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La chiesa Valdese di fronte all’omosessualità

La posizione della Chiesa valdese sui tema dell’omosessualità è difficile da sintetizzare, per varie ragioni. Prima di tutto va evidenziata la nostra tendenza a non esprimerci in maniera univoca rispetto a ciò che è “giusto o sbagliato”. Questo non per mancanza di idee, ma per rispetto della libertà-responsabilità del singolo.

E difficile che una Chiesa evangelica dica a una persona che cosa bisogna o meno fare, piuttosto essa cercherà di metterla di fronte alla sua responsabilità.
Così, per esempio, la Chiesa valdese produsse negli anni Settanta un documento sul matrimonio in cui manifestava un giudizio negativo sul divorzio, quanto evento che esprime un fallimento da riconoscere ma sottolineava la necessità di prendere atto dell’esistenza di questa realtà, pur deprecabile, e di confrontarsi con le persone coinvolte nella fine di una relazione di coppia.Active Image

In secondo luogo va sottolineato che nelle Chiese evangeliche convivono vari modi di leggere la Bibbia e diverse interpretazioni che si possono dare al concetto di “autorità della Scrittura”.
E noto, per esempio, che le differenti Chiese protestanti esistenti nel mondo non hanno sull’omosessualità la stessa posizione, e ciò è legato anche al senso in cui intende l’autorevolezza del testo biblico. Sebbene nell’ambiente valdese queste diversità non siano esasperate sono però presenti.
Quindi troviamo sia la posizione che vede la Bibbia come un libro che dà delle indicazioni massima su come comportarsi (per esempio, «Ama il tu prossimo come te stesso», dove spetta a ognuno dare corpo al messaggio, nella propria parzialità anche sessuata), ma anche chi tende a leggere la Bibbia in maniera più “letteralista” (e nella Bibbia può trovare brani - anche se non molti e neppure tra quelli fondamentali -  segnati da una certa omofobia, che è indubbiamente presente, anche se non va esagerata).

Infine va rilevata la convivenza nella nostra Chiesa di vari modelli ecclesiologici. Chi vede i valdesi dall’esterno tende a immaginarseli piuttosto “alternativi d professione” nelle loro prese di posizione. Questo è vero, ma solo in parte: in effetti una Chiesa - per piccola che sia - è sempre più complessa dei suoi documenti ufficiali... e indubbiamente un tema così scottante tende a dividere gli animi piuttosto che a unirli.

Storicamente la Chiesa valdese ha iniziato a parlare di omosessualità e fede in maniera esplicita e ufficiale solo un paio d’anni fa. Non che prima non se ne parlasse, ovviamente: una commissione se ne occupò marginalmente nel 1984 (documento sulla sessualità), ogni estate al Centro ecumenico Agape si tengono campi omosessuali dal 1980, il gruppo di lavoro sulla bioetica del Sinodo, formato da medici, biologi e teologi, ha dedicato una sezione del documento sulla bioetica del 1995 al tema dell’omosessualità, con particolare riguardo alla genitorialità dei singles, vari contributi sono apparsi sulla nostra stampa.

Il Sinodo però si è occupato direttamente di questo tema solo nel 1998, a partire da una questione precisa: la possibilità (o meno) di consacrare ministri dichiaratamènte gay  o lesbiche.
Questa domanda è emblematica, perché rende la questione non più accademica, ma concreta, in quanto chiede ‘alla Chiesa di pronunciarsi non su un tema astratto, ma su persone che sentono un’identità sessuale diversa da quella tradizionalmente riconosciuta dalla Chiesa. Al contempo è Importante perché si misura con l’immaginario delle persone e il loro rapporto con la Chiesa. […].

Una sfida: “benedizione del matrimonio gay si o no?

