuno/a avrà portato.  A seguire, giochi organizzati da Angelo Merletti e alle h.23,30 si effettuerà l’estrazione dei premi della lotteria.

Domenico

STORIA E PROFEZIA: L’EREDITA’ DI GIOVANNI FRANZONI

I giorni 9 e 10 novembre si è svolto a Roma un convegno  per ricordare Giovanni Franzoni che avrebbe compiuto 90 anni l’8/11. Ho partecipato in rappresentanza della nostra CdB e della Segreteria Tecnica. E’ difficile produrre un resoconto dettagliato per la ricchezza di stimoli e per un coinvolgimento personale molto intenso. Mi limiterò ad alcuni pensieri.

Il convegno si è modulato in 2 giorni.

Il primo momento si è svolto il venerdì presso l’Abbazia di San Paolo, realtà che lo ha visto giovane abate e padre conciliare per le due ultime sessioni. L’apertura è stata affidata a Luigi Sandri che ha “raccontato” in modo molto efficace Giovanni dalla Basilica alla morte nel luglio 2017. Le esperienze  liturgiche con la parola ai presenti e la lettera pastorale “La terra è di Dio”, in cui denunciava le speculazioni del Vaticano nella città di Roma, hanno avuto come conseguenza le “dimissioni” di Giovanni da abate. Giovanni è uscito dall’Abbazia per stare con il popolo di Dio, dentro l’umanità pagando di persona. Risale a quel periodo l’inizio della collaborazione a Nuovi tempi ora Confronti.

Al sabato mattino c’è stato il racconto dell’esperienza di Giovanni in un tutt’uno con la comunità di San Paolo: la catechesi, il gruppo biblico, le eucarestie, il gruppo donne, le iniziative con i profughi e i malati psichiatrici… Giovanni è stato un compagno di viaggio prezioso e discreto.

Nel pomeriggio accanto a testimonianze molto toccanti è stato affrontato l’impegno di Giovanni per la pace, per i popoli oppressi, per i profughi afgani, per il mondo palestinese…

Nessuna santificazione è stato detto, Giovanni non lo avrebbe voluto ma è stato importante fare memoria di un uomo che ha condiviso tutto il cammino della CdB San Paolo e delle CdB italiane.

Dall’uscita dall’Abbazia la vita di Giovanni con la comunità è stata un intreccio di esperienze, di sollecitazioni, di confronti, sempre in compagnia di donne e uomini impegnate/i per un mondo diverso, più giusto e più solidale.

Penso sia importante fare memoria di coloro che ci hanno lasciati per continuare a camminare sulla strada che ci hanno indicato. 

Memo

VIOTTOLI

E’ in stampa il n. 2/18, che ospiterà anche la relazione introduttiva svolta da Riccardo Petrella al Convegno Europeo di Rimini e alcuni materiali inerenti al tema affrontato: “Cristiane e cristiani per un mondo più giusto e per una Chiesa povera”.

Ringraziamo chi continua ad accogliere con grande disponibilità il nostro invito a collaborare mandandoci articoli, commenti biblici, segnalazioni, recensioni, ecc.

Vi invitiamo a rinnovare la quota associativa per il 2019: 25,00 € (socio ordinario) – 50,00 € (socio sostenitore); oppure potete versare un contributo libero utilizzando il ccp n. 39060108 intestato a: Associazione Viottoli – via Martiri del XXI, 86 – 10064 Pinerolo (TO) o con bonifico bancario: IBAN: IT 25 I 07601 01000

Potete inoltre richiedere copie saggio gratuite del nostro semestrale (per informazioni: viottoli@gmail.com). Sono anche disponibili raccolte complete con tutti i numeri della rivista dal 1992 a oggi.

Sul nostro sito www.cdbpinerolo.itcliccando su VIOTTOLI —> ARCHIVIO DEI NUMERI ARRETRATI trovate, e potete scaricare gratuitamente, tutti i numeri in formato *.pdf dal 1998 al 1/2018

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CENTRO ANTIVIOLENZA “SVOLTA  DONNA – E.M.M.A. onlus”

www.emmacentriantiviolenza.com

Uscire dal silenzio si può: telefona al numero verde gratuito 800 093900

in questi orari: lunedì e venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 18 – martedì e mercoledì  dalle 9 alle 12

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UOMINI  IN CAMMINO

Gli incontri dei due gruppi seguiranno il seguente calendario:

  • Il gruppo UinC 1si riunirà al FAT giovedì 6 e 20 dicembre alle ore 18,45.
  • Il gruppo UinC 2 si riunirà martedì4 e 18 dicembresempre al FAT, alle ore 21.

Ricordiamo agli uomini che leggono questo foglio che i due gruppi sono sempre aperti a chi sente il desiderio di conoscerci o di coinvolgersi. Basta una telefonata per un contatto preventivo con uno di noi.

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CENTRO DI  ASCOLTO  DEL DISAGIO  MASCHILE

Da ottobre del 2017 è operativo a Pinerolo – in via Bignone 40 – uno sportello di ascolto e di presa in cura di uomini che commettono violenze nelle relazioni intime e familiari, gestito dall’associazione Liberi dalla violenza.

L’orario di apertura è il seguente: lunedì dalle 18 alle 20; giovedì dalle 16 alle 18.

Si può telefonare al 3661140074,scrivere a liberidallaviolenzaodv@gmail.comoppure venire di persona. Il servizio è gratuito e si svolge nel massimo riserbo.

