Lunedì 20 febbraio 2012 – Vangelo di Matteo cap. 8

Non fermarsi… andare oltre

E’ interessante osservare che queste prime guarigioni di Gesù avvengono su persone che vivono, in modo diverso, situazioni di emarginazione nella società dell’epoca: un lebbroso o un uomo affetto da una malattia della pelle, uno straniero pagano di cui Gesù guarisce il figlio o il servo, infine una donna, in questo caso la suocera di Pietro.

Toccando l’uomo con una malattia della pelle, Gesù diviene impuro per la legge giudaica vigente. Guarisce l’uomo e gli ordina di andare dal sacerdote per essere riabilitato. Questo significa che Gesù mette l’altro in condizione di essere guarito, assumendo la sua impurità.

Anche il contatto con l’ufficiale romano rivela l’impegno di apertura di Gesù. Dopo l’israelita emarginato, un non-giudeo di cui elogia la fede (v. 10). Il Regno di Dio che Gesù testimonia va al di là dei confini di Israele, è destinato a tutti i popoli e a tutte le culture.

Perchè l’uomo dice di non meritare che Gesù entri nella sua casa? Qualche commentatore ha sollevato l’ipotesi che il malato (qui designato con il termine generico “ragazzo” invece che figlio o ancora servo) potesse essere un efebo, amante dell’ufficiale romano (il che, se era accetto alla cultura pagana, era però condannato da quella ebraica). In questo caso, l’atteggiamento dell’ufficiale romano sarebbe stato diretto ad evitare a Gesù una situazione imbarazzante per le implicazioni morali che essa presentava. Più verosimilmente, tuttavia, il centurione (o il funzionario) semplicemente non voleva che Gesù potesse in qualche modo essere pregiudicato entrando nella casa di un pagano (per giunta, se stiamo al racconto, ufficiale di un esercito di occupazione). E, infatti, Gesù non insiste; accetta di non recarsi nella casa e cura il ragazzo con la forza terapeutica della sua parola. Annuncia, inoltre, che nel banchetto messianico molti giungeranno da oriente e da occidente e siederanno a tavola con i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, mentre coloro che si ritengono destinatari esclusivi del Regno e della promessa di Dio ne resteranno fuori, confinati nei loro sentimenti di invidia e di odio.

La guarigione della suocera di Pietro, che appare qui come una persona del circolo abituale di Gesù, avviene in casa. Ci chiediamo se questo particolare racconto, sobrio e lapidario come pochi, voglia alludere alla “chiesa domestica”, che al tempo, come suggerisce il nome, ancora si riuniva nelle case. Chissà: forse, ricordando questo episodio, si vuole alludere al fatto che in alcune chiese, la donna giace ancora prostrata? Gesù, con un gesto, la guarisce: tocca la sua mano. Come in Marco e in Luca, anche in Matteo si racconta che, prontamente, la donna si alzò e si mise a servire Gesù. Il verbo usato, “diakonei”, è lo stesso che designa la funzione dei diaconi nella chiesa. Raccontando ciò con tale forza simbolica, che cosa si voleva dire propriamente? Si intendeva, forse, istruire la comunità circa la necessità di coinvolgere e valorizzare la donna in una funzione ministeriale più attiva di quella in cui essa si era vista fino ad allora relegata?” (Marcelo Barros, Il baule dello Scriba, pagg. 79-80).


Versetti 18-22

Il vangelo si riferisce qui ad un viaggio missionario. Gesù ordina di andare sull’altra riva del lago, nella regione dei pagani. E’ in questa situazione che si presentano i due casi di candidati al discepolato. Nel primo, si tratta di un maestro della legge; generalmente i maestri della legge appaiono nel testo come avversari di Gesù. Qui si allude invece a uno che fa suo l’appello alla sequela, con accenti che ricordano lo spontaneo entusiasmo di Pietro: “Verrò con te dovunque andrai”. Gesù si premura di metterlo in guardia: volpi e uccelli hanno dove ripararsi a riposare, lui no. Lui e i suoi discepoli devono saper rinunciare ad ogni sicurezza e tranquillità nello svolgimento della missione.

Al secondo interlocutore, che si dice deciso a seguirlo, ma gli chiede una dilazione nel tempo per accompagnare gli ultimi giorni di vita del padre, Gesù oppone un categorico, e per certi versi scandaloso, “Vieni con me e lascia che i morti seppelliscano i loro morti”. C’è un’urgenza del Regno, c’è un amore più grande che esige nei discepoli fretta, determinazione, radicalità. Al punto di saper rinunciare all’esercizio, che resta pur sempre buono e meritorio, degli affetti e delle cure familiari.


