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L’OMOSESSUALITÀ NEL MAGISTERO CATTOLICO E NELLA TEOLOGIA MODERNA

Reinterpretazione antropologica e etica dell'omosessualità

di don Luciano Scaccaglia


Nel passato si dava giudizio morale molto negativo della omosessualità: è una tendenza disordinata, anzi contro natura.
Addirittura i catechismi di Pietro Canisio l’omosessualità era stigmatizzata tra i “peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio”.


Esame dei documenti del Magistero attuale

Nella dichiarazione della Dichiarazione della Dottrina della Fede su Alcune questioni di estetica sessuale del 29 dicembre 1975, si afferma che occorre accogliere con comprensione le persone omosessuali e di parlare con prudenza della loro soggettiva colpevolezza morale, però nello stesso tempo si dichiara che “secondo l’ordine morale oggettivo le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile”, sono “intrinsecamente disordinati e, in nessun caso possono ricevere una qualche approvazione” (n. 8).
Per la prima volta in un documento della Chiesa Cattolica si riconosce l’esistenza di una costituzione omosessuale immodificabile; si parla infatti di omosessuali “che sono definitivamente tali per una specie d’istinto nato o di una costituzione patologica giudicata incurabile” (n. 8).
Da questo però non si può dedurre la possibilità di giustificare le relazioni omosessuali in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio”.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ripete la dottrina espressa nei due documenti esaminati (cfr. nn. 2357, 2358, 2359).
Ribadisce che gli atti omosessuali sono mancanze gravi contro la virtù della castità: “tra i peccati gravemente contrari alla castità, vanno citate la masturbazione, la fornicazione, la pornografia e le pratiche omosessuali” (n. 2396).
L’omosessualità è contraria al piano di Dio in quanto non è capace di generazione.
Anche se l’omosessualità è un fatto costitutivo della persona è sempre una disfunzione un sintomo della creazione decaduta, conseguenza del peccato originale.
“Poiché l’essere umano deve realizzare l’ordine della creazione così come Dio l’ha voluta, cioè senza cedere alla possibilità del male, il comportamento omosessuale è sempre oggettivamente disordinato” (AA. VV., Il posto dell’altro, le persone omosessuali nelle Chiese cristiane, Edizione la Meridiana, Molfetta 2001, p. 109).
Nella recente Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede su considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 Giugno 2003, si afferma: “ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o alla applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo. In questa materia ognuno può rivendicare il diritto all’obiezione di coscienza”. (Ibid).


La Teologia morale


I teologi moralisti circa la sessualità si pongono su tre posizioni.
Tutti e tre i gruppi sono d’accordo nel distinguere tra orientamento omosessuale (disposizione costituzionale) e comportamento omosessuale: il primo non viene scelto liberamente dalla persona, sfugge alla libertà dell’individuo e quindi non può essere peccaminoso.
Si discute invece sul giudizio morale circa il comportamento omosessuale sugli atti intimi: il primo non viene scelto liberamente dalla persona, sfugge alla libertà dell’individuo e quindi non può essere peccaminoso.
Si discute invece sul giudizio morale circa il comportamento omosessuale, sugli atti intimi tra omosessuali: per alcuni sono peccati, per altri no.
  1. La Chiesa cattolica romana e per i teologi tradizionalisti a questo problema morale c’è una sola soluzione: la rinuncia all’attività sessuale da parte degli omosessuali e quindi la sublimazione delle pulsioni sessuali.
  2. Alcuni teologi, oggi, affermano che in una unione omosessuale seria, stabile, fedele, sia legittimo e morale l’unione delle persone, anche sessuale, rispettato il principio che devono seguire prima di tutto la loro coscienza retta e formata.
“Bisogna riconoscere che la persona umana è responsabile solo di ciò di cui è anche capace e che l’ltimo tribunale resta la sua coscienza (formata). Perciò non si può parlare a priori - anche in caso di un radicale rifiuto del comportamento omosessuale - di peccato (grave) . Ciò richiede, infatti, la relativa concezione e la libertà di poter agire anche diversamente.
Chi in seguito a una matura riflessione perviene a un giudizio diverso da quello del magistero e crede di non poter seguire la Chiesa in questo caso particolare, è tenuto a seguire la sua coscienza. Non commette alcuna colpa e non si trova neppure fuori dalla Chiesa”(AA.VV., Il posto dell’altro, op. cit., p. 112.).

Questi teologi sostengono che nelle relazioni sia omo che etero prima di tutto ci deve essere un amore fedele e stabile. La sessualità, come simbolo, come veicolo, come espressione dell’amore, conserva il suo senso e il suo valore anche senza l’orientamento alla procreazione. “Intendo la fecondità non nel senso restrittivo della generazione fisica, ma in un senso più ampio (generazione e donazione di vita), anche le unioni omosessuali possono portare frutto per sé stesse e per gli altri. Possono realizzare gli stessi significati delle unioni eterosessuali ed essere feconde, anche se non in senso fisico. Mediante un impegno sociale la coppia omosessuale può uscire dall’ambito privato e la sua relazione d’amore può produrre frutti nella Chiesa e nella società”(Ibid, pp. 117).