Dopo il primo contatto telefonico il servizio si articola in colloqui individuali, per verificare e valutare le motivazioni, seguiti da un percorso di gruppo, della durata di alcuni mesi, in cui verranno affrontati e approfonditi i vari aspetti dei comportamenti violenti nelle relazioni affettive. Al termine di questo percorso verrà proposto ai partecipanti di consolidare il proprio cambiamento inserendosi stabilmente in un gruppo di auto mutuo aiuto.

TROVA IL CORAGGIO DI CHIEDERE AIUTO: CAMBIARE  SI  PUO’

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VOGLIAMO VIVERE LIBERI E LIBERE DALLA VIOLENZA: INSIEME SI PUO’

Questo è stato il messaggio che abbiamo diffuso sfilando per le strade e le piazze del centro storico di Pinerolo nella mattinata di sabato 24 novembre, per manifestare la nostra partecipazione alla “giornata mondiale per l’eliminazione della violenza maschile alle donne”.Due cortei, uno di donne e uno di uomini, hanno percorso un tratto di strada separatamente, per poi incontrarsi e proseguire insieme. Il momento dell’incontro è stato molto emozionante: le donne sono arrivate un attimo prima di noi uomini e ci hanno accolto con un applauso, gridando “insieme si può”.

Il nostro corteo fino a quel punto era stato silenzioso: ognuno di noi rifletteva in cuor suo o parlava con il vicino sulle ragioni del nostro essere in piazza: niente di cui andare orgogliosi.La violenza maschile contro le donne è un problema degli uomini: sono responsabili i singoli che la commettono, ma siamo corresponsabili tutti perché non abbiamo ancora fatto abbastanza per farla cessare e per sconfiggere la cultura patriarcale.

Sabato eravamo in piazza, numerosi anche se pochi, non per farci dire “che bravi questi uomini!”, ma per dire noi. alle donne e alla città, che noi ci siamo messi in cammino: cammino di cambiamento del nostro modo di stare al mondo; cammino di apprendimento a rispettare la libertà, i desideri, il corpo di ogni donna; cammino di consapevolezza che ogni volta che alziamo la voce per imporre la nostra ragione stiamo commettendo un atto di violenza, che può aprire la strada a un processo inarrestabile. Vogliamo imparare a fermarci prima, a riflettere, perché ogni gesto che compiamo è una nostra scelta, non è un raptus di cui non sentirci responsabili.

Voglio (vogliamo) dire ancora un grazie sincero alle donne del femminismo che mi/ci hanno aperto gli occhi e ci stanno accompagnando e sostenendo in questo cammino, come abbiamo vissuto materialmente e simbolicamente sabato mattina. Adesso tocca a noi incoraggiare e sostenere altri uomini a mettersi in cammino, perché possiamo testimoniare quanto sia più bello vivere insieme, uomini e donne, liberi e libere dalla violenza. Ogni giorno, non solo il 25 novembre!

Beppe 

 

Eravamo in tante! Negli slogan scanditi sentivo con emozione la nostra forza: la forza di donne che non vogliono più limitarsi al ricordo dolente delle sorelle assassinate; che sanno che occorre un cambiamento, un cambiamento nelle persone, nelle relazioni, nelle istituzioni per poter eliminare la violenza maschile sulle donne, che affonda le radici nella disparità tra uomo e donna.

L’applauso spontaneo che ha accolto il gruppo degli uomini, ha confermato la convinzione che solo insieme si può raggiungere quel necessario cambio di civiltà.

La manifestazione, patrocinata dalla Città di Pinerolo, è stata possibile grazie alla sinergia della rete che si sta consolidando tra il Centro Antiviolenza Svolta Donna-E.M.M.A. onlus, le altre Associazioni per  l’accoglienza di donne in difficoltà o che subiscono violenza, AnLib e A.V.A.S.S., l’Associazione Liberi dalla Violenza, per l’ascolto e l’aiuto a uomini che vivono con disagio o violenza le loro relazioni domestiche, e i Gruppi di autocoscienza maschile Uomini in Cammino.

Luisa

MOSAICO DI PACE – O CON IL DECRETO SICUREZZA O CON IL VANGELO

Possiamo dire che oggi, 29 novembre, è una giornata di lutto nazionale per l’approvazione definitiva alla Camera del decreto sicurezza.

Da credenti, prendiamo le distanze dalle politiche di odio e razzismo di questo governo e, quindi, dissentiamo fortemente da questa neonata legge, come ha già scritto Alex Zanotelli (direttore responsabile) sulla nostra rivista: Non si può essere discepoli di Gesù e di chi semina odio. O l’uno o l’altro (editoriale di settembre).

Da cittadini, siamo fortemente preoccupati per le conseguenze del decreto. E pensare che la Dichiarazione dei diritti umani celebra, tra pochi giorni, in questa triste atmosfera, il suo settantesimo compleanno!

Niente protezione umanitaria, niente iscrizione anagrafica e quindi esclusione da ogni servizio pubblico collegato alla residenza, esclusione all’iscrizione al servizio sanitario nazionale, per la gran parte dei migranti presenti nel nostro paese

Spieghiamo le ragioni del nostro dissenso e di quanto prevede la nuova legge nel seguente articolo di Oliviero Forti (Caritas italiana) pubblicato nel numero di novembre di Mosaico di pace.

La redazione

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IL DECRETO DELLA DISCORDIA

Parlano di sicurezza e invece dividono ed escludono.  Il piano “tolleranza zero” parte dal decreto sulla sicurezza.  E gli immigrati non sono più destinatari di diritti.

