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Gay , lesbiche e famiglia

Addolorati nemici e amorevoli alleati: i familiari

Troppe volte, nel passato, giovani gay e lesbiche hanno sperimentato la famiglia, che è il contesto affettivo fondamentale, come una prigione da cui evadere al più presto. Questo stato di cose, fortunatamente, sta cambiando: non è più sempre così, non per tutti almeno. Assistiamo, infatti, di pari passo con l'evoluzione delle funzioni genitoriali, a processi e vissuti estremamente diversificati di fronte alla scoperta dell'omosessualità di un figlio, solo in parte riconducibili a quelli ben noti della rabbia, dello sgomento, dell'incredulità, dello sconforto.

Anche se si può affermare (e le ricerche effettuate lo confermano) che la maggioranza dei giovani sperimenta ancora queste reazioni familiari, ormai, anche in Italia, si sviluppano con discreta frequenza differenti esperienze: certo non un'accoglienza tanto buona da salutare la dichiarata omosessualità di una figlia lesbica o di un figlio gay come il dono della sua raggiunta maturità sentimentale, ma certamente un'accoglienza non ostile e distruttiva, né distanziante e mortifera, come accadeva fino a pochi anni fa.

I genitori si interrogano, cercano di capire, ma non revocano i legami parentali. Con il tempo possono perfino diventare i principali alleati del figlio o della figlia contro l'ottusità dei pregiudizi. E' un cammino faticoso, lungo il quale non solo devono liberarsi della violenza e della negatività iniziali, ma devono acquisire una diversa visione, valori più comprensivi e pluralisti, maturando attraverso un vero e proprio salto etico e culturale.

Spesso però la rivelazione che il proprio figlio è omosessuale resta ancora oggi un trauma. Viene vissuta come una sventura, qualcosa di ancor più tremendo di un handicap, perché coinvolge tanto la sfera morale che quella affettiva, tanto il pubblico che il privato. Padre e madre si trovano davanti all'impossibilità di capire se si tratta di un vizio perverso o di una scelta consapevole, di un'alterazione organica, di un temporaneo stato di confusione giovanile, dell'influsso di "cattive" frequentazioni.

Shock e sgomento per il genitore dello stesso sesso, che si sente provocato "visceralmente" e non sa come comportarsi e rapportarsi (anche fisicamente) con lui/lei, che si sente attaccato nella sua stessa identità di genere, fallito nel proprio ruolo e oggetto di riprovazione sociale. E' chiamato direttamente in causa e minacciato perché non è più in grado di riconoscersi in quel figlio in cui invece aveva riposto la propria continuità e sente il disagio di appartenere al genere che il figlio sembra contestare con la sua devianza.

Shock e paura nell'altro genitore, che si sente investito della colpa di aver sbagliato tutto, di aver mancato in qualcosa o forse ecceduto in qualcos'altro, di essere stato troppo o troppo poco vicino o lontano, amorevole o distratto. E scatta perciò la girandola delle accuse e delle reciproche recriminazioni: "questa cosa… è dipesa dall'assenza paterna… era troppo gelosa del fratello… non si è mai sentita accettata… si è sempre sentita sminuita, non apprezzata, respinta dal padre… non ha trovato un padre in cui identificare un modello di partner… lui le preferiva il fratello… era anche gelosa del rapporto tra me e il fratello…".

Oppure, si apre la diga dei mea culpa, delle autoaccuse, poiché per tutti, dallo psichiatra televisivo alla rubrica "Lo psicologo risponde", colpevole è uno dei due genitori (a seconda delle mode psicologiche del momento): "Non l'ho capita… non ho dato il messaggio giusto, l'affetto corretto, i veri valori…".

Così, troppe volte, la comunicazione della propria omosessualità scatena vergogna, risentimento, abbattimento. A macchia d'olio la colpa si allarga, ricade su tutti, indifferentemente.

In questa temperie di sentimenti contrastanti, la figlia lesbica o il figlio gay viene visto dai familiari - e dai genitori per primi - come colui che porta dolore in famiglia, produce perdita, rottura, violenza.

Succede allora che da oggetto dell'oppressione altrui il giovane gay diventa lui stesso portatore di violenza. Violenza contro le persone più care e contro gli affetti fondamentali: da vittima di un sistema che esclude la pluralità affettiva, diventa la pietra dello scandalo, la vergogna della casa.

