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Vecchie e nuove strategie di persecuzione: a proposito del libro di Stefano Teisa “Le strade dell’amore. Omosessualità e vita cristiana”
 
Tutti gli uomini sono uguali, ma alcuni sono meno uguali degli altri”: l’incredibile libro di don Stefano Teisa (Città Nuova Editrice, Roma 2002) si potrebbe riassumere così, parafrasando Orwell.

Perché secondo lui le persone gay e lesbiche sono inferiori, anomale, segno manifesto e ammonitore del peccato che tutta l’umanità ha commesso rifiutando l’Ordine divino e naturale e  pretendendo di far da sé. Questa la presunta Verità: “l’atto omosessuale è costitutivamente anticreazionale e tende ad annullare l’opera di separazione operata da Dio nel caos originario. In altri termini esso è in forte contrasto con l’ordine che il Creatore ha voluto per l’essere umano” (p. 49) Una verità intorno alla quale Teisa sembra girare intorno quasi a volere sedurre il lettore che può non pensarla come lui: “La Bibbia, però, non conosce la nostra distinzione tra inclinazione omosessuale e atti omosessuali, e pertanto interpreta gli atti omosessuali come frutto della libera determinazione umana. Non ci può quindi aiutare nel capire e giudicare la semplice inclinazione omosessuale” per smentirsi nuovamente: “Tuttavia, nessuna autorità umana ha il diritto di annullare la sicura norma biblica secondo la quale l’atto omosessuale non è mai lecito” (p. 50).

Ma il pensiero di Teisa, al di là del dire e contraddirsi, è esplicito: lui detta la Verità e con la semplicità del pregiudizio illuminato dalla fede ci spiega come non ci sia miglior simbolo di oggettivo disordine, aberrazione contronatura, condanna in se stessi dell’omosessualità: “Questo deterioramento della condizione umana causato dal peccato è per il Magistero la radice ultima che spiega la possibilità stessa di atti omosessuali” (p. 57). Rilancia anche: “per quanto riguarda le persone omosessuali che ostentano la loro condizione e positivamente scelgono di vivere la sessualità omosessuale… ci si chiede se non si possa parlare di vera e propria idolatria” (p. 118). Fa piazza pulita di tutti i gay credenti: “l’ostentazione della condizione omosessuale è sempre incompatibile con l’autentica fede ed esprime un atteggiamento di superbia verso il Creatore” (p. 119).

In definitiva, Teisa stabilisce che “l’inclinazione omosessuale rende oggettivamente molto più difficile l’amare autenticamente, perché è segnata da un forte narcisismo, che spiega la grande diffusione dei rapporti occasionali tra persone omosessuali; provoca sofferenza per l’impossibilità di crearsi una famiglia propria  e avere dei figli propri; spesso causa un vero e proprio conflitto tra il vissuto omosessuale e la fede: conflitto… Inoltre, la condizione omosessuale non può essere considerata neutra neppure in una prospettiva etica, perché anche la sola inclinazione omosessuale orienta verso atti gravemente disordinati dal punto di vista oggettivo” (p. 165).

Un libro pericoloso. Sotto una glassa di parole dolciastre e falsamente pie, il libro si rivela pericoloso, antiscientifico, vecchio. Esso si fonda sul pensiero totalitario: tutti i miti persecutori sugli omosessuali sono assunti come verità fondamentali, sin dalla interpretazione omofoba dei passi del Genesi, assolutamente fuorviante. Nel libro ritroviamo pari pari, semmai resi ad un livello infimo, tutti i luoghi comuni della dottrina cattolica, così come si è espressa negli ultimi documenti. Domina su tutto l’ossessione per l’atto sessuale, e Teisa ripropone una versione castratoria della castità: vecchia e ossessionata dal controllo dell’ordine. E come si potrebbe mai in questo micidiale manuale per la persecuzione affermare che con l’orribile parola “omosessualità” deve intendersi una delle forme dell’amore, espressione positiva e costruzione amorosa che attraversa tutti i piani dell’esistenza?

Un libro che indica a tutti noi un obiettivo non più rinviabile: bisogna impegnarsi ad elaborare un pensiero evangelico di autentica liberazione gay e lesbica. Perché ci sarà autentica liberazione solo se le persone gay e lesbiche – e con loro tutte le persone che tentano di trovare vie di liberazione -  prenderanno loro per prime il compito di elaborare un pensiero realmente nuovo, produttivo di possibilità, di riconoscimento integrale, di valore pieno. Come deve essere ogni amore maturo, rispettoso, liberamente scelto in base al proprio desiderio affettivo e sessuale.