Il decreto sicurezza, recentemente varato dal governo, si presenta come l’ennesima ricetta per guarire da quello che molti chiamano “il male dell’immigrazione”. Non è certo il primo esecutivo che, appena insediato, si affretta a intervenire su un tema considerato dai più, politicamente sensibile. Anche il ministro dell’Interno precedente, Marco Minniti, a poche settimane dalla sua nomina al Viminale, si era adoperato per modificare il sistema italiano su immigrazione e asilo in chiave maggiormente securitaria. Erano, infatti, i primi mesi del 2017 quando il ministro dell’Interno comunicò che sarebbero stati aperti nuovi centri di detenzione per migranti irregolari in ogni regione d’Italia. Si trattava di una scelta in assoluta controtendenza rispetto al governo Renzi che aveva lavorato, invece, per chiudere progressivamente i centri di identificazione ed espulsione, visto che, fino a quel momento, avevano dimostrato una scarsa utilità, oltre a essere costati molto alle casse dello stato. Sembra che le forze politiche di questo paese siano costantemente preda di una nuova e diversa sindrome di Penelope, per cui chi va al governo si affretta a disfare quanto fatto da chi lo ha preceduto, anche quando si tratta di intervenire su norme di civiltà.

Perché contestarlo?

Con riferimento alle ultime disposizioni in materia di sicurezza e immigrazione, queste appaiono illegittime già nella scelta dello strumento adottato per la loro emanazione, in quanto il decreto legge si giustifica solamente nel “caso straordinario di necessità e urgenza”, così come previsto dalla Costituzione. A sostegno della propria scelta, il governo, nella relazione tecnica, ha specificato che il provvedimento ha come scopo quello di “scongiurare il ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale”, e di “garantire l’effettività dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione”, ma anche di “adottare norme in materia di revoca dello status di protezione internazionale in conseguenza dell’accertamento della commissione di gravi reati”. Tali preoccupazioni, però, appaiono non sufficienti a soddisfare il dettato costituzionale in quanto, considerata la sensibile diminuzione degli ingressi in Italia, non si ravvisano elementi di particolare urgenza e, inoltre, l’accorpamento di diverse ed eterogenee materie, all’interno del testo di legge, mostra l’assenza di un caso di necessità e urgenza che possa giustificare l’adozione di un decreto-legge. Si fa fatica a comprendere, infatti, come due previsioni, entrambe contenute nello stesso decreto, una sulla cittadinanza e l’altra sul taser, la pistola elettronica a disposizione della polizia locale, possano iscriversi in un quadro complessivo di urgenza.

Protezione umanitaria

Più in generale, sul tema migranti, la previsione che desta maggiore preoccupazione è certamente l’abolizione della cosiddetta protezione umanitaria. Attualmente la legge prevede che la questura, in caso di non riconoscimento della protezione internazionale, conceda al richiedente un permesso di soggiorno per motivi umanitari qualora si rilevino “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, oppure nel caso di persone che fuggano da emergenze come conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi non appartenenti all’Unione europea. La protezione umanitaria può essere riconosciuta anche a cittadini stranieri che non è possibile espellere perché potrebbero essere oggetto di persecuzione o in caso siano vittime di sfruttamento lavorativo o di tratta. Con il decreto Salvini questo tipo di permesso di soggiorno non potrà più essere concesso dalle questure e dalle commissioni territoriali, né dai tribunali in seguito a un ricorso per un diniego (il 4 luglio il ministro dell’interno Salvini aveva già diffuso una circolare – diretta ai prefetti, alla commissione per il diritto d’asilo e ai presidenti delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale – in cui aveva chiesto di prendere in considerazione con più rigore le richieste e di stabilire dei criteri più rigidi per l’assegnazione di questo tipo di protezione, nda).

La conseguenza più evidente dell’abolizione dei permessi umanitari sarà un aumento dell’irregolarità sui territori con inevitabile conseguenze anche in termini di sicurezza. Il decreto Salvini cerca di attenuare questa previsione introducendo i cosiddetti permessi speciali per meriti civili, per cure mediche, o in caso di calamità naturale nel paese d’origine. Evidentemente si tratta di una casistica residuale che non produrrà effetti particolarmente significativi per rispondere all’esigenza di protezione di molti tra coloro che cercano di raggiungere l’Europa, fuggendo in particolar modo da aree dove sono presenti conflitti armati.

Anche questo governo non si è sottratto alla tentazione di intervenire sui Centri di detenzione e così ha previsto, nel decreto in oggetto, l’allungamento della permanenza nei CPR – Centri Per i Rimpatri, nei quali lo straniero candidato all’espulsione potrà essere trattenuto fino a 180 giorni: prima la permanenza era fino a 90 giorni. Una siffatta previsione ha solo un valore demagogico in quanto l’esperienza insegna che la misura è totalmente inefficace: i migranti non riescono comunque a essere rimpatriati e l’allungamento dei tempi nei centri fa lievitare i costi per lo stato. In tema di trattenimento, il decreto contiene un’ulteriore previsione per cui, chi tenta di eludere i controlli alla frontiera o nel caso in cui la domanda di asilo si consideri solo strumentale a evitare un provvedimento di espulsione o respingimento, verrà sottoposto a una procedura accelerata che può essere svolta direttamente in frontiera o nelle zone di transito. Questo, evidentemente, indebolisce le garanzie per il richiedente, anche in considerazione del fatto che per il trattenimento non è prevista una durata massima in violazione di un principio costituzionale. Peraltro, questa previsione risulta in contrasto con la direttiva 2013/32/UE, per la quale il trattenimento di un richiedente asilo è giustificato solo se questi, entrato irregolarmente nel territorio dello stato, non abbia presentato la sua domanda di protezione appena possibile.

Giustizia

In materia di giustizia, il decreto stabilisce la sospensione dell’esame della domanda di protezione internazionale nel caso in cui il richiedente venga sottoposto a un procedimento penale per reati che, in caso di condanna definitiva, possano comportare il “diniego della protezione internazionale”. L’incertezza sul fatto che tali esclusioni saranno rese oppure no rilevanti anche prima di una condanna definitiva, sono fonte di particolare apprensione in quanto violerebbero il principio della presunzione di innocenza di cui all’art. 27 della Costituzione.

Altro aspetto che avrà un forte impatto sui territori è il ridimensionamento del programma SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), costituito da centri molto piccoli e posto sotto l’egida dei Comuni: se fino a oggi era destinato anche all’accoglienza dei richiedenti asilo, in base al decreto, sarà limitato a chi ha già ricevuto la protezione internazionale e ai minori non accompagnati. Tutti gli altri, la maggioranza, andranno nei centri governativi ovvero nei Cara. Questa scelta penalizzerà molto i territori e la qualità dell’accoglienza in quanto predilige le strutture di grandi dimensioni che in genere sono elemento di preoccupazione e paura diffusa.

Sul tema della cittadinanza, oltre a un allungamento dei termini per l’istruttoria e l’esclusione del silenzio assenso per l’acquisizione della cittadinanza per matrimonio, si prevede la revoca agli stranieri che commettono reati gravi o che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale. Su questa previsione pesano seri motivi di incostituzionalità in quanto la cittadinanza è inserita tra i diritti inviolabili.

Sanità

Il decreto sicurezza rivede le regole che disciplinano l’iscrizione al servizio sanitario nazionale per cui si stabilisce “l’esclusione dell’iscrizione al servizio sanitario nazionale a tutti i titolari di un permesso per casi speciali. Nei fatti questo comporterà che solo i rifugiati e i protetti sussidiari potranno avere accesso alle cure del SSN. Centinaia di migliaia di persone rimarranno escluse dal godimento di questo diritto e potranno accedere solo alle cure STP (straniero temporaneamente presente). Da un lato, dunque, in questo si abbassano le garanzie dei migranti e dall’altro si aumenta il rischio per la salute pubblica.  Infine, viene stabilito che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo costituirà documento di riconoscimento ma non  titolo per l’iscrizione anagrafica. Ciò comporterà un impedimento totale a qualsiasi servizio pubblico collegato alla residenza.

Oliviero Forti
Responsabile Ufficio Politiche Migratorie e Protezione Internazionale Caritas Italiana)

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“UNA BIBBIA DELLE DONNE”: 20 TEOLOGHE SFIDANO LA LETTURA ‘PATRIARCALE’ DELLE SCRITTURE

Ginevra, 27 nov. (askanews) – Stanche di vedere i testi sacri usati per giustificare la sottomissione, anche l’inferiorità delle donne, un gruppo di teologhe – cattoliche che protestanti – si è unito per scrivere “Una Bibbia per le Donne”. Mentre il movimento #MeToo continua a denunciare abusi e violenze in diversi contesti culturali e diversi settori, alcuni studiosi della cristianità stanno chiedendo a gran voce che si ammetta che certe interpretazioni bibliche hanno contribuito a creare una immagine negativa delle donne. Le teologhe ribelli, invece, sostengono che con le giuste interpretazioni, la Bibbia può essere uno strumento di promozione dell’emancipazione femminile.

Così è nata “Une Bible des femmes” (Una Bibbia delle donne) pubblicata il mese scorso dalla casa Labor et Fides. Un’opera collettiva che realizza un progetto lanciato a Ginevra da Elisabeth Parmentier e Lauriane Savoy. Il principio guida usato da quest’ultima è che “i valori femministi e la lettura della Bibbia non sono incompatibili”. Docente alla Facoltà di Teologia di Ginevra che fu fondata sotto l’influenza di Giovanni Calvino nel 1559, Savoy racconta oggi di avere deciso di lanciare il progetto dopo aver notato – assieme alla collega Elisabeth Parmentier – quanto poco la gente sapesse dei testi biblici.

“Tanta gente li riteneva completamente superati e senza rilievo per i valori odierni della parità”, ha spiegato la studiosa 33enne all’agenzia Afp. All’idea si sono associate poi altre 18 teologhe, per un totale di 20 studiose da diversi Paesi e diversi rami della cristianità. Ed è stata creata una collezione di testi che sfidano le tradizionali interpretazioni della Bibbia dove la donna è presentata come debole e subordinata agli uomini che le circondano.

Parmentier fa l’esempio di un passaggio del Vangelo di Luca, in cui Gesù visita le due sorelle Marta e Maria. Di Maria si dice che si occupa del “servizio”, espressione interpretata come riferimento al fatto che serviva il cibo, ma “la parola greca diakonia ha altri significati, ad esempio quello di diacono”.