Il pensiero di alcuni teologi moralisti


Per il teologo moralista Giannino Piana la teologia moderna parte dal primato dell’unità della specie umana sulla differenza del genere (maschile e femminile): il fatto di essere umano viene prima (non solo a livello cronologico ma anche il valore) della condizione di essere”maschio e femmina”.

Questo è confermato dalle scienze biologiche che hanno messo in luce il fatto che il dimorfismo sessuale è relativo, cioè dipende ed è ascrivibile solo al sesso genetico, genitale e gonadico (testicoli ed ovaie).
“Fondamentale è anzitutto il contributo delle scienze biologiche, che hanno vieppiù messo in luce – grazie soprattutto alle scoperte avvenute in campo genetico – la relatività del dimorfismo sessuale ascrivibile soltanto al sesso genetico, genitale e gonadico, e dunque il carattere di continuità con cui si presenta ciascuno degli altri elementi (sesso ormonale, caratteri sessuali secondari, ecc. cfr. credere oggi, persone omosessuali, Edizioni Messaggero Padova 1980, marzo-aprile 2000, p. 49).

Inoltre, sempre la teologia recupera il valore della relazione, come dimensione costitutiva dell’essere umano. Da ciò deriva la convinzione che le differenze tra maschio e femmina si pongono dentro una unità originaria che precede le differenziazioni e inoltre queste differenze sono molto più limitate rispetto agli elementi comuni.

La filosofia contemporanea, partendo dalle conclusioni delle scienze umane ha sottolineato il fatto che il maschile e il femminile non sono due realtà radicalmente separate o contrapposte, ma sono dimensioni costitutive dell’essere umano, sono presenti sia nella donna che nell’uomo, pur con modalità quantitative diverse che danno origine a vere e proprie differenze qualitative.
Si può dire che non esiste sistema sociale in cui non siano chiaramente fissati quali caratteri debbano essere considerati tipici per ognuno dei due sessi. E’ peraltro importante rilevare che tra i due stereotipi sessuali, anziché esistere un rapporto di contrapposizione, sussiste una modifica correlazione di somiglianza. E’ quindi erroneo ritenere che il “maschile” significhi il contrario di “femminile” e viceversa. La psicologia trova conferma a questa ‘somiglianza’ fra maschio e femmina in dati di ordine fisiologico, dai quali risulta che in ciascuno dei due sessi sono costantemente evidenziabili anche elementi sessuali di quello opposto. L’affermazione che ogni ‘organismo’ sia, fini a un certo punto, bisessuale risale già all’antichità classica (vedi la simbologia and rogina) e ha ricevuti alla fine dell’ottocento e agli inizi del novecento la sua moderna formulazione psicologica (Adler, jung, ecc.)”(Cfr. Ibid., p. 50).

Queste affermazioni antropologiche sembrano trovare legittimazione nei due racconti biblici della creazione (Gen. Cc. 1-2). Adamo è figura collettiva per indicare l’umanità, non un individuo singolo. Secondo gli esegeti esso indica anche il fatto che l’umano si presenta fin dal principio”come unità che si esprime e si realizza in una differenza; in altri termini che la differenza viene dopo (e non solo cronologicamente) l’unità e che è a quest’ultima del tutto subordinata.
La conferma a questa interpretazione è nell’uso del singolare nei versetti in cui si parla dell’umano, della creatura, creata a immagine di Dio.
L’essere umano indipendente e prima della diversità sessuale è icona, immagine, imago Dei:
“Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò” (Gen. 1, 27ab).
L’uso del plurale avviene subito dopo quando si mette a fuoco la differenza sessuale:
maschio e femmina li creò”(Gen 1,27c).
L’immagine di Dio sta quindi nella differenza sessuale, ma l’immagine è nella relazione d’amore tra i due essere, indipendentemente dal sesso.
La prima relazione è quella tra uomo e donna, ma non in modo esclusivo: infatti due che si amano sono imago Dei: “Esso (il primato della relazione, ndr.) non è infatti riferito, nel testo della Genesi, soltanto alla singola persona, ma anche (e soprattutto) alla realtà della relazione, che ha nel rapporto uomo-donna il principale referente e che si estende tuttavia, in senso allargato, ad ogni altra forma di rapporto interumano. La sottolineatura del valore decisivo che riveste la relazione, accanto al riconoscimento, sopra evidenziato, dell’unità originaria dell’umano, pur non comportando il disconoscimento dell’importante significato della differenza sessuale, mette tuttavia in luce il carattere secondario e dipendente che essa riveste di fronte all’attuazione dell’esperienza relazionale” (Cfr. Ibid, p. 52).

Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: “Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!” Ma egli disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc. 11, 27-28).
Entrò in una casa e si radunò di nuovo a Lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: “E’ fuori di sé”… Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano”. Ma egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?”. Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc. 3, 20-21. 31-35).