Teisa dunque emette un giudizio sommario. E lo costruisce mettendo insieme tante tessere che danno origine a un puzzle persecutorio.  Ignorando le regole dell’analisi scientifica, Teisa affastella Freud e Adler, Le Vay e presunti guaritori per affermare che gli omosessuali sono

Senza portare una prova convalidata, senza citare nessuna ricerca seria e aggiornata, Teisa usa qualunque affermazione, non importa se fantasiosa o disonesta, per costruire la Verità di una condanna assoluta, scientifica e divina allo stesso tempo. Questo è il vero obiettivo del suo lavoro –lui dice ricerca, mai questo termine è stato usato così a sproposito. Obiettivo che raggiunge facilmente, utilizzano i seguenti criteri:

1) ignorare praticamente tutto delle ricerche scientifiche sull’omosessualità degli ultimi quarant’anni (con sprezzo del ridicolo “Oggi la ricerca sull’omosessualità vive un momento di depressione” pag. 5). Mantenendo volutamente l’equivoco, cita solo in nota il fatto che sin dal 1973 e per ragioni esclusivamente scientifiche l’omosessualità non è più considerata una malattia, ma commette un autentico misfatto quando afferma (p. 164, nota 149): “Successivamente, nel 1987, il DSM-III Revised ha inserito l’omosessualità nella nuova categoria dei “Sexual Disorder Not Otherwise Specified, cioè dei disordini sesuali non altrimenti classificabili: ibid., p. 357. Anche nel DSM-IV del 1994 è presente la categoria introdotta dal DSM-IIIR dei disordini sessuali non altrimenti classificabili: cf. ibid., p. 493”: cosa che è semplicemente falsa, in quanto anche l’omosessualità egodistonica viene non considerata più una malattia, e basta! Si può così presentare una bibliografia miserabile, con testi persino di quarant’anni fa, accettati come verità indiscusse. Un solo esempio: dei Bieber non dice chi siano, ma li prende per oro colato. Come proporre la tesi che gli ebrei sono naturalmente distruttori e maligni, perché così dice l’illustre dott. Goebbels. E infatti, il nostro non dice che i Bieber, capofila degli psicanalisti americani più omofobi  sono stati già trent’anni fa ridicolizzati per le loro ricerche difettose e criticatissime, smentiti dal comitato scientifico che decretò l’omosessualità non essere più una malattia e usciti perdenti da un referendum che loro stessi promossero tra gli psichiatri americani. Né il nostro pio autore conosce tutta la grande produzione attuale della psicoanalisi sull’omosessualità e non cita neanche un testo da lui facilmente reperibile perché pubblicato da Einaudi, F. Bassi, P.F. Galli (a c. d.), “L’omosessualità nella psicoanalisi”: eppure è uscito nel maggio 2.000. A p. 134 e seg. offre della psicoanalisi una versione fantasiosa e vecchia di decenni, nulla dice della manipolazione dello stesso pensiero di Freud, delle nuove interpretazioni psicoanalitiche e del mea culpa (per quanto equivoco anch’esso) degli psicoanalisti. In questa bibliografia penosa mancano persino autori che avrebbero potuto suffragare il pensiero del nostro (un nome per tutti: A. Cellerino (2000), Eros e cervello: le radici biologiche di sessualità estetica amore, Traccedizioni, Piombino (ristampato da poco da Bollati Boringhieri). Ma nel repertorio in cui il nostro si è fornito c’era posto solo per autori come Tripp (del 1975!) e la sua verità: da bambini gli omosessuali si sono masturbati troppo…;

2) ignorare ricercatori come Evelyn Hooker, D’Augelli e Patterson, Bozett e Sussman, i fondamentali lavori di Cabaj e Stein, Cohler, De Cecco, Garnets e Kimmel, Herdt: ogni autore che potrebbe smentire le sue affermazioni infamanti viene ignorato. Del libro di Bell e Weinberg (1978) non si dice che è un libro di eccezionale valore che per la prima volta dimostra l’assoluta normalità, ad ogni livello dell’analisi, delle persone omosessuali, tanto da essere uno dei pochissimi libri tradotti in italiano sull’argomento, dall’AA citato in inglese: è ovvio che non l’ha neanche letto!

3) avventurarsi nell’esposizione di ricerche  biologiche di ormoni e cromosomi, tacendo sugli sviluppi di queste ricerche e sul loro fallimento: ha copiato qualcosa qua e là, tra cui due articoli vecchi di un decennio tradotti in italiano sulle “Scienze”, solo parte di un dibattito che non sospetta neanche ci sia stato. Non conosce infatti i mirabili lavori di L. Rogers, Sesso e cervello, Einaudi 2000 e B. Jordan, Gli impostori della genetica, uscito in Francia nel 2.000 (e da Einaudi nel 2002), che infatti smentiscono tutta la sua fiducia nelle prove biologiche… che non mancheranno di venire, spera a p. 133: ci tiene troppo al difetto biologico.

