Lunedì 23 aprile 2012 – Vangelo di Matteo cap. 16

Il capitolo che abbiamo letto è abbastanza breve e soprattutto, a mio modesto avviso, è caratterizzato dallo scontro con i farisei e i sadducei e poi dal dialogo pedagogico di Gesù con i suoi discepoli. Certo non è racconto puntuale e preciso di quanto Gesù ha detto: Matteo ha utilizzato messaggi e parole di Gesù dette in più occasioni in un’ottica utile alla sua comunità. Lo stesso conferimento del primato a Pietro di cui faremmo accenno a suo tempo, rientra in questa modalità di annuncio.


16, 1 – 12

L’inizio del capitolo è caratterizzato dall’incontro-scontro con i suoi avversari. Il discorso ruota attorno alla parola ”segno”, ripetuta ben 5 volte.

La richiesta del “segno dal cielo”, presentata come una tentazione dei rappresentati del giudaismo ufficiala, si inserisce nel dibattito sull’autenticazione di Gesù come messia. Quelli che non sanno discernere il valore di segno dei gesti di guarigione e liberazione compiuti da Gesù e corrispondenti alle promesse profetiche, sono incapaci di accogliere qualsiasi altro segno che non smascheri definitamente la loro incredulità radicale.

E il richiamo a Giona prefigura il destino del Crocifisso risuscitato dopo 3 giorni. I farisei e i sadducei, che pretendono un segno spettacolare da parte di Gesù, rivelano la loro matrice di incredulità storica, sono i rappresentati di una generazione infedele all’alleanza e incredula alle promesse di Dio.

Non sono in discussione la forza probante di Gesù, ma la capacità di discernimento dei suoi avversari e contestatori. Ma i rappresentanti del giudaismo ufficiale non meritano altro segno se non quello che mette in risalto la crosta della loro incredulità, refrattari ed ostile all’azione di Dio.

Questa rottura si avverte anche nell’istruzione successiva ai discepoli, prendendo a prestito l’immagine del pane e del lievito.

Sono però invitati i discepoli a superare la crisi di fede che nasce dalla paura e dalla sfiducia di fronte alla necessità materiale rappresentata dal pane. Quanto è attuale questo messaggio!

Chi resta irretito in questo ambito di problemi non ha compreso il significato dei gesti di Gesù che ha fornito pane sovrabbondante ad una moltitudine di uomini e donne. Matteo pone l’accento sul rapporto numerico tra i pochi pani e i molti che hanno mangiato a sazietà.

Con il dialogo di Gesù che educa la poca fede dei discepoli fino alla piena comprensione, si suggerisce il metodo per superare la crisi di fede: penetrare nel significato profondo ed attuale dei gesti di Gesù.


16, 13 – 20

Questa parte del capitolo forma un’unità compatta e ben organizzata caratterizzata nella prima parte dal dialogo tra Gesù e i discepoli, mentre la seconda è dominata dalle parole di Gesù che risponde alla solenne proclamazione di Pietro.

Questi versetti, noti come il testo del primato di Pietro, sono diventati una zona calda, dice il Fabbris, del dibattito e ricerca esegetica sotto l’influsso del pensiero dei riformatori nel mettere in discussione il primato del vescovo di Roma. D’altra parte l’ipotesi che il brano di Matteo riproduca il dialogo storico di Gesù-Pietro a Cesarea di Filippo, non trova più credito; è in ribasso anche quella di chi vede nel testo attuale il discorso di Gesù a Pietro nella prima apparizione pasquale.

La prima parte è centrata sul dialogo Gesù-discepoli con una chiaro accenno cristologico che culmina nella solenne professione di Pietro.

La dichiarazione messianica di Pietro è stata in parte anticipata nella professione di fede dei discepoli che avevano accolto Gesù sulla barca dopo il misterioso incontro notturno sul lago.

La parole rivolte da Gesù a Pietro prendono lo spunto dalla sua professione di fede, ma ne dilatano l’orizzonte perché annunciano il ruolo e il destino futuro del discepolo.

I discepoli poi sono detti beati perché sono partecipi di quella rivelazione-conoscenza che molti uomini e donne, profeti e giusti hanno atteso e sperato.