Le due promotrici del progetto ginevrino si sono ispirate a un lavoro del 1898 della suffragetta americana Elizabeth Cady Stanton che, assieme a un comitato di altre 26 donne, realizzò “La Bibbia delle Donne” nel nome dell’apertura a una dimensione paritaria nel rapporto con la donna. Inizialmente Elisabeth Parmentier e Lauriane Savoy pensavano di tradurre semplicemente l’opera, poi hanno concordato che un lavoro vecchio di 120 anni andava necessariamente aggiornato con criteri del 21esimo secolo.

Nell’introduzione alla “Bibbia delle Donne” le autrici affermano che ogni capitolo intende “esaminare le evoluzioni nella tradizione cristiana, cose che sono rimaste nascoste, traduzioni tendenziose, interpretazioni parziali”. L’obiettivo è affrontare “la persistenza delle letture patriarcali che hanno giustificato numerose limitazioni e divieti per le donne”.

Savoy fa notare ancora che Maria Maddalena, “il personaggio femminile che compare più spesso nei Vangeli”, è un personaggio “fondamentale, ma descritto come una prostituta e, in una nuova ondata di fiction, anche come l’amante di Gesù”. Mettendo in secondo piano il fatto che Maria Maddalena resta con Gesù che sta morendo sulla croce, mentre tutti gli altri hanno paura, discepoli compresi. Ed è lei a recarsi per prima alla tomba di Gesù e a scoprire la sua resurrezione”.

Nella “Bibbia delle Donne”, spiega Parmentier, “ogni capitolo affronta questioni esistenziali per le donne, interrogativi che ancora oggi si pongono”. E in ultima analisi, “mentre c’è chi dice che per essere femminista devi buttare via la Bibbia, noi crediamo il contrario”.

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UNA SOFFERENZA SOTTILE E PROFONDA

Le donne cattoliche hanno a lungo sperimentato il peso dell’antico e tuttora persistente “impedimentum” nei confronti del sesso femminile. Il desiderio di superarlo ha dato origine anche a diverse forme di spiritualità femminile “sacerdotale”.

Il documento finale del Sinodo dei vescovi sui giovani (27 ottobre u.s.) ha parole d’inedita chiarezza e apertura nei confronti di quella che, con un’espressione forse un po’ abusata ma efficace, possiamo chiamare l’altra metà della Chiesa. Il testo parla esplicitamente (n. 148) di un dovere di giustizia che tutta la Chiesa deve assolvere per quanto riguarda la presenza delle donne negli organi ecclesiali, anche in funzioni di responsabilità, e per la partecipazione femminile ai processi decisionali. Resta forse da dire altrettanto chiaramente che non ci sono strutture o soggetti della Chiesa che possano considerarsi esentati da questo compito, anche innovando, se necessario, e in virtù di un coraggioso esame del passato. Ci pare lecito pensare, infatti, che la questione della partecipazione femminile alla sfera decisionale sia lungi dall’essere accolta e che agisca ancora in profondità un “impedimento” che molto ha a che fare con la disparità tra i sessi che nei secoli ha caratterizzato la storia della Chiesa.

Nel commentare il documento sinodale, non a caso, l’americana Women’s ordination conference (WOC) parla di tristezza per il mancato richiamo alla domanda femminile di voto negli organi ecclesiali e, soprattutto, per l’assenza di ogni riferimento al desiderio femminile di accesso al ministero ordinato, che nel mondo anglosassone è ormai ritenuto il vero nodo della discussione attuale. Credo che sia possibile convergere con la WOC, se non su tutte le affermazioni, almeno nel riconoscere questa tristezza come effettivamente presente – e non da oggi – tra le credenti, e chiedersi se e quanto essa abbia segnato la vita delle donne cattoliche e delle comunità ecclesiali.

Tracce di un desiderio

Per l’età contemporanea, grazie agli studi di Claude Langlois sappiamo che un desiderio frustrato di sacerdozio si manifesta con chiarezza già in santa Teresa di Lisieux (1873-1897) e forse oggi, con uno sguardo reso più attento dalla nostra sensibilità sul tema, non è del tutto improbabile riuscire a scorgere una complessità fin qui insospettata riconducibile alla stessa domanda: tracce, cioè, di un’esigenza femminile di un ruolo diverso nella Chiesa, presente ben prima che una rivendicazione formale di accesso al sacerdozio venisse presentata, e che matura progressivamente tra ‘800 e ‘900 anche grazie alle trasformazioni complessive della cittadinanza femminile nella società occidentale.

Pur senza voler introdurre alcuna forma di semplificazione, possiamo ipotizzare che determinate devozioni, declinazioni spirituali, fondazioni di nuove opere potrebbero essere viste anche come una forma di ideale “superamento” dello strutturale dislivello che caratterizza la posizione femminile nella Chiesa. Correndo il rischio dell’asistematicità si potrebbe indicare, ad esempio, quella curvatura particolare della devozione al Sacro Cuore che portava alla riparazione sacerdotale e che si ritrova diffusa tra molte nuove fondazioni femminili tra XIX e XX secolo, alcune sviluppatesi concretamente, altre rimaste allo stadio di progetto e magari finite nelle maglie del Sant’Uffizio: la vocazione, cioè, al sacrificio e all’immolazione finalizzati alla santificazione del clero, soprattutto se in cura d’anime.

Erano forme di spiritualità capaci di coniugare la preoccupazione per le sorti della Chiesa nella società moderna e il desiderio di espiazione per le defezioni dei sacerdoti, mentre per converso gli esponenti della gerarchia esprimevano un diffuso fastidio nei confronti di queste esigenze: «Già tutto questo zelo muliebre per il Clero rende sospetto l’Istituto!».

