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Coppie di fatto e politica papale
 
Il richiamo fatto da Papa Wojtyla ai vescovi all’ultimo Sinodo, e il recente discorso per la Giornata Mondiale della Famiglia, sul tema della famiglia e delle coppie di fatto è stato ripreso dalla stampa italiana con grande risalto, mentre da parte di alcuni giornali italiani e dai tanti europei quasi ignorato.
Questa differenza di toni è dovuta al fatto che ormai la “politica papale” su questo tema è risaputa e ormai vecchia.
Vecchia soprattutto come vien percepita in Europa e in altre nazioni progredite.
Vecchio infatti è il modo, tutto cattolico e tutto italiano, di porre le famiglie di fatto frontalmente contro la famiglia tradizionale.
Vecchio è vedere minacce ovunque contro l’istituto familiare.
Questa posizione veterocattolica, del cattolicesimo da anni cinquanta, che in Polonia ha fatto storia, grottescamente e sorprendentemente ci ricade tutta addosso in questi nostri anni di fine secolo ed inizio millennio.
La politica papale in fondo è in sintonia con la visione di una natura che si vuole immutabile e statica, fondata in Dio, senza più nemmeno passare dalle cause seconde a quelle prime - secondo la teologia tomista medioevale.
Chi è nato gay secondo questa visione non ha - bontà loro - alcun diritto di esercitare una sessualità.
Se la esercita è posto fuori dalla “natura” stessa e quindi fuori dal diritto naturale, cui il diritto positivo deve far riferimento: ecco dunque che nessun diritto scritto, del legislatore umano, può dare alcuna valenza positiva ad una realtà che per natura ne è priva .
Il gay, nella coppia di fatto, è infatti la negazione - per questa teologia e politica papale – dello stesso disegno di Dio, perché “con-fonde” la stessa prospettiva teleologica (il fine di una azione), e compie un movimento in una direzione impropria.
Infatti l’omo-sessualità si dirige verso l’uguale, biologico e psicologico - corporeo e spirituale - e non verso il diverso biologico e psicologico.
Per paradosso secondo questa visione è diverso (dal punto di vista sociale) chi si unisce all’uguale, (nel senso sessuale genitale) ed è uguale (dal punto di vista sociale) chi si unisce al diverso (nel senso di sessuale genitale).
Il maschio che da maschio si unisce al maschio o la femmina che da femmina si unisce alla femmina è percepito come “destabilizzatore” della relazione etero-diretta, etero-sessuale appunto.
Di cui la sacralità matrimoniale, con la sua fonte di paternità e maternità, va fiera.
Il gay nella relazione non ha differenza tra i sessi e quindi nemmeno “pro-crea”, atto proprio di Dio, cui i coniugi partecipano insieme con il Supremo Autore della vita.
Si potrebbe dire che rimangono “sterili”, e quindi in linguaggio biblico “maledetti” poichè lo sterile era così ritenuto per volontà divina.
La paternità e maternità infatti è tutta legata e concepita nel mondo cattolico (tranne che nelle adozioni) all’atto sessuale che fa del marito il padre e della moglie la madre.
E’ impensabile una madre che non sia moglie o un padre che non sia marito: i figli avvengono da quel nucleo chiuso, e quindi ai gay sono preclusi.
Nel libro di Genesi però Dio concede ad Abramo di aver figli con la schiava Agar, poichè la moglie Sara era ritenuta sterile.
Dunque questa visione “cattolica” della sessualità e della famiglia in realtà non è biblica, ma tradizionale, e in termini esegetici difetta di fondamenti “scritturali”.
Non è sfiorata oggi, nel 2001, la teologia politica (o la politica teologica ) del Papa che in fondo il gay o la lesbica sono proprio la sessualità altra che ha un binario tutto suo sul quale corre parallelamente a quello della cosiddetta “normalità”, in altre parole che la sessualità gay è appunto l’altra faccia delle complementarietà dei sessi uguali, che non con sesso diverso completano la loro persona - fatta ad immagine e somiglianza di Dio -, ma - proprio per connