Lunedì 27 febbraio 2012 – Vangelo di Matteo cap. 9

Il capitolo 9, dai vv. 1 al 17, corrisponde a Marco 2,1-22, mentre il brano sull’emorroissa corrisponde a Marco 5,21-43. Il testo di Marco è molto più lungo. Questi brani sono presenti anche nel vangelo di Luca, tranne quello della guarigione dei due ciechi.

Gesù si sposta a Cafarnao e riprende la sua attività terapeutica e annunciatrice del Regno. Nascono dispute sui suoi presunti poteri e sui suoi comportamenti e viene contestato:

–         dai maestri della Legge, cioè dagli scribi (v. 3)
–         dai farisei (v. 11)
–         dai discepoli di Giovanni (v. 14)

Gesù si dà il potere di perdonare i peccati, familiarizza con i peccatori invece di condannarli e non pratica il digiuno. Il banchetto della casa di Levi è la sintesi di tutta la sezione (cioè dei capp. 8-10): simboleggia la comunità credente raccolta a tavola con Gesù, composta particolarmente di peccatori. I farisei si autoescludono. Gli altri tre miracoli ribadiscono soprattutto il tema della fede.

 Sembra che Matteo abbia costruito questo capitolo per dire: l’incontro con Gesù non salva e non guarisce nessuno, se non ci mettiamo di nostro la fede che ciò possa avvenire e la decisione a cambiare. Al v. 22 dice all’emorroissa: “La tua fede ti ha guarita” e al v. 29, rivolto ai due ciechi: “Vi sia fatto secondo la vostra fede”. Se il paralitico e Matteo il pubblicano non si fossero alzati, all’invito di Gesù, Gesù non avrebbe potuto costringerli a farlo e la loro vita non sarebbe cambiata.

Ci vuole fede per alzarsi quando si è paralizzati a letto da anni, passa uno e ti dice “Seguimi”. Ai due ciechi Gesù tocca gli occhi, ma se loro non avessero creduto, come la donna emorroissa, che lui poteva davvero aiutarli, sarebbero ancora ciechi.

La relazione, l’incontro con Gesù, li aiuta a prendere consapevolezza di potersi alzare, guarire, cambiare la propria vita; di avere in loro questa forza, questa “energia divina”, che fa scegliere di credere possibile la guarigione, il cambiamento. Ci vuole fede e un progetto di cambiamento per il quale l’incontro con Gesù, con una persona particolare, con un gruppo… ti aiuta a deciderti, ad alzarti, a muoverti.

Credo che anche noi siamo così: abbiamo bisogno di relazioni che ci aiutino a cambiare e, nello stesso tempo, possiamo anche essere capaci di entrare in relazione per aiutare altri e altre a prendere consapevolezza di poter cambiare. Possiamo essere noi quel Gesù. Perché ciò possa avvenire le relazioni devono essere di compassione, cioè alla pari: patire insieme, sentire all’unisono, prendersi a cuore i problemi degli altri, non limitarsi a riti, a parole. Ogni senso di superiorità, di degnazione, di elemosina, ci esclude da una relazione salvifica: non dobbiamo crederci giusti, buoni, maestri, guide… ma peccatori, bisognosi di aiuto come chiunque altro. Allora la relazione funziona.

 
Versetti 1-8

Matteo è più sintetico di Marco in questo racconto. Non parla della grande folla né dei farisei seduti per giudicare, né dei dottori della legge, ma c’è subito il malato davanti a Gesù, anche se scrive: “vista la loro fede…”.

Nella mentalità semitica il peccato è legato alla malattia e viceversa. Per guarire, il soggetto deve liberarsi dal peccato, considerato la radice del male. Aggiunge: “coraggio”, cioè “abbi fede”; Gesù non giudica, ma va incontro alla debolezza umana. Il potere di rimettere i peccati è messo in rapporto con quello della guarigione.

Al tempo di Matteo la disputa è tra i seguaci di Gesù e i giudei: questi ultimi pensano nel cuore cose malvagie e non riconoscono la potenza del Vangelo. E neanche riconoscono la potenza e l’eredità ricevuta da Gesù per coloro che stanno alla sua sequela.

 
Versetti 9-13

Questo testo raccoglie tre brani di diversa provenienza, uniti dall’abilità redazionale di Matteo:

–           la chiamata (di se stesso?)
–           la controversia sulla comunione di mensa con i peccatori
–           il “detto” sulla misericordia.

Gesù invita un “estraneo”, rispetto all’ortodossia, a seguirlo. E’ un esattore, un pubblicano, uno che raccoglieva le imposte anche di chi si spostava da un villaggio all’altro… e che faceva la “cresta” per ricavarne il proprio stipendio. Per tutta l’antichità i pubblicani furono considerati ladri e trattati con disprezzo. Dall’ebraismo erano pure considerati impuri e visti come emanazione ultima del potere coloniale di Roma.

Gesù non evita la comunicazione con i malfamati e i bisognosi, i lebbrosi, le prostitute…, ma afferma che, davanti a Dio, ogni discriminazione è ingiusta. Si siede amichevolmente tra gli invitati, mangia con loro, si sente a suo agio… sta bene in loro compagnia. Forse oggi Gesù si sentirebbe bene in compagnia di extracomunitari, rom, omosessuali, drogati…

Gesù chiama tutti e tutte, quando passa: uomini e donne, pescatori e gabellieri, soldati e prostitute, notabili e scribi e bambini… Quanta gente lo segue, nei Vangeli!

La reazione dei farisei riflette la mentalità corrente del giudaismo ufficiale e gerarchico. Gesù va oltre la categoria del puro-impuro: è aperto a chiunque incontri nella vita, soprattutto verso chi ha più bisogno della sua presenza.

Osea 6,6 citato segnala che la pratica cristiana è grazia e misericordia, e non solo culto e rito. Per accogliere la chiamata della grazia occorre sentirsi peccatori. I farisei invece si sentono giusti e non si coinvolgono in un cammino di conversione.

 
Versetti 14-17

Viene riportata la disputa con i seguaci del Battista circa il digiuno. Matteo ribadisce che c’è un tempo per ogni cosa… verranno i giorni del digiuno e del lutto… ma bisogna anche saper fare festa quando è ora di farla…

Come la pezza nuova non si cuce sul mantello vecchio, così non si pone vino nuovo in otri vecchi, rischiando di sfasciarli. Per Matteo il vestito vecchio e l’otre vecchio simboleggiano l’economia giudaica, mentre il nuovo è la proposta cristiana. E non basta un rammendo o un accostamento, ma serve un cambiamento radicale. Il Vangelo non viene a ricucire i brandelli della religiosità statica, ma occorre operare una sostituzione.

 
Versetti 18-26

Abbreviato rispetto a Marco (5,21-43), l’episodio riprende l’interesse mostrato dal vangelo per la situazione delle donne. A Matteo manca il forte parallelismo fra la ragazzina di dodici anni che si avvicina all’età attesa delle mestruazioni e del matrimonio, e la donna che soffre da dodici anni per le esagerate emorragie; nondimeno Matteo indica da un lato che le donne fanno parte della comunità a cui Gesù si rivolge, e dall’altro che egli non sarà dissuaso dalla sua missione dalla prospettiva di diventare ritualmente impuro.

Come il centurione pagano (8,5-13) e la madre cananea (15,21-28), il padre ebreo vuole che sua figlia viva.

L’unico mezzo che può guarire le persone è l’amore – una relazione, completamente indipendente e libera dalle questioni di degnità e di indegnità, di prestazione e di servizio, indipendente perfino anche dalla questione della purezza o della impurità, solo semplicemente una mano che uno può tendere senza essere rifiutato, semplicemente un contatto che non impegna e non esige niente per sé, come se si chiudesse un circuito elettrico attraverso il quale fluisce l’energia della guarigione; ma anche viceversa, poiché nell’altro, in Gesù, si forma qualcosa di simile ad una corrente che va in senso contrario, che riempie il vuoto che questa donna sente in sé, una forza che esce da lui e fa esaurire il ‘flusso’ della donna. (…) … ella osa furtivamente questa presa di contatto che ha l’apparenza di un caso e che dall’esterno non si può assolutamente distinguere da un contatto non intenzionale; e tuttavia in questo unico movimento è contenuta la speranza, la fiducia e il dono di una vita intera. Solo per questo si stabilisce questa corrente di energia fra lei e Gesù, perchè nella fede che muove le mani di questa donna e nella fiducia che fa osare alle sue dita il contatto passa la forza dell’amore che guarisce. E’ la prima volta che questa donna non si sente più ferita per il fatto di essere una donna”. (…)

Gesù ha il coraggio di svelare l’audacia disperata di questa donna davanti agli occhi di tutta la gente. Egli stesso non si vergogna di lei, e non vuole neppure che lei continui a vergognarsi della sua malattia. Il passo più coraggioso della sua vita verso la guarigione non deve conservare più l’impressione di un furto dissimulato. ‘Ciò che hai fatto’, sembra volerle dire Gesù, ‘non era una colpa; è un segno della tua fiducia, del fatto che tu, senza domandare né chiedere il permesso, hai fatto e preteso ciò di cui hai bisogno per vivere. Infatti è proprio questo che Dio desidera, e questo egli intende con ‘fede’: superare l’angoscia e il timore, che può rovinare e distruggere la vita portandola fino alla malattia, ed avere la certezza che Dio vuole che noi viviamo, anche se il tenore della legge sembra contraddire questa volontà – Va’ dunque, la tua fede ti ha salvata” (E. Drewermann, Il messaggio delle donne, Queriniana, pagg. 135-138).

