Lunedì 28 maggio 2012 – Vangelo di Matteo cap. 20

Il capitolo inizia con la narrazione della parabola dei lavoratori chiamati a tutte le ore.

Punto essenziale della parabola è che Dio, nella sua generosità, va al di là delle idee umane sulla imparzialità.

Nessuno dei lavoratori riceve meno di quello che deve avere, ma qualcuno riceve di più. Chi però ha ricevuto il giusto, si risente di questa generosità del padrone. A chi è rivolta questa parabola?

Per Matteo, questa parabola può essere stata originata dalla constatazione della gelosia suscitata dalla grazia di Dio proclamata per chi “non la merita” mentre l’evangelista Luca, come nella parabola del figlio prodigo, mira ai capi religiosi perché non erano d’accordo con Gesù che accettava ed accoglieva i peccatori e pubblicani.

vv. 1-16

Una chiave di comprensione di questa parabola sta nella frase riportata al v. 30 alla fine del capitolo precedente “Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi“ (cap.19,30) e al v. 16 che conclude la parabola stessa.

Gli standard di Dio non sono come i nostri: nessuno può reclamare come diritto qualcosa che dipende dalla bontà di Dio ma non solo, un servizio fedele non garantisce una ricompensa maggiore.

E’ possibile provare simpatia per le recriminazioni riportate al v. 12 “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.

Questo però dimostra come siamo “naturalmente” privi di amore e di pietà; nel nostro pensiero siamo più “sotto la legge” che “sotto la grazia”.

vv. 17 – 19

Leggiamo il terzo annuncio della morte di Gesù con più particolari (schernito, flagellato) e si specifica, per la prima volta, che verrà crocifisso (Marco e Luca non lo riferiscono). La comunità ricostruisce la “profezia” attenendosi ai racconti della passione più che alle previsioni di Gesù. Il “terzo giorno” è una numerazione convenzionale (lo troviamo sia nell’A.T. che nel N.T.) per indicare un breve periodo di tempo.

vv. 20 – 23

Matteo, citando la madre di Giacomo e Giovanni, forse vuole presentare i due discepoli sotto una luce più favorevole rispetto a Marco (che non la menziona). I fratelli (v.22) rispondono a Gesù con convinzione, come Pietro che dice a Gesù “..io non mi scandalizzerò mai di te” (cap. 26 dopo l’ultima cena mentre vanno verso il Monte degli ulivi) ma proveranno la paura e quando lo arresteranno, fuggiranno.

v. 24 

Matteo racconta l’indignazione dei “dieci” per la richiesta fatta ma ci fa comprendere che il loro sdegno è per gelosia e non perché siano migliori o abbiano capito di più il messaggio di Gesù.

vv. 25-27

Il concetto espresso in questi versetti è che i valori della società secolare non si applicano al gruppo dei seguaci di Gesù: “Non così dovrà essere tra voi..”. La grandezza sta nel servizio e Gesù (Figlio dell’uomo), il suo comportamento deve ispirare i suoi discepoli: è l’unica strada da seguire.

v. 28

si fa riferimento al concetto di riscatto. La riflessione teologica di Matteo e della sua comunità applica a Gesù le caratteristiche del Servo Sofferente di cui il profeta Isaia fornisce il modello (cap.53).

vv. 29 – 34

viene ripetuto il racconto della guarigione dei due ciechi per ragioni apologetiche. (il primo racconto al cap.9,27-31). Gesù si ferma nonostante la tanta folla, i pensieri per le “cose più alte”, lo scontro imminente a Gerusalemme. La parola “occhi” è insolita e talvolta è usata nell’espressione “occhi dell’anima”. Ci viene raccontato che i due ciechi guariti lo seguirono e forse l’evangelista vuole comunicare la sua fede in Gesù che toglie una cecità più grande di quella fisica del corpo.

Alcune considerazioni emerse nel gruppo biblico

A proposito del messaggio della parabola: la ricompensa è uguale per tutte/i coloro che si mettono sulla strada della Vita (chi si converte) e il bene che ne viene ricavato è uguale.

Se si è convinti di ciò che si sente (nel proprio cuore) si ha già la gratificazione e non la si cerca dagli altri/e.

Le persone davvero “grandi” sono coloro (farsi servi) che si prendono a cuore  e fanno quello che è utile per il bene comune.

La parabola descrive l’immaginario di Gesù e il suo insegnamento deve diventare, per chi crede nel suo messaggio, un “manifesto” per la vita sociale.

Non ci possono essere leggi (umane) che riescano ad ingabbiare l’Amore.

Come nella parabola, la prima preoccupazione di tutte e tutti deve essere quella di dare il necessario a partire dagli “ultimi”: è un messaggio politico da non relegare alla sfera religiosa.

Il coinvolgimento dei lavoratori a tutte le ore ci fa riflettere sulle capacità e tempi diversi di ciascuno ma nessuno può e deve stare “ai margini”.

A proposito di cecità : c’è il rischio di auto-escludersi dalla possibilità di cambiare nella nostra vita. Aprire gli occhi su di noi, sulle nostre relazioni, sulle nostre responsabilità e potenzialità è non più soffrire, è guarire.

Luciana Bonadio

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