Paolo in un famoso brano parla del superamento di tutte le differenze sociali, religiose e sessuali, per instaurare relazioni nuove di convivenza dove si intrecciano e si mescolano razze, culture e religioni: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”(Gal. 3, 28). Rimane il valore della differenza del genere (maschio e femmina), rimane lo statuto bisessuale dell’essere umano, però nell’ottica di una più ampia struttura relazionale non secondaria.


Orientamenti
  1. Occorre passare dal modello naturalistico al modello relazionale secondo il quale la bontà morale del rapporto risulta dalla capacità che esso ha di esprimere”in modo profondo, autentico, coinvolgente il mondo interiore di due persone, di creare cioè la condizioni per lo sviluppo di una vera interpersonalità, la quale si realizza solo nella misura in cui si abbandona la tentazione di trattare l’altro (l’altra) come oggetto e si riconosce invece la sua unicità irripetibile e la sua inestimabile dignità”(Cfr. Ibid, p.53).
    Interessante a questo proposito è il principio kantiano:”agisci sempre trattando l’altro come fine, e mai come mezzo”.
  2. La relazione eterosessuale sia per la prevalenza quantitativa sia per il fatto che riflette l’originario statuto bisessuale dell’umano, è, a livello oggettivo, la forma completa di relazione, perciò è il paradigma di ogni altra forma di relazionalità.
  3. La relazione omosessuale manca per ora di un riconoscimento ufficiale a livello giuridico, come manca, a livello naturale di fecondità procreativa. Non per questo però è priva di valore, di amore vero e di aperture feconde. Occorre riconoscere il valore di ogni relazione autentica sia etero che omo; occorre inoltre accettare e vivere in modo sereno la propria condizione in un clima di pace interiore, superando ogni sentimento di colpevolezza paralizzante.
    Per il teologo moralista Leandro Rossi la castità era in passato intesa come astinenza sessuale, ora viene presentata così:”sessualità messa al servizio della vita, dell’amore, non solo del piacere”.
    Essere casti significa essere liberi per amare.
    Come deve essere vissuta la castità?
  4. La posizione tradizionale parlava e parla per gli eterosessuali, di astinenza sessuale prima del matrimonio e di castità all’interno del matrimonio: fare sesso per amore, ma aperto alla vita, alla procreazione.
  5. Per gli omosessuali l’unica castità possibile è l’astinenza sessuale:
    “In passato li spingevano (gay e lesbiche ndr.) anche a sposarsi con una persona dell’altro sesso, facendo l’infelicità di tre o più persone. Oggi pare che questo non succeda più. Ma rimane il problema di un’astinenza che può durare tutta una vita. E che non è una scelta, perché anche la mia di prete dovrebbe durare tutta la vita, ma è il frutto di una decisione iniziale chiara e precisa”(AA. VV., Il posto dell’altro, op. cit., p. 20).
  6. In questo periodo molti teologi percorrono piste più umane:
    L’omosessualità non è contro natura. Se uno dice così”non tiene conto del fatto che ci sono omosessuali che lo sono dalla nascita, mentre altri, se lo sono poi diventati, sono divenuti tali in maniera irrevocabile. La natura di queste persone pur sapendo benissimo che sarebbero state così e, nonostante questo, l’ha fatto ugualmente. Ciò significa che queste persone hanno una loro vocazione propria, che la loro omosessualità è una vocazione che Dio ha dato loro al momento della creazione”(Ibid., p.21).
    Questa tesi è così supportata dal teologo L. Rossi:
Per il teologo don Franco Barbero la omosessualità non è una scelta ma una condizione.
“Perciò il vivere un rapporto stabile e fedele è davvero una scelta matura che molti gay e lesbiche cercano con tutto il cuore (F. Barbero, L’ultima ruota del carro, Associazione Viottoli, Pinerolo 2001, p. 96). Non c’è ragione morale o religiosa per la quale due uomini o due donne non possono creare relazioni monogamiche, attente e amorevoli, e famiglie. Le coppie omosessuali possono allevare alla perfezione figli sani. In effetti, dati i disastri dell’educazione infantile di cui siamo testimoni all’interno di famiglie eterosessuali, è difficile immaginare come genitori omosessuali possano fare di peggio”(Ibid., p.99).
Il vescovo Luigi Bettazzi, padre conciliare, inneggia al valore della sessualità come espressione d’amore, richiamando quanto ha detto il Concilio Vaticano II in proposito: “Questo (il Concilio Vaticano II, ndr.) ha avviato il ricupero del senso fondamentale della sessualità, che è quello della relazione dell’altro, facendogli perdere un giudizio, implicito, ma diffuso, che cioè il sesso fosse una brutta cosa (all’estremo opposto della castità, che era ‘la bella virtù’); da tollerare soltanto quando era proprio indispensabile, come nel momento di ‘fare figli’ … Credo che il grande problema rimanga questo: una volta riconosciuto il valore dell’affettività omosessuale, fin dove questa potrà spingersi, sul piano morale e poi sul piano giuridico? E’ importante che se ne parli, con serietà e serenità…” AA .VV. Il posto dell’altro, op. cit., pp. 9-10).