La seconda parola di Gesù a Pietro è una promessa che riguarda il suo destino futuro. Questo annuncio profetico fa leva sull’immagine della pietra alla quale è associata quella della costruzione. La promessa di Gesù prende lo spunto dall’appellativo dato a Simone – Pietro – pietra. Pietro sarà la base del progetto messianico: la costruzione della chiesa. Il vocabolo chiesa ovviamente significa nel termine greco eccklesia assemblea come nel termine ebraico, qahal.

A questa comunità messianica, fondata sulla roccia-Pietro, Gesù promette la indefettibilità di fronte agli assalti delle “porte della morte”…

La terza parola riguarda il suo futuro: le chiavi del regno, il legare e lo sciogliere. Il simbolo delle chiavi del regno nella tradizione biblica indica autorità e responsabilità. E emerge la differenza tra la proposta ed il compito dato a Pietro con il comportamento dei farisei: essi impongono sulle spalle della gente pesanti fardelli… A me piace pensare che questo invito alla responsabilità a Pietro sia un invito rivolto anche oggi a tutti e tutte noi … Siamo e dobbiamo sentirci responsabili dell’annuncio del regno con il nostro vissuto …

Questa connotazione magisteriale del potere delle chiavi in rapporto al regno dei cieli è confermato dalla sentenza sul “legare e sciogliere”, che nel linguaggio rabbinico denota prima di tutto l’interpretazione e l’applicazione della legge. Pietro come saggio discepolo del regno dei cieli ha il compito di interpretare in modo autorevole la volontà di Dio rivelata dalle parole e gesti di Gesù.

Possono essere visti in questi versetti risvolti polemici di contrapposizione e di importanza rispetto ad esempio a Paolo o a Giacomo, contrapposizioni che potevano esistere tra le varie comunità. Può essere. Io credo che queste parole siano state riportate da Matteo anche per dare forza alla sua comunità e coraggio in situazioni di difficoltà.


16, 21 – 28

Anche se l’inizio può significare una nuova fase del dialogo la continuità, con la precedente non può essere ignorata. E vi è la contrapposizione tra il Simone-pietra e il Simone- pietra di scandalo. Il tono non è tra i più gentili da parte di Gesù…

La reazione immediata di Pietro trascura l’annuncio della risurrezione e contesta invece la prospettiva nella quale si colloca Gesù come messia sofferente e ucciso dalle autorità.

Il discorso dopo l’invito a Pietro “Vade retro, satana” è costituito da una sequela di messaggi o proposte.

Vi è una corrispondenza, come si evince dal discorso, fra il destino personale di Gesù e il cammino proposto ai discepoli. L’andare a Gerusalemme e la morte si accompagna alla proposta ai discepoli del prendere la croce, come la risurrezione il terzo giorno fa il paio con la promessa della venuta gloriosa del Figlio dell’uomo. Anche perché il destino doloroso del Cristo rientra nei progetti di Dio.

Gesù ha rigettato la suggestione diabolica di un messianismo glorioso in un’ottica di restaurazione nazionalistica.
Quanto ci presenta Matteo è il significato del suo cammino storico che si concluderà tragicamente nella capitale, Gerusalemme. La vicenda di Gesù sta nelle mani di Dio che lo farà risorgere il 3° giorno.

Nella reazione di Pietro di fronte alle parole di Gesù si fondono i due livelli della rilettura evangelica: quello storico dei discepoli e quello della comunità di Matteo. La crisi di Pietro non è un fatto isolato: tutti i discepoli entreranno in crisi la notte dell’arresto ed il cammino della comunità sarà, ne sono personalmente convinto, caratterizzato da alti e bassi in un’ottica difficile e bella assieme.

Per la chiesa di Matteo, come per gran parte della comunità cristiana del primo secolo, il problema della morte violenta e umiliata del messia implica quello della perseveranza cristiana nella prova. Non è esclusa la prospettiva della morte violenta, la perdita della vita fisica e la confisca dei beni materiali.

Questa prospettiva rende possibile la libertà di giocare tutto, anche la vita, per conservare quella relazione vitale con il Cristo che è garanzia della vita definita.

Solo la piena solidarietà salvifica non solo con il Messia umiliato e ucciso, ma anche con il figlio dell’uomo glorificato e vivente, realizza lo statuto del discepolo.

Ma in conclusione, al di là di quanto ho detto utilizzando il commentario del Fabbris, la proposta è semplice, ma per me piuttosto difficile: essere discepolo di quel Gesù che ha percorso le terre di Palestina con fantasia, voglia di vivere guidato dall’amore e dalla ricerca di giustizia e solidarietà.

Memo Sales

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