4)  non sapere assolutamente nulla di psicologia, ma avere la spocchia, questa sì demoniaca, di dire cosa sia normale e cosa sia patologia (la Chiesa lo dice!), cosa vuol dire ricerca, analisi, riflessione sui dati, metodologia, critica epistemologica, articolazione dei concetti. In realtà non ha bisogno di riflettere su queste bazzecole, egli sa già tutto ed è bravissimo a citare autori ispirati come Gahl: “l’omosessualità è una delle molte manifestazioni del disordine nelle inclinazioni umane introdotto dal peccato originale” (p. 159);

5) statuire che l’omosessualità è una distonia: non ha il coraggio di dire che è una malattia, e dunque usa questo termine…. medico per dire che è una deviazione (“l’omosessualità è chiaramente una deviazione”, p. 162) da emendare: “dal punto di vista dell’unità della persona è una distonia, cioè un contrasto, una disarmonia tra l’anatomia e la fisiologia degli apparati genitali e degli organi da una parte e l’orientamento e la pratica omosessuale dall’altra. I primi esprimono ordinamento enequivocabile verso la complementarità eterosessuale, ma i secondi la contraddicono perché orientano ed esprimono una sessualità ripiegata su se stessa. La persona omosessuale è quindi una persona divisa in se stessa” (p. 167).

Eppure, ecco la buona novella, gli omosessuali si possono redimere. Ahinoi, solo quelli di buona volontà però: quelli che rientrano nell’ordinato ovile che la chiesa governa, da sempre e per tutti, mai cambiando posizione: infatti nulla dice Teisa sul fatto che tra il documento del 1975 e quello del 1986 ci sono cambiamenti enormi e nient’affatto migliorativi. Perché guarire si può: all’Autore non pare vero di avvalorare la sua lotta eroica per la salvezza degli omosessuali dall’omosessualità sbandierando due psicologi, Nicolosi e Aardweg, che guariscono da questa brutta distonia: la loro verità viene magnificata come scientifica, buona, incrollabile. E certo lo è: basta non capire nulla di ricerche cliniche e di valutazione delle stesse, basta credere alle favole, prendendo per buoni numeri, metodi, procedure, verifiche, riproducibilità che davvero, gridano vendetta a Dio (pagg. 140 e seg). Contro il parere di tutti gli psichiatri e gli psicoterapeuti e le prove scientifiche di tutte le ricerche condotte nel mondo –e dal nostro eroe ignorate- Teisa crede alle affermazione di questi due campioni della psicologia: le loro vergognose ricerche sono un vero e proprio manuale di lavaggio del cervello e di manipolazione delle coscienze, senza nessun fondamento scientifico: i risultati presentati da loro stessi sono scandalosamente ridicoli. Così, con involontaria comicità, don Teisa chiama la sua proposta di rieducazione (altro che campi maoisti!) “programma aperto”: una vera e propria persecuzione psicologica, degna della fantasia di Orwell. Ma tutto è permesso, pur di partire e ritornare sempre alla Verità rivelata: l’omosessualità è Male, peccato, abominio, imponendo alle persone omosessuali di crederci, pena la dannazione eterna e la vergogna mortale. E senza neanche rendersi conto di tutti i paradossi che la strategia della conversione trascina con sé: ma sono cambiati veramente? E fino a quando/quanto si sono redenti? E a che prezzo? E con che ricavi? E poi, in definitiva, in nome di che cosa?

Un libro violentemente discriminatorio: Teisa non spende una parola per commentare la presa di posizione – l’ordine, in verità! - della chiesa cattolica volta a negare diritti essenziali di cittadinanza alle persone gay e lesbiche (si è solo moderati nell’affermare che le pagg. 68-72 fanno rabbrividire).

Eppure suo malgrado, questo libro, senza precedenti per presunzione e violenta ignoranza, potrebbe però essere utile:

1) perché ci fa capire che la Chiesa Cattolica, se si ritrova in queste pagine, vuol dire che è proprio arrivata al capolinea: dentro queste categorie concettuali non è capace di elaborare nessuna ricerca seria, nessuna riflessione autocritica e di comprensione dell’altro. Non funzionando più il vecchio interdetto, la chiesa cattolica mantiene le consuete coordinate ma si aggiorna per meglio condannare –apparentemente- non il peccatore, ma la malattia ignominiosa di cui l’omosessuale è vittima: sta a lui non acconsentirvi, curandosi;

2) perché in quest’epoca di rimozione collettiva della memoria e di superficiale accettazione dell’omosessualità come “gusto personale”, il libro testimonia della potenza concreta della persecuzione operata dalla chiesa cattolica;