E in realtà, egli è costretto ad esserlo: nel momento stesso in cui i presupposti della cultura dominante vengono accettati, "gay" e "lesbica" non può che voler dire rottura dell'armonia, la pecora nera che mai avrebbe dovuto nascere, l'infamia di cui si parlerà tra parenti per generazioni, tra segreti sussurrati e pettegolezzi infiniti. La sua esistenza spezza la linea di trasmissione intergenerazionale, in quanto omosessuale viene meno al suo ruolo, non ci saranno suoi figli e nipoti di cui raccontare.

In questo scenario tutto rischia di avvenire all'insegna dell'attacco aggressivo: la comunicazione di omosessualità viene vissuta dai genitori come una violenza contro l'essenza medesima di paternità e maternità, una lacerazione della rete di significati altrimenti inconfutabili. Il disgusto rabbioso che essi provano verso il figlio omosessuale produce odio verso di sé, rischiando di rinfocolare l'avversione reciproca. Si pensi a quanti genitori trasferiscono sui figli i propri sogni di realizzazione e continuazione di sé: l'omosessualità fa passare dal sogno all'incubo. Essa impone un lutto ai familiari: è la morte della speranza. E' minaccia che manda in frantumi la propria immagine, il proprio progetto di vita, oltre alla reputazione e alle speranze di perpetuare il proprio nome.

"Se lei è così sbagliata da essere lesbica e non vuole cambiare, allora non potremo che scontrarci perennemente, tra noi non ci potrà mai essere accordo". "Se io sono lesbica, allora non potrò che vivere torturandomi nei sensi di colpa, non potrò mai costruirmi una vita". L'innescarsi di questa logica condizionale rischia di saldarsi in una spirale perversa di disagio e stereotipi, rafforzata dai rapporti sociali e dai valori dominanti.

Oppure può instaurarsi una relazione "come se": una comunicazione fatta di silenzi, esitamento, mancate spiegazioni, trionfo dell'ambiguità e dell'equivoco.

Da qui nascono la sfiducia nei rapporti più intimi, la lontananza e la simulazione, l'incapacità di credere nell'altro e quell'illusione di preservare le persone più care da ciò che si sa essere doloroso.

Quando arriva la consapevolezza che nessun cambiamento verso la normalità è possibile, allora cade la speranza di essere liberati dal male: più che tolleranza, in famiglia c'è sopportazione. Si instaura la filosofia dell'"ormai…" e si avvia un processo di fissazione degli stereotipi, avendo rinunciato a credere a qualunque possibilità di cambiamento dei rapporti.

Scatta la predizione negativa sull'altro, che è la forma più perversa di profezia che si autoavvera. Tutto questo gravemente prelude a croniche sofferenze e disfunzioni.

La paura… di dirlo

Queste considerazioni ci consentono di analizzare i motivi della paura che le lesbiche e i gay sentono di confidarsi con i genitori.

Analizzare tale mancanza di comunicazione maturativa significa cercare di smascherare la violenza sociale nei suoi effetti familiari. E' la paura di compiere un passo irreversibile, di non sapere come farlo, cosa fare dopo. E' la paura di non farcela a reggere fino in fondo: "Forse tacendo, rinviando…nulla cambierà…ognuno vivrà tranquillo, non ci saranno scenate, rimproveri, accuse…".

Un'ulteriore prova, questa, che il sistema dell'interdizione dell'affettività gay è violenza portata al cuore dei rapporti umani fondamentali.

Ma non riuscire a evolvere verso un livello di comprensione profonda, rende impossibile ai familiari conquistare una visione pluralistica degli affetti.

Per giovani lesbiche e gay, allora, diventa vitale riuscire a comunicare la propria omosessualità mettendone in risalto l'integrale positività, così da fondare nel proprio ambito familiare quella valorizzazione che il contesto sociale nega.

Ma proprio l'incertezza su di sé inquina i rapporti con i genitori, perché non aiuta a dissiparne i pregiudizi, lasciando perennemente sospesa la spada di Damocle della colpa, che non potrà che ostacolare qualunque tentativo di riconciliazione e maturazione.

La vera questione fondamentale però riguarda il come fare dei genitori e dei familiari i propri migliori alleati. L'alleanza con loro si rivela decisiva, perché inaugura una vera e propria strategia di valorizzazione di sé e consente di incidere sui modi di vita quotidiani.