Oltre il “destino” femminile

All’interno di queste devozioni era frequente l’uso di una simbologia e una ricerca di significati che tendevano a fuoriuscire dalle letture tradizionali della natura e del “destino” femminile, e questo soprattutto grazie al ruolo – allo stesso tempo – esemplare ed eccezionale della Vergine nel piano della salvezza. Così, ad esempio, è possibile oggi leggere il culto alla «Virgo sacerdos» sviluppato dalle Figlie del Cuore di Gesù: una piccola famiglia religiosa fondata nel 1872 dalla (ora beata) Maria Deluil-Martiny (1841-1884) e approvata nel 1902, ma successivamente incorsa nell’intervento censorio del Sant’Uffizio, in particolare per le immagini mariane collegate alla devozione.

Riflessioni analoghe, unite ad una spiritualità vittimale a sostegno del clero secolare, caratterizzano anche le origini delle Orsoline di Siena, fondate da Bianca Piccolomini Clementini nel 1917; e ancora le Figlie della Regina degli Apostoli, sorte nello stesso periodo per iniziativa di Elena Da Persico, la quale testualmente così insegnava loro a pregare: «Maria, Regina degli Apostoli, intercedeteci buoni sacerdoti».

Ancora più vicina a noi, poi, sembra la ricerca spirituale di Marie de la Trinité, delle domenicane missionarie delle campagne, che nei carnets lascia testimonianza di tutta una serie di intuizioni sul suo personale ruolo sacerdotale: un sacerdozio inteso non solo a beneficio dei preti, ma anche e soprattutto vissuto in loro nome, in forma di supplenza rispetto alla mancanza di fedeltà con cui per svariate ragioni molti prelati vivono la loro missione.

Si tratta di storie di spiritualità femminile poco note o addirittura cancellate, com’è avvenuto per la devozione alla «Virgo sacerdos»; storie che in ogni caso sono state lette separatamente l’una dall’altra, senza connetterle ad un percorso storico più complessivo legato all’evoluzione dei rapporti tra i sessi nella Chiesa.

Storie che esprimono una sofferenza, direi, legata alla disparità che il cattolicesimo ha stabilito tra i sessi anche in ordine alla vocazione religiosa. Le protagoniste di queste esperienze, infatti, ci appaiono accomunate da un’idea elevatissima del sacerdozio, un’idea facilmente indotta a misurare lo scarto rispetto alla realtà di fatto; nello stesso tempo esse sono mosse da un’identificazione personale con l’ideale, in maniera tanto più forte quanto maggiore è il percorso di autoconsapevolezza personale compiuto. E chissà quante altre “figure” di questa tristezza femminile potranno essere portate alla luce, nel futuro, grazie ad un maggiore scavo storico…

Se nel 1890 la suffragista inglese Lidya Becker, a proposito della mancanza del diritto di voto, parlava di una sofferenza sottile e profonda, non è forse lecito chiedersi – mutatis mutandis – se non si possa parlare di una sofferenza profonda e sottile anche per le credenti in relazione allo squilibrio patito nella Chiesa?

Liviana Gazzetta
www.ilregno.it

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SINODO DEI VESCOVI. I GIOVANI, OGGETTO E NON SOGGETTO

Si intitolava “Sinodo sui giovani”, e non “Sinodo dei giovani”, cosa molto diversa. E così è stato, in realtà: i giovani non sono stati soggetto, ma piuttosto oggetto. Perché allora un sinodo? Il termine deriva dal greco syn (con) e hodos (strada o viaggio), quindi significa “strada o viaggio comune”. Ma il Diritto Canonico lo definisce «un’assemblea di vescovi selezionati… che si incontrano… per favorire una stretta unione tra il Romano Pontefice e i vescovi».

Non è un viaggio, ma un incontro. E il soggetto sono i vescovi, con il papa in prima fila. Ne è valsa la pena? Sono venuti a Roma e vi sono rimasti dal 3 al 28 ottobre (25 giorni, con tutte le spese pagate) 267 vescovi, più 20 sacerdoti e religiosi e 23 esperti; e poi il resto: 49 uditori, tra cui 34 giovani (ben scelti tra i più affini e sottomessi, lontani dal profilo medio della gioventù attuale), tutti con voce limitata e senza diritto di voto.

Una foto dice tutto: nella tribuna presidenziale papa Francesco e il grande emiciclo ricoperto di tonache nere, vescovi con fusciacche e copricapo fucsia e cardinali con fusciacche e copricapi rossi nelle prime file del centro. Maestoso. Lì sullo sfondo, dove i miei occhi non distinguono più, dovevano esserci gli uditori senza diritto di voto, tra loro alcuni giovani. Sicuramente stavano lì anche i colori del mondo di oggi e le beatitudini di Gesù, ma nella foto non riesco a vederli.

È l’immagine reale della Chiesa istituzionale: maschile, celibe, clericale e gerarchica. Una Chiesa che Gesù non ha mai immaginato; né ha scelto i 12 apostoli come leader del suo gruppo di seguaci con Pietro in testa, né gli è passato per la testa che avrebbero avuto successori in una Chiesa futura a cui non pensava nemmeno.

E anche se l’avesse organizzata e progettata esattamente così 2.000 anni fa, anche in questo caso irreale la Chiesa non potrebbe continuare a mantenere questo modello. Sarebbe anacronistico come se dovessimo continuare a parlare in aramaico come Gesù, o indossare come lui tunica e sandali. Gesù era un profeta riformatore, che disse: «Lo spirito soffia dove vuole», «È scritto, ma io ti dico», e «Vino nuovo, nuovi otri».