3) perché ci fa capire quanto la lotta sia ancora lunga, difficile, faticosa e come vada condotta con la massima determinazione nel non lasciare spazi alla patologia, vera strada maestra per l’invalidazione delle persone gay e lesbiche: oggi il pregiudizio si traveste –e si travestirà sempre di più- sotto la maschera della patologia (magari dichiarata con termini non chiaramente medici) e sotto l’invocazione della terapia che guarisce;

4) perché la violenza si presenta oggi, più spesso di ieri, con parole suadenti, ipocrite, falsamente accettanti: ma dobbiamo avere il coraggio e la forza intellettuale di ribadire che si esercita profonda violenza ogni qual volta che si nega valore alle persone, a priori e a prescindere da quello che fanno. Si imputa loro di essere costituzionalmente negativi, ponendo nel cuore della loro autoconsapevolezza la colpa di essere quello che sono, pur non avendo arrecato male a essere vivente: a questa violenza, esemplificata nel libro di Teisa, dobbiamo imparare a reagire con strategie nonviolente;

5) perché un libro come questo suscita, per contrario, la necessità di una fatica non più rinviabile: bisogna impegnarsi ad elaborare un pensiero evangelico di autentica liberazione gay e lesbica. Perché ci sarà autentica liberazione solo se le persone gay e lesbiche – e con loro tutte le persone che tentano di trovare vie di liberazione

6) prenderanno loro per prime il compito di elaborare un pensiero realmente nuovo, produttivo di possibilità, di riconoscimento integrale, di valore pieno. Come deve essere ogni amore maturo, rispettoso, liberamente scelto in base al proprio desiderio affettivo e sessuale.

Queste considerazioni, tuttavia, non fanno che sottolineare il gravissimo danno arrecato da questo libro: esso mira a distruggere l’autostima, la fiducia in se stessi e la speranza di vita soprattutto di gay e lesbiche giovani, ponendoli in uno stato di insicurezza, di incertezza, di colpa, fino all’estremo della negazione di se stessi.

Colpevolizzazione operata anche, con inaudita spietatezza, nei confronti delle famiglie, di cui vengono rinfocolati i sensi di colpa e le dinamiche di rifiuto e espulsione del figlio-mostro, deviato e morbosamente immaturo, cui si prospetta disonestamente la necessità di una terapia, “perché guarire si può se ci si mette la buona volontà”. E considerando che questo libro sarà utilizzato da parroci, educatori, catechisti ecc, è facile prevedere i danni immensi che esso farà e la violenza che rinfocolerà, ad ogni livello, in ogni contesto, dentro e fuori le anime dei credenti. Ne subiranno gli effetti devastanti non solo quelli “di buona volontà” – rarissimi, speriamo - che si sottopongono al riorientamento sessuale, ma anche quelli che proprio perché non lo fanno diventano automaticamente malati pericolosi e colpevoli per la loro maligna resistenza a farsi curare.

Inoltre, questo libro provocherà conseguenze enormemente dannose in chiunque vorrà crederci: come diagnosticare il paziente omosessuale che vuole veramente cambiare? Con quali effetti secondari, voluti e non voluti, previsti e non previsti? Con quali controindicazioni? Con quali ricadute sul vissuto e sulla vita concreta delle persone e delle famiglie? Con quali spese, costi mentali e sociali, etici e politici? E cosa ne sarà degli altri? E con quali verifiche, prospettive, obiettivi, visti i risibili risultati delle “ricerche” dei due maestri di psicologia sulla cui scienza Teisa ha immolato ogni buon senso?

E sono fin troppo visibili gli effetti di autoannichilimento che questo ricatto terapeutico provoca anche negli omosessuali credenti: non hanno già da sempre provato sulla loro pelle -tutti gli omosessuali, in realtà - gli effetti di queste meravigliose terapie psicologiche che li liberavano dalla loro immorale distonia? E si può scientificamente, eticamente, deontologicamente, culturalmente propagandare una terapia così disumanizzante, castratoria, distruttiva della dignità della persona senza che ci sia alcun dato scientificamente valido che dimostri che funzioni, che sia utile, che sia giusta, che sia rispettosa della dignità umana? Impossibile propagandare una terapia che non parta dal presupposto che il pluralismo dell’orientamento sessuale non sia degno di diritti.

Don Teisa ribadisce il suo pensiero persecutorio concordando con l’agghiacciante documento del 1992 della Congregazione per la Dottrina della Fede, “Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non-discriminazione delle persone omosessuali”: “In realtà la tendenza omosessuale in sé non è una fonte di diritto, come potrebbe essere “la razza, il sesso, l’età, ecc.”, in quanto è un disordine oggetto” (p. 69). Schiacciandole tra questa agghiacciante teologia e l’obbligo di curarsi, Teisa non lascia scampo alle persone gay e lesbiche.

Paolo Rigliano