Versetti 23-27

Nella tradizione antica si raccontano molte situazioni analoghe. Questa è scarna ed essenziale. Chi nasce e vive sul litorale conosce la forza del mare che, a volte, può scatenarsi e diventare assai pericoloso. Forse per il fatto che molte delle invasioni di cui furono vittime giunsero dal mare, esse portavano a vedere il mare come un luogo di forze demoniache. Allora, forse per mostrare che Gesù affrontò e vinse le forze del male, si racconta che egli usò la forza della parola per domare una tempesta nel mare di Galilea. L’insegnamento che se ne può trarre è che la comunità cristiana è chiamata a stare salda nella fede, anche e soprattutto quando fa l’esperienza della tribolazione e della prova.


Versetti 28-34

Nei vangeli di Marco e Luca l’indemoniato è uno solo, mentre in Matteo sono due. Gesù non esita un solo istante a permettere che un intero branco di porci si perda, pur di vedere un solo essere umano (o due, secondo il racconto di Matteo) liberato. Quanti di noi sarebbero disposti a perdere la loro mandria, o il gregge, o ciò che ad essa potrebbe oggi corrispondere (ma anche solo un maialino), perchè un fratello o una sorella possa essere liberato/a dal suo male?

Il racconto, come sempre, ha il suo valore simbolico. Ricordando forse una missione sfortunata in territorio pagano, si è voluto sottolineare la difficoltà grande di una cultura non-giudaica a intendere il piano di salvezza del Dio dell’Alleanza. Nel linguaggio più vicino a noi, potremmo dire che una società prigioniera degli idoli del potere e dell’avere (cioè pagana) non può capire e fare propri i gesti salvifici con cui si annuncia il Regno di Dio.


Riflessioni dal gruppo

  • Gesù ha sovente relazioni apparentemente “a perdere”: totalmente gratuite, libere da ogni tornaconto, come avrebbe potuto essere la pubblicità che poteva fargli il lebbroso… Gesù compie gesti che vanno oltre le disposizioni legali e queste relazioni trasgressive guariscono, liberano.
  • Gesù entra in contatto con una donna, la suocera di Pietro: la relazione paritaria aiuta le donne a sollevarsi e liberarsi. Gesù l’ha fatto; gli uomini dopo di lui non più! le donne hanno sempre dovuto praticare l’invito delle “beatitudini”: Alzatevi e mettetevi in cammino, voi donne che siete oppresse dalla cultura patriarcale, perché sarete libere e operatrici di liberazione anche per gli uomini.
  • Spesso, troppo spesso, valgono più i porci delle persone. Non solo, l’ultimo versetto è di una attualità permanente: è più facile girarsi dall’altra parte che guardare ciò che succede, per evitare di dover prendere posizione.
  • Quel versetto sui “morti” è molto duro. Forse Matteo, nella sua radicalità, vuole evidenziare il rischio che “fermarsi a prendersi cura” possa essere inteso come alternativa alla “sequela”. Invece Gesù si prende cura di chi ha bisogno e ogni volta è un’occasione e un momento del cammino sulla strada del Regno. “Morti e morte” sono quelli/e che non camminano su quella strada, come devono fare discepoli e discepole, ma si fermano a fare altro.
  • La “tempesta” è un’esperienza di vita per ogni uomo e ogni donna. Imparare ad affrontarla significa apprendere la capacità di rasserenare, accompagnando chi è in balia della tempesta, e l’arte di saper mantenere calma e lucidità quando siamo noi a doverci fare i conti.
  • Gesù guarisce, fa prodigi, però non si ferma lì. Va oltre per portare ad altre persone il suo messaggio, sollecita la responsabilità di chi riceve un beneficio a non sentirsi appagato, ma a testimoniare nel proprio ambito l’effetto che ne consegue e a farsi egli stesso cassa di risonanza…
  • Ci dice anche, però, che la salvezza di qualcuno/a non dipende da chi l’ha “toccato”, ma dalla capacità di lasciarlo/a libero/a di assumersi consapevolmente la responsabilità della propria guarigione, del proprio cambiamento: solo da quel momento in avanti siamo davvero guariti/e e salvati/e.

Domenico Ghirardotti

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