L’istituzione ecclesiastica l’ha dimenticato molto presto e continua a ripetere lingue, dogmi e forme del passato. Non è quindi strano che nulla di nuovo sia contenuto nel documento finale del Sinodo episcopale sui giovani, un testo lungo, freddo e piatto.

Parla di «viaggio» in continuazione, ma non avanza in nulla. Afferma che i giovani sono un «luogo teologico» (n. 64), ma ignora la voce e il voto della stragrande maggioranza di essi, ai quali viene ricordato che devono «riconoscere il ruolo dei pastori e non avanzare da soli» (n. 66).

Nulla di nuovo in materia di sessualità, orientamento sessuale e genere. Invita i giovani a riscoprire la castità. E menziona gli omosessuali esclusivamente per affermare che devono essere “accompagnati” (n. 150), come persone che hanno un problema. I transessuali, bisessuali o intersessuali neanche li nomina. Non esistono.

«Uomo e donna li creò», punto. E a proposito della donna? Sostiene, sì, la sua presenza «negli organismi ecclesiali a tutti i livelli», ma «nel rispetto del ruolo del ministero ordinato» (n. 148), cioè senza toccare la supremazia maschile clericale. Tutto rimane com’era: dov’è il «viaggio»? O perché tanto viaggio?

Il punto più audace è sicuramente quello che riguarda la formazione dei seminaristi, dove si dice: «Tanti giovani che si presentano nei seminari o case di formazione sono accolti senza un’adeguata conoscenza della loro storia» (n. 163).

Questione cruciale. Infatti, i seminari si nutrono in generale dei giovani che bramano di indossare collarino e talare e aspirare alla mitra e al pastorale. E poiché i seminaristi di oggi saranno i sacerdoti, vescovi e cardinali di domani, come possiamo aspettarci da essi la fine del clericalismo (Sinodo, episcopato e papato inclusi)?

Tutto indica che il vecchio apparato della Chiesa cattolica dovrà crollare completamente perché qualcosa di nuovo sorga al suo posto. E questo non è pessimismo, ma speranza nel movimento che Gesù l’itinerante ha inaugurato. Lo Spirito è giovane e vibra nei cuori di tutti gli esseri, trasformando la vita e le sue forme.

José Arregi
Adista Segni Nuovi n° 41 del 01/12/2018

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DONNE PER LA CHIESA: BILANCIO DI UN SINODO

Dieci mesi fa, con una trentina di donne da tutta Italia, abbiamo pubblicato il nostro “Manifesto delle donne per la Chiesa” nel quale provavamo ad esprimere difficoltà, ostacoli e speranze che, come donne credenti e impegnate, incontriamo nella Chiesa.

Forse per il linguaggio semplice e diretto, forse per l’aderenza all’esperienza o perché i tempi erano maturi per recepirlo, quel Manifesto ha ricevuto molta più attenzione di quanto ci saremmo aspettate e, soprattutto, da lì sono nati in varie città gruppi nei quali le donne si stanno incontrando per confrontarsi, approfondire e sostenersi nel loro impegno.

Con questi gruppi abbiamo iniziato a lavorare sul tema dei giovani e, soprattutto, delle giovani già durante l’estate, in vista del Sinodo che desideravamo poter seguire con un’attenzione competente.

Quando a metà settembre è stata presentata la Costituzione Apostolica Episcopalis Communio che indicava la possibilità che il documento finale fosse di tipo deliberativo, abbiamo percepito che si trattava di un appuntamento potenzialmente cruciale per le donne: attraverso il Sinodo saremmo potute entrare nel processo decisionale della Chiesa ai suoi massimi livelli.  Sapevamo che una trentina di donne erano state invitate a partecipare e che avrebbero potuto, per la prima volta, prendere la parola sia nei gruppi che nell’Assemblea, ma sapevamo anche che non avrebbero votato il documento finale e questo nonostante due delegati dell’Unione superiori maggiori fossero religiosi non ordinati e quindi fosse caduto il criterio dell’ordinazione come requisito di accesso al voto.

Se non era più l’ordinazione il fattore discriminante, allora lo era il genere e questo, ovviamente, è inaccettabile. Ci siamo sentite catapultate indietro nel tempo, nel pieno della battaglia suffragista e abbiamo cercato di affrontarla con gli strumenti che avevamo, facendo rete con donne di tutto il mondo.

La Women’s Ordination Conference (che promuove l’ordinazione delle donne) a fine settembre ha lanciato una campagna fotografica con lo slogan “votes for catholic women” e in migliaia in tutto il mondo hanno aderito, utilizzando i social per far circolare il messaggio.

In Italia siamo state noi di “Donne per la Chiesa” a diffonderla e inoltre, ritenendo che le prime interlocutrici del nostro appello dovessero essere le donne invitate al Sinodo, abbiamo scritto loro una lettera aperta, insieme a Women’s Ordination Conference e a Catholic Women Speak, invitandole a unirsi a noi nella battaglia per il voto. Purtroppo senza risposta.

Il mese di ottobre si preannunciava un mese intenso per la promozione della presenza femminile nella Chiesa e così è stato, con alcuni momenti particolarmente significativi.

