Lunedì 9 luglio 2012 – Vangelo di Matteo cap. 24,45 – 25,46

Siamo ancora dentro il discorso apocalittico, per Matteo e la sua comunità (ma più in generale per i cristiani del primo secolo): è evidente che la fase presente non è conclusiva, ma decisiva; in base alle scelte del presente si avrà una prospettiva di felicità o di sofferenza.

Un servo è dichiarato beato (24,46), l’altro condannato al pianto; cinque vergini sono ammesse alle nozze dello sposo e cinque escluse, due servi sono fedeli, uno negligente…

Tutta la preoccupazione di Matteo è riassunta nella considerazione iniziale: “Chi sarà stato perseverante sino alla fine, costui sarà salvo” (24,13). La prospettiva escatologica è un pretesto per dare accoglienza alle esortazioni etiche che stanno a cuore a Matteo.

Tre sono le parabole in questa sezione, tutte incentrate sul tema della vigilanza. In ogni racconto siamo davanti ad un vero giudizio, ad un esame delle azioni e a una condanna o a una premiazione.

Il servo fedele

Il primo racconto (24,45-51) è incentrato sul comportamento di un servo, sorvegliante e capo della servitù. Il punto culminante della parabola è il suo incontro con il padrone, momento decisivo e irrevocabile di tutta l’esistenza umana.

In questo racconto il confronto non è tra il padrone e la massa, ma tra due persone, come se fosse un dialogo privato: il premio o il castigo riguarda le singole persone. La fine ultima degli individui, il traguardo su cui l’evangelista punta il dito, ha un valore decisivo per tutta l’impostazione della vita cristiana. Bisogna guardare verso la meta per non rischiare fallimenti.

Ciò che conta è il comportamento, la pratica. Fedeltà e saggezza sono due qualità su cui investire una vita intera. Occorre agire come se il padrone fosse sempre presente.

Lo scopo della parabola è catechetico e pastorale: segnala la via giusta per evitare la condanna. Stanchezza, scoraggiamento e rassegnazione possono assalire anche chi è fedele e saggio/a e la pigrizia e gli istinti malvagi possono insidiare continuamente la fedeltà del servo.

Chi abusa della propria autorità facendo del male sarà cacciato e deposto dal suo ruolo, viceversa, chi avrà servito fratelli/sorelle, in nome di Gesù, sarà promosso a qualcosa di superiore…


Le dieci ragazze

Questa parabola, presente solo in Matteo, è legata alla precedente. Infatti, in tutte e tre queste parabole gli incontri con il padrone o lo sposo sono preceduti da una lunga pausa temporale, accentuata dal volontario ritardo o dalla lunga assenza.

Lo sposo è una figura strana: si fa attendere; giunge in un’ora importuna e imprevista; è annunciato da una voce anonima anziché da musiche o suono di tamburi; è severo, non si lascia prendere dalla gioia dell’incontro con le ragazze, ma sbarra il portone; è inesorabile…

Sappiamo poco degli usi nuziali del primo secolo, perciò il ruolo delle ragazze non è chiaro. Può darsi che fossero delle invitate alle nozze oppure delle serve in attesa del ritorno a casa dello sposo. Quest’ultima interpretazione è in relazione con la parabola precedente ed esprime l’interesse di Matteo nel mettere in parallelo episodi di uomini e di donne. E dice che anche le donne sono responsabili delle loro scelte e della loro salvezza.

Le ragazze sono divise in due categorie: le sagge e le stolte. Il punto culminante della parabola è il loro incontro con lo sposo: da qui dipende la felicità o l’infelicità. Lo sposo (Gesù) giunge solo in piena notte, non per trattare con l’umanità (cfr Mt 25,31ss) bensì con dieci soggetti. L’intento della sua venuta non è il giudizio, bensì le nozze, cioè l’incontro con discepoli/e credenti.

Questo è un avvenimento molto importante, che solo gli stolti possono sottovalutare. Per esserci a questo appuntamento occorre che tutta la vita sia un’attesa; non bisogna lasciarsi vincere dal sonno, o dalla noia, o dalle distrazioni.

Il sonno, nella tradizione biblica, è indice di uno stato d’animo non vigile. Le lampade accese simboleggiano la costante vigilanza che si richiede per non perdersi nell’infedeltà e nella dimenticanza. L’olio deve essere sempre pronto per evitare di mancare all’appuntamento decisivo: bisogna attrezzarsi con cura e non dormire. Saper attendere è segno di considerazione, di stima e di amore verso la persona che si aspetta.

La parabola è coerente con i temi più importanti del vangelo di Matteo: impegnarsi in opere buone, dedicare la vita a Gesù ed essere pronti/e per il tempo della fine. Le donne devono illuminare il cammino dello sposo, perciò adempiono sia all’esigenza della cura sia al comandamento che la loro luce “risplenda davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere” (5,16). Le opere buone consistono nel servizio verso i poveri, i prigionieri, gli affamati. Gesù si identifica con questi “ultimi”, per cui servire loro significa servire lui e compiere così la volontà del cielo. Sia uomini che donne sono esortati a fare queste cose, assumendosene pienamente la responsabilità.