 
Versetti 27-31

Sembra una ripetizione del cap. 20,29-34 (i due ciechi), quest’ultimo più fedele ai racconti di guarigione di ciechi di Marco e Luca. Qui non sono fermi sul bordo della strada, ma seguono Gesù: simbolo del mettersi in cammino per passare da una condizione infelice alla pienezza della vita. Ma bisogna aver fede, dice Matteo, ossia credere nella possibilità del cambiamento. Cosa significa aver fede oggi per noi?

 
Versetti 32-34

Questo è il decimo miracolo; sembra quasi messo qui proprio per arrivare al numero dieci. Questo stesso miracolo sarà raccontato al cap. 12 in modo più appropriato. Qui serve a chiudere le opere prodigiose di Gesù con una acclamazione popolare, così come è avvenuto al termine del discorso sulla montagna (7,28). Il v. 34 introduce la prossima sezione con le controversie che vi ritroveremo.

 
Versetti 35-38

Questo breve testo ricapitola la sezione dei capp. 8 e 9 e introduce il capitolo 10. Il primo versetto è un sommario che ripete il v. 23 del cap. 4; tre verbi sintetizzano la missione di Gesù: insegnare, predicare e curare. Queste tre azioni devono caratterizzare anche l’attività dei discepoli di Gesù e dei missionari.

 
Riflessioni nel gruppo

–           I “giusti”, in realtà, non esistono, non sono di questo mondo. E’ una parola che suona falsa. Questo mi dice Matteo. Gesù sta a tavola con pubblicani e peccatori per smascherare coloro che “si credono” giusti. E che vengono così allo scoperto. Loro non si siederebbero mai a tavola con quella gentaglia!… E Gesù, che è un rabbi come loro, dovrebbe fare altrettanto. Quello, forse, è il segno che gradirebbero da lui, per accoglierlo finalmente come uno di loro. Loro conoscono a memoria la Legge e i Profeti, hanno i sacri testi inchiodati agli stipiti delle porte e intrecciati con i riccioli in testa!… Loro sanno distinguere i giusti dai peccatori e sanno che Dio ama i giusti, perché solo ai giusti d’Israele è stato promesso il Regno. Eccetera eccetera…

       Ma sono anche i discendenti di chi ha regolarmente perseguitato e ucciso tutti i profeti. E faranno altrettanto anche con Gesù, quel traditore della purezza ebraica, che sostiene di essere venuto “per le pecore perdute d’Israele”. Ma quelle vadano al diavolo! Ecco perché li hanno sempre uccisi: perché i profeti pretendono di sapere come si deve vivere, meglio di loro che conoscono a memoria la Legge, fin nei minimi dettagli, e ne discutono quotidianamente da secoli. E conoscono anche bene quello che Gesù ricorda loro: “Misericordia voglio e non sacrificio”. E’ scritto nel libro di Osea, lo sanno a memoria, cosa crede! Ma finisce lì. Lo sanno a memoria, appunto. E basta.

–           Occorre agire senza chiedere il permesso, come fa la donna emorroissa. Chi è nella situazione problematica ha il diritto di scegliere come chiedere aiuto. Come nelle Beatitudini: “Alzatevi, voi che…”. Ci vuole il desiderio di cambiare, di guarire… ci vuole l’incontro tra il desiderio di chi cerca e chiede aiuto e la disponibilità di chi può dare una mano. E’ la reciprocità di ogni relazione: siamo contemporaneamente bisognosi di aiuto e potenziale aiuto per gli altri e le altre.

–           E’ probabile che Gesù invitasse tutti a cambiare vita, ad una maggiore responsabilità, al rispetto della libertà, a non farsi imprigionare da meccanismi strani. Non sempre questi cambiamenti sono indolori, a volte possono causare delle rotture, ma la libertà, quella libertà di cui parla Gesù, non si può addomesticare, per cui credo che valga la pena di mettersi in gioco. E’ bello vedere l’amore, la consapevolezza e la misericordia come compagne che ci sostengono nel costruire il cambiamento.

–           E’ sorprendente la voglia di guarire dell’emorroissa. Pur essendo sfinita dalla sua malattia, che la teneva esclusa dalla vita sociale, si spinge ancora un po’ più avanti per ottenere un contatto con Gesù, sperando di toccare almeno un lembo del suo mantello. Sono straordinarie le risorse che possediamo dentro di noi e molto spesso ce ne dimentichiamo. Molti ostacoli o preoccupazioni, che ci sembrano insormontabili, possono essere superati se veramente lo vogliamo.

–           Se riusciamo ad incontrare sulla nostra strada persone che ci stimolano a prendere consapevolezza e ad usare le nostre capacità, allora tutto diventa più semplice, abbiamo una spinta in più ad agire per cambiare. Ad ognuno/a di noi nella vita più volte viene offerta la possibilità di rinascere, di cambiare… sta a noi seguire la nostra forza di volontà per attuare il cambiamento ed essere attenti nel saperlo riconoscere come nuova opportunità per metterci in gioco.

Carla Galetto

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