Lunedì 23 luglio 2012 – Vangelo di Matteo cap. 27

Giuda e Pietro

Tra Pietro (v. ultimo brano del capitolo precedente) e Giuda (27,1-10), gli unici due uomini del gruppo che seguono Gesù nell’ultimo tratto del suo cammino verso la croce, stando al racconto evangelico, sembra proprio che non ci sia un gran futuro per la semina fatta da Gesù. Uno lo rinnega, l’altro lo tradisce… gli altri chissà dove si sono rintanati… Ma, poi, entrambi si ricredono e provano un rimorso sincero, con esiti differenti: disperazione per Giuda, cambiamento per Pietro.

Proprio Pietro è l’ennesima testimonianza che ogni uomo e ogni donna hanno sempre, finché vivono, il tempo e la possibilità di cambiare vita, di convertirsi. E’ una scelta, come quella di Giuda di andare ad impiccarsi. Chi nega per sé questa possibilità, in realtà cerca di giustificare la propria pigrizia.


Parola di Dio o un trucco redazionale?

Desidero fermarmi a riflettere un attimo sui vv. 9-10. Matteo insiste con l’uso di citazioni dagli antichi testi, per documentare ai suoi conterranei che quanto è avvenuto in quei brevi anni della vita di Gesù non era nient’altro che “adempimento” di quanto era stato scritto, anni e secoli prima, dai profeti.

In questi due versetti ci offre un esempio lampante di manipolazione dei testi citati, funzionale ai suoi scopi catechetici: decontestualizza e monta insieme due citazioni diverse (Zaccaria 11,13 e Geremia 32,6-9) con molta libertà. Trenta sicli d’argento era la paga concessa dal popolo al profeta Zaccaria: su ordine di Jahvé lui li getta nel tesoro del tempio (come il gesto di Giuda); mentre l’acquisto del terreno nella zona dei vasai da parte dei sacerdoti ricordava l’acquisto di un terreno da parte di Geremia, che aveva fatto sigillare il contratto all’interno di un vaso.

Ortensio da Spinetoli definisce questa “libera fusione” operata da Matteo un’ “esegesi tipicamente rabbinica e midrashica”, per dimostrare che “la storia della salvezza, anche nelle sue minuzie, si svolgeva secondo un filo conduttore, fissato da Dio e annunziato anticipatamente dai profeti” (Matteo, Il vangelo della chiesa, Ed. La Cittadella, Assisi 1983).

A noi un’operazione del genere è proibita, mentre nelle liturgie cattoliche anche questa manipolazione è “parola di Dio”. Oggi possiamo dire che sono espedienti letterari per valorizzare e conferire autorevolezza alla propria interpretazione dei fatti. Cosa c’entra Dio?


La moglie di Pilato

Ecco un’altra donna che non viene neppure ascoltata, resa quasi invisibile e schiacciata in questo gioco competitivo tra uomini: Pilato da una parte, sommi sacerdoti e anziani dall’altra. Matteo ci ha insegnato fin dai primi capitoli che i sogni sono la strada su cui Dio manda messaggi all’umanità; ma il desiderio di potere dell’uno e degli altri li rende tutti sordi e ciechi. Per la loro perdizione.

La conclusione dell’episodio è di tragica e perenne attualità (vv. 24-26). Come dicono i sacerdoti a Giuda nel v. 4, Matteo mette in bocca a Pilato l’espressione “E’ affar vostro” (oggi useremmo un termine più colorito e scurrile), lavandosene le mani. Troppa gente continua a morire perchè altre – anch’io, anche noi – se ne lavano le mani, non fanno tutto quello che possono per impedirlo, prevenirlo, far trionfare la giustizia nelle relazioni.

E il popolo, la massa, continua ad applaudire i vincitori, pur pronunciando una maledizione terribile su di sé e sulle generazioni successive. Non ci credono, a quello che dicono, come i ricchi di oggi, spesso cattolici praticanti, non credono che sia più facile che un cammello entri nella cruna di un ago piuttosto che uno di loro nel Regno dei Cieli. Ma chi ci crede davvero a queste cose?! Quella maledizione (“il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli!”) è terribile, ma l’incoscienza con cui viene pronunciata è prova che quel processo era una farsa. Chi sta manipolando il popolo non è in buona fede, ma ha ormai raggiunto il suo scopo: far fuori Gesù e restare saldi al potere. Alla faccia della legge mosaica!


Ipocriti fino alla fine

Un altro esempio di uso ipocrita del linguaggio biblico ci è offerto dai vv. 40-44: “Se tu sei figlio di Dio, scendi dalla croce!”. Profeti e Salmi dicevano che tutti gli appartenenti al popolo ebraico erano figli di Dio, popolo della promessa, a cui Dio fa le coccole come una madre, ecc.