Una questione che non si è ancora posta a livello pratico nella Chiesa valdese, ma aleggia nei nostri dibattiti, riguarda la “benedizione del matrimonio” gay. Anche se nessuna coppia ha ancora formulato una richiesta concreta in tal senso, discuterne prima può evitare poi, al momento in cui essa venisse avanzata, il rischio di giudicare le persone coinvolte.
Anche in questo caso può essere utile premettere che la Chiesa valdese non sottolinea molto la teologia matrimoniale e riconosce allo Stato la definizione di matrimonio. Perciò non esiste un “matrimonio valdese” in senso stretto, ma semmai un culto di benedizione delle nozze, che possono essere state già celebrate in municipio o possono avere effetti civili perché lo Stato riconosce al pastore le funzioni di pubblico ufficiale; inoltre un matrimonio può essere celebrato in un tempio valdese solo quando almeno uno dei partner è membro della Chiesa!
Detto questo, però, la questione si potrebbe porre a un pastore o a un consiglio di Chiesa, nel qual caso probabilmente il Sinodo dovrebbe esprimersi in proposito. Anche in questo caso l’ecumene evangelica offre spunti di riflessione.

La Chiesa svizzera di San Gallo, per esempio, ha istituito una commissione apposita che ha elaborato una liturgia di benedizione matrimoniale, qualora questa venga chiesta per motivi autentici e non come atto dimostrativo. Tale posizione ha origini e motivazioni interessanti: la benedizione di un matrimonio è vista essenzialmente come richiesta di intercessione, per cui sarebbe aberrante che una Chiesa si rifiutasse di intercedere per alcuni suoi membri semplicemente perché fanno parte di una minoranza.
La Chiesa svizzera di Zurigo, analogamente, sta pensando a culti specifici, a nuove forme di benedizione da affiancare a quelle tradizionali, tenendo presente che la società in cui viviamo domanda alle Chiese di riconoscere nuove situazioni difficili e importanti (per esempio la separazione, il pensionamento, etc…) e di essere vicine a chi le sperimenta.

Conclusione

Il tema del rapporto Chiesa cristiana-omosessualità è un a particolarmente spinoso, perché coinvolge non solo la nostra visione razionale della fede e dei rapporti tra le persone, ma anche gli aspetti emotivi e viscerali del nostro essere.
In proposito pensiamo solo a come nei secoli è stato definito il “peccato” dal punto di vista razionale e come le persone lo intendono nella loro vita quotidiana, con un confliggere di moralismi; oppure come l’irruzione dell’innamoramento nella vita di una persona può cambiare molte  prospettive che prima sembravano solide e immutabili: come si fa a codificare l’innamoramento, a dire “è giusto” o “è sbagliato”?
E impossibile, perché l’innamoramento c’è o c’è, e ogni libro di teologia lascia il tempo che trova nel momento in cui lo si vive o se ne sperimenta la fine. Ebbene, la visione che la Chiesa valdese ha di se stessa è essenzialmente quella dell’accompagnatrice solidale delle persone in quanto tali e non di colei che fornisce l’orientamento.
A me pare che il cattolicesimo insista molto sulla figura di Maria perché in fondo vede se stesso in lei, intende se la chiesa come mater et magistra.

Il protestantesimo forse si paragonerebbe alla samaritana, che, dopo un percorso su se stessa guidato da Gesù, diventa missionaria, sollecita ad andare da Cristo i connazionali, i quali si convertono e nel versetto finale dell’episodio (Gv 4,42) dichiarano di credere non per il racconto fatto da lei, ma per l’incontro con lui. Quindi la Chiesa non è la guida, ma è il veicolo per conoscere Gesù.
Questo accompagnare non significa una vocazione a essere la crocerossina della storia”, come spesso la Chiesa ha fatto, stando fuori dai conflitti e limitandosi a consolare i feriti, benedire i moribondi e seppellire i morti. Alla Chiesa tocca porre le persone di fronte alla loro situazione di peccato e da ricordare che Gesù è venuto a salvare e non a condannare.

Indubbiamente la fede ci pone di fronte alla necessità di confessare il peccato... che è sicuramente anche legato al mio essere eterosessuale, così come al tuo essere omosessuale... non perché uno è eterosessuale e l’altro omosessuale, ma perche ciascuno di noi è una persona che vive nel mondo concreto e di questo la sessualità è una dimensione fondamentale. Però di fronte e oltre al peccato esiste il perdono: siamo peccatori, ma in Gesù possiamo essere peccatori per perdonati.
Gregorio Plescan
fonte:  intervento al convegno di Milano del 23 ottobre 1999 su "Le persone omosessuali nella chiesa. Problemi, percorsi, prospettive"