Proprio il fatto di "vincere la battaglia" con i propri familiari in modo costruttivo e liberatorio da ogni violenza permette di affermare il proprio valore, di fare il primo passo verso l'autonomia. Superare questa prova insegna a impiegare le proprie risorse, prima di tutto emotive, per confrontarsi con gli altri.

L'accresciuta autostima e la sensazione di essere efficaci nella rete affettiva primaria garantisce una riserva di positività che nessun sistema di oppressione potrà mai scalzare senza incontrare adeguata resistenza.

I genitori perciò vanno aiutati a capire che essere gay o lesbica è una delle possibili forme dell'amore: vanno accompagnati verso un'etica della democrazia affettiva. La proposta dell'amore lesbico e gay come struttura esistenziale serena e di valore è la democrazia degli affetti al più alto livello: si basa sul principio che esistono più possibilità di vita e di rapporto amoroso, non solo l'eterosessualità.

I familiari potranno arricchirsi passando da un'idea di omosessualità come inclinazione sessuale particolare a un'idea di omosessualità come modo di amare: qui sta la sfida che, se vinta, aprirà le porte a una visione non rigida e non asfittica di normalità. Per cui i genitori vanno aiutati a sperimentare e valorizzare in loro stessi la libertà emotiva donata dall'omosessualità di un figlio. Questo consente di coglierne appieno la positività, non limitandosi a dire: "Lui è così, bisogna saperlo prendere, accettare così com'è, per come è…faccia un po' quello che vuole…".

Il loro orizzonte esistenziale potrà dunque allargarsi per integrare questo cambiamento e le lesbiche e i gay devono saper accompagnare i loro genitori lungo questo cammino essenziale per tutti. E' una sorta di educazione reciproca, in cui cresceranno insieme, tra conquiste e temporanee incomprensioni. Estremamente importante è la capacità di gestire questo passaggio dalla monocultura dell'eterosessualità alla pluralità degli affetti

senza violenza, senza lasciarsi trasportare da eccessi e distorsioni emotive connesse a vissuti di colpa e rimorso, accusa e depressione, svilimento e patologia. Così potrà essere tessuta interiormente una nuova rete esistenziale, una connessione non solo di valori ma di opportunità affettive e relazionali.

Questo ci permette di ricordare che il cambiamento vero è sempre un cambiamento che si radica nei propri mondi di vita quotidiani. Troppo spesso si salta questo livello e la liberazione omosessuale viene connessa direttamente a quello più generale, sia esso politico, culturale o istituzionale.

Invece sono proprio i più vicini e significativi mondi di vita e di appartenenza primaria (la famiglia, gli amici e la rete di supporto sociale) quelli su cui si possono sperimentare fruttuosamente le proprie risorse. Contesti di senso, carichi emotivamente, protettivi e affettuosi, in essi è possibile sperimentarsi nell'assertività di sé e dei propri bisogni, allargando l'area del consenso e della solidarietà.

E' il contesto familiare e amicale che difende, aiuta, supporta in ogni evenienza della vita, impedendo di rinchiudersi in modalità di vita stereotipate e difensivamente oppositive.

Queste riserve emotive relazionali sono indispensabili nei momenti di crisi o di persecuzione vera e propria, come la storia del ventesimo secolo ha dimostrato: si salvarono dal lucido delirio nazista solo quelli che potevano contare sulla protezione di una cerchia solidale, di mondi di vita in cui la salvaguardia del diverso era già esperienza vissuta.

Essere integralmente e serenamente se stessi in questi ambiti fondamentali è la strategia elettiva di liberazione. Esattamente come per i giovani eterosessuali, anche lesbiche e gay dovrebbero valorizzare la loro esistenza più autentica nei contesti quotidiani: la comunicazione più efficace e liberatoria è quella che avviene esprimendo tranquillamente la propria affettività gay.

Non bandiere né tacchi a spillo, non jeans attillati né ciglia che sbattono, ma per una lesbica portare la propria compagna alla festa aziendale, per un gay mettere la foto del proprio compagno sulla scrivania, e dimostrarle/gli amore in tutti i momenti e i modi che corrispondono al proprio più intimo sentire.

Pensiamo che questa sia una delle sfide decisive che si pongono ai giovani omosessuali: riuscire a intessere un dialogo con i familiari è indispensabile per acquisire una base affettiva e relazionale, per forgiare una solida autostima, ma anche per porsi come presenza pubblica autenticamente incisiva e liberatoria.