Se si fossero davvero sentiti figli di Dio, come certamente proclamavano nelle sinagoghe e nel tempio, si sarebbero sentiti anche vicendevolmente fratelli… e sorelle. E non avrebbero condannato a morte Gesù, figlio di Dio come loro e come loro impossibilitato a schiodarsi da quella croce.

La cosa più facile, come sempre, è la polemica urlata, per non sentire la voce della coscienza, per non riflettere. Come oggi sulla questione TAV: il governo e i partiti favorevoli all’opera non ascoltano davvero le ragioni di chi è contrario, ma si fanno forti della voce di chi ha il potere. Non c’è sincerità in quelle parole, ma deresponsabilizzazione autoassolutoria.


La fine del “popolo eletto”

Quando Gesù muore “il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo” (vv. 50-51). Matteo l’aveva già fatto preannunciare da Gesù: “Non resterà qui pietra su pietra…” (24,2). E’ il segno di un passaggio epocale, della fine del vecchio e dell’inizio del nuovo. Quando Matteo scrive, non solo il velo del sancta santorum, ma l’intero tempio è già stato distrutto. Non c’è più il culto antico nel tempio ebraico: d’ora in poi si adorerà Dio in spirito e verità (Gv 4,23).

E’ la fine del “popolo eletto”, che era tale solo per autoconvincimento. Il popolo di Dio è l’umanità e con Gesù la cosa diventa, se possibile, ancora più evidente.


La cura

La violenza maschile del potere ha colpito: Gesù è morto. Per prendersi cura del suo corpo entrano in scena le donne, “che stavano a osservare da lontano”, quelle che “avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo” (v. 55).

La cura è fatta di attenzione, di osservazione, di compagnia e, al momento opportuno, di interventi e di gesti concreti. “Imparare ad osservare” era uno degli insegnamenti più frequenti al corso per la qualifica di assistente alle persone anziane; ed era la pratica che più faticavo a imparare dalle donne mie colleghe: l’osservazione mi faceva entrare in conflitto con la pigrizia; è stata una dura lotta, che continua tuttora… Anche questo noi uomini dobbiamo imparare dalle donne.


Poveri gerarchi!…

Siamo alla fine del capitolo: il corpo di Gesù è nella tomba, tutto sembra finito. Ma i gerarchi ebrei hanno un sussulto.

Abbiamo visto che alla religione che predicano non credono neppure loro, ma che la sfruttano per mantenersi saldi al potere. E Matteo se ne fa beffe: li descrive qui (vv. 62-66) come se davvero avessero creduto alla promessa della risurrezione di quell’“impostore”, e l’unico modo per andare a dormire tranquilli è mettere delle guardie davanti al sepolcro, per scoraggiare ogni tentativo di trafugamento da parte dei discepoli, che avrebbero poi gridato alla risurrezione…

Guardie armate e sigilli alla enorme pietra che chiudeva l’ingresso del sepolcro, in realtà danno molta credibilità, nell’intento di Matteo, all’evento della risurrezione: nessuno avrebbe potuto trafugare il cadavere, dunque!… Dunque i gerarchi ebrei, i sommi sacerdoti e gli anziani di Gerusalemme sono inconsapevoli e credibilissimi testimoni della resurrezione di Gesù.


Riflessioni del gruppo

Due modalità diverse di “fare politica”: dialoghi e discussioni sono tutte tra uomini del potere, mentre Gesù sceglie il silenzio, come le donne. Vivono consapevolmente la loro apparente impotenza…

Come fa Matteo a sapere della moglie di Pilato? Chi può averlo raccontato, se non lei stessa? Anche lei, a modo suo, cerca di prendersi cura di Gesù.

Dio parla nei sogni alle persone che meno contano nella società. Anche in questo caso ci ha provato, ma gli uomini del potere sono sordi alla sua voce. Anche Pilato ci ha provato, ma il suo interesse primario era mantenere la poltrona e allora, per scongiurare un pericoloso tumulto, che andasse pure in malora quell’uomo, anche se era chiaramente innocente!

Togliersi dagli ingranaggi dell’ingiustizia richiede un coraggio che non ha chi è attaccato al potere; altri ce l’hanno: Gesù, i partigiani, le vittime della mafia…

L’imprecazione di “rottura” tra Gesù e Dio al v. 46: se Matteo e Marco gli mettono in bocca quel versetto iniziale del Salmo 22 è per testimoniare la sua umanità.

Beppe Pavan

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