I talenti

Questo padrone mette alla prova i suoi servi con lo scopo non tanto di aumentare la rendita, quanto di vagliare la capacità, l’intraprendenza e lo spirito di iniziative dei servi stessi.

Sono loro che devono decidere il da farsi. I talenti possono annunciare le doti che devono essere sviluppate, ma quel che sta a cuore a Gesù (o a Matteo) è la dedizione e l’impegno nel compiere il volere del padrone. Le ragazze devono vegliare e i servi lavorare. Per raddoppiare il capitale ricevuto non basta un impegno banale, ma bisogna essere intraprendenti, coinvolgersi fino in fondo, fidarsi di chi ci ama.

La parabola presenta la comunità cristiana impegnata nelle sue varie mansioni. Bisogna impegnarsi con tutta l’energia possibile per fare il bene. I doni ricevuti saranno fatti fruttare con saggezza e amore. Occorre osare e costruire un altro mondo possibile.

Gesù apre con la sua missione le porte del Regno, ma ne affida la cura a discepoli e a discepole, e a tutti/e quelli/e che hanno aderito al suo messaggio.


Il giudizio per tutte le genti

Matteo scrive questo brano tentando di dare una risposta agli interrogativi dei membri della sua comunità (giudeo-cristiana, ma anche etnico-cristiana) circa il destino dei loro connazionali che ‘non hanno conosciuto Gesù’: quale sorte avranno alla sua “venuta”, che avverrà in potenza e gloria, come un Cristo che siede sul trono, ma che agisce pur sempre come pastore?

L’annuncio è rivolto a tutte le genti. L’autore non parla di processo religioso, ma storico; non parla dei meriti che i pagani hanno acquisito o delle colpe che hanno accumulato nei confronti dei cristiani, ma dei loro simili; parla delle inadempienze verso le ultime categorie sociali e insiste sulla necessità di fare delle scelte pratiche.

Non tutti hanno conosciuto Gesù, ma tutti possono incontrarlo se si orientano verso opere di misericordia. Ciononostante, l’idea di un Dio giudice inappellabile contrasta con quella di padre, di amico, di sposo, che lo stesso capitolo segnala in diversi passaggi. Dai vangeli si riscontra che Gesù non ha mai parlato di sé come re né mai ha parlato di un regno in cui le persone fossero selezionate e divise, anzi, la sua predicazione e la sua azione è indirizzata a tutti e tutte, soprattutto a chi era in difficoltà, cioè malati/e, prostitute, indemoniati…

Per noi oggi, liberati dal vincolo di credere che la Bibbia è “parola di Dio”, così com’è scritta, il messaggio centrale di questo brano può essere quello di rendere viva nelle nostre vite la pratica di Gesù: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.


Riflessioni del gruppo

Quello di Matteo è un discorso pedagogico, per dire che ogni gesto, ogni scelta non è indifferente, ma ha conseguenze o positive o negative: può costruire giustizia, solidarietà oppure impedire una relazione. Richiamo alla responsabilità.

In queste parabole c’è la lettura di Matteo che riflette quando ormai Gesù è assente da parecchi anni. Probabilmente in comunità facevano fatica a restare coerenti con il messaggio di Gesù: allora Matteo si inventa forme catechetiche.

L’olio è inteso come amore verso lo sposo e quindi non si può cedere alle altre.

Addormentarsi è segno non solo di stanchezza, ma anche di scarsa sensibilità, di scarsa attenzione e cura; può voler dire “non arrivarci” a capire la difficoltà di chi ti sta vicino, perdere consapevolezza…

Cosa significa la “durezza” del padrone (v 24)? Spauracchio per evitare che i servi si comportino male: tocca a loro seminare e raccogliere, non lo fa lui. Oggi non ci crediamo più, dobbiamo trovare altre motivazioni che ci tengano vigili…

Guai al servo che si spaventa di fronte alla responsabilità! Le “capacità” (25,15) sono diverse, ma nessun uomo, nessuna donna, è “incapace”: nessuno/a è scusabile se non cresce. Chi si impegna crescerà e avrà sempre di più: ma non riceverà premi in più, perché il premio consiste proprio in quella crescita nella vita. Il premio sta in ciò che vivi di bello, intenso, gratificante. Mentre chi si nasconde per paura finirà per non avere nulla, per morire in miseria spirituale.

Ognuno di noi cerchi di fare quanto gli è possibile; anche Gesù non è riuscito a fare tutto ciò che avrebbe voluto, ma ha vissuto per portare giustizia e amore tra le persone che incontrava; e laddove non ci fosse possibile intervenire direttamente, almeno dovremmo cercare di ostacolare ogni azione, ogni situazione, ogni politica che agisce nel senso dei capri… solo così potremo praticare la sequela di Gesù.

Carla Galetto

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