Mantenere un dialogo profondo con madre, padre e fratelli significa non essere costretti a subire modelli stereotipati, unico rifugio possibile altrimenti, significa mantenere uno sguardo critico, non conflittuale e maturo verso se stessi e verso le proprie esperienze di vita. Soprattutto, significa raggiungere una libertà non fittizia di pensarsi e di essere se stessi fino in fondo.

Amici, compagni, alleati

E' solo in apparenza paradossale che se, da un lato, lesbiche e gay tengono in conto esasperato il giudizio dei "normali" ("cosa dirà la portinaia…la cugina che vive a Catania…il collega reazionario?"), dall'altro fatichino a interrogarsi sul modo di rapportarsi con loro. Confusi e timorosi di rivelarsi, sembrano mancare di una vera strategia di relazione con gli eterosessuali, che spesso si riduce alla provocatoria rappresentazione di sé. I giovani gay, però, non possono evitare questo confronto: ognuno, singolarmente, deve elaborare la propria strategia relazionale, che emerge dall'intersezione tra relazioni di oppressione e vissuto di diversità.

Di fronte a discriminazioni uguali, si possono elaborare costruzioni mentali e, quindi, scelte sociali differenti: ogni lesbica e gay scelgono di agire in modo peculiare per la propria liberazione.

Ecco perché è necessario puntare l'attenzione non solo sul ruolo giocato dall'oppressore, ma anche sulla "politica" del diverso. Nell'interpretazione di un giovane gay, tutto può costituire ostacolo più o meno invalidante e sofferenza più o meno grave.

E, tuttavia, "sono sempre possibili altre scelte, numerose anche se non infinite; sempre posso immaginarmi delle soluzioni anche assai differenti, posso cercare delle risorse, delle vie d'uscita…anche se non posso mai sapere in anticipo quali siano…".

Spesso a queste scelte alternative si arriva con l'aiuto di adulti accoglienti, educatori, familiari. E i vincoli non sono ugualmente costrittivi per l'uno e per l'altro, così come non tutte le possibilità sono ugualmente fruibili per ciascuno di loro: ciò che conta è sempre l'elaborazione che il singolo sceglie di produrre.

Allora, un vincolo può assumere, per una certa ragazza lesbica, valore di costrizione e "ingessamento", mentre per un ragazzo gay è spinta aggiuntiva e sfida da superare. Decisivo è perciò il vissuto personale di ognuno, suscitato dal confronto con specifiche discriminazioni e opportunità, per arrivare a capire quale identità si possa costruire e che tipo di relazione si possa proporre agli altri.

Anche per i gay e le lesbiche, naturalmente, il potere sociale, cioè la possibilità individuale di incidere sul proprio mondo, si fonda su risorse pubbliche, che sono utilizzabili solo quando si agisce con efficacia all'interno di una rete sociale su cui si può contare. La vita della persone gay, più degli eterosessuali, si fonda su strategie di amicizia: essi hanno fame di legami, perché hanno bisogno di un più solidale contesto di accoglienza; possono mostrarsi più disponibili alle relazioni sociali e più attivi nel mantenerle, perché nella massima parte dei casi non hanno figli o questi sono già adulti.

Hanno desiderio di dare generando legami profondi e, soprattutto, valore nelle reti di appartenenza amicale e sociale. Essi possono così creare senso, scambio, conoscenze, entrando a far parte di svariate cerchie di interessi, all'interno delle quali è vitale per loro costruirsi amicizie solidali.

In questo gli omosessuali sono particolarmente rivelatori di una delle tendenze della società attuale, sempre più caratterizzata dalla formazione di legami amicali diversificati, in base a gusti, valori, interessi e obiettivi sempre più articolati.

Ma questo risponde anche a una strategia politica assai importante: costruire alleanze, testimoniando la pluralità affettiva e democratica della vita di tutti i giorni, significa lottare costruttivamente contro pregiudizi e violenze. Solo presentandosi e vivendo naturalmente e positivamente in modo non coartato né inibito, ogni giovane lesbica e gay potranno costruire legami non solo protettivi, ma donatori di senso, di positività piena. E di valori nuovi.

Paolo Rigliano (da: Amori senza scandalo, Feltrinelli 2001, pagg. 116 - 123)

(Autorizzazione alla pubblicazione concessa dall'Autore)