Il 1° ottobre è stato presentato il libro Visions and Vocations che raccoglie le testimonianze di più di 60 donne da tutto il mondo riunite da Catholic Women Speak, un’esperienza nata in rete e fondata dalla teologa femminista inglese Tina Beattie. Quel volume ha poi trovato posto in un banco nella sala sinodale e 300 copie sono state messe a disposizione dei partecipanti ai lavori del Sinodo, per la loro “riflessione”.

Il giorno successivo una ventina di donne ha organizzato una piccola manifestazione in Vaticano (v. Adista Notizie n. 35/18). Scandendo lo slogan “toc toc chi è? Più di metà della Chiesa”, chiamavano uno a uno i cardinali presenti al Sinodo chiedendo loro che lasciassero votare le donne.

La polizia italiana, insieme alla gendarmeria vaticana, è intervenuta per disperderle, strattonando e poi trattenendo Kate McElwee, direttore esecutivo di WOC. È stato un momento drammatico per tutte noi, presenti e assenti, perché abbiamo realizzato quanto la nostra richiesta fosse dirompente e quanto stessimo toccando il cuore stesso del potere ecclesiale.

Il 3 ottobre ci siamo poi incontrate per riflettere insieme sul discernimento delle donne; il discernimento vocazionale era il tema del sinodo eppure i discernimenti delle giovani donne, così come le loro vocazioni trovano sempre meno ascolto dei corrispettivi maschili.

Nei giorni successivi per iniziativa di Future Church (che promuove la piena partecipazione dei laici alla vita della Chiesa) e altre sigle è partita una raccolta di firme per chiedere – ancora una volta – il voto almeno per le superiore maggiori presenti. Le firme raccolte in pochi giorni sono state 9.000 e sono state con segnate a mano al segretario del Sinodo e ad altri cardinali.

Sapevamo che sarebbe stato molto difficile che le regole di voto cambiassero in corso, ma avevamo speranza che un segnale sarebbe stato dato, anche perché numerose voci interne al Sinodo hanno iniziato a levarsi e non solo da parte di suore, ma anche di superiori di ordini maschili come gesuiti e domenicani.

Le parole del cardinal Marx, poi, ci avevano davvero fatte sperare: «La Chiesa sarebbe sciocca, pazza, se rinunciasse alla partecipazione delle donne alle sue decisioni, vanno coinvolte altrimenti in tante se ne andranno e avranno ragione a farlo» ha dichiarato il 24 ottobre.

Eppure il Sinodo è finito e questo segno non c’è stato. Inutile nascondere il disappunto: il voto di una o due donne non avrebbe modificato molto, ma sarebbe stato un segnale di ascolto e valorizzazione del legittimo desiderio delle donne di partecipare, inoltre avrebbe costituito un precedente a partire dal quale lavorare per costruire nuove forme, davvero sinodali, di decision making ecclesiali.

Senza scoraggiarci abbiamo poi ricevuto e letto con grande attenzione il documento finale, fiduciose di trovare lì, se non una risposta, almeno una concreta direzione per il futuro.

I paragrafi che si occupano direttamente delle donne sono due: il 55 e il 148. Il paragrafo 55 dice una cosa significativa, cioè che «emerge tra i giovani la richiesta che vi sia un maggiore riconoscimento e valorizzazione delle donne nella società e della Chiesa», insomma qui la Chiesa ha ammesso di ricevere dai giovani un insegnamento al quale non era stata in grado di giungere da sola: il valore dell’uguaglianza!

Al punto 148 si parla esplicitamente della necessità, evangelica prima di tutto, di coinvolgere le donne nei processi decisionali, ma nessuna azione concreta viene proposta e neppure adombrata. Tutto rimane nell’ambito dell’auspicio… un auspicio che però ha dei limiti (questi sì) netti e concreti: gli ipotetici futuri ruoli decisionali non devono richiedere «specifiche responsabilità ministeriali».

Insomma le donne vanno coinvolte, prima o poi e in qualche modo, purché non chiedano riconoscimenti ufficiali e soprattutto l’ordinazione ministeriale. Per quanto riguarda il voto alle donne nei sinodi futuri non ci sono aperture reali, nella versione ufficiosa del documento finale uscita nei giorni precedenti alla chiusura del sinodo si diceva che «è stata sollevata anche la questione della presenza femminile alle assemblee sinodali, evitando la disparità tra la rappresentanza della vita religiosa maschile e femminile», ma la frase è sparita dalla versione ufficiale.

Al termine di questo percorso, a tratti entusiasmante e a tratti deludente, abbiamo scelto di prendere comunque questo documento e di farne oggetto di riflessione, anche critica, e approfondimento – come il papa ha chiesto – e invitiamo tutte le donne a farlo perché il processo sinodale non finisce mai e dobbiamo viverlo da protagoniste.

L’appropriazione di una parola autorevole, da parte delle donne credenti, non è semplice e va costruita con pazienza, a partire da una personale conversione che implica il riconoscimento della “matrice” nella quale siamo inserite e che per tanti anni abbiamo dato per scontata: questa Chiesa clericale e maschilista non è l’unica possibile!

E anche se siamo convinte che lo Spirito Santo abbia condotto la storia della Chiesa attraverso i secoli, lo siamo altrettanto del bisogno costante di conversione al Vangelo di Gesù Cristo. Per questo possiamo dire che, nel nostro lavorare per un cambiamento della condizione delle donne, c’è un infinito amore, un amore dolente, verso questa Chiesa che non vogliamo lasciare, ma che vogliamo servire nella parità.

 Paola Lazzarini
Adista Segni Nuovi n° 41 del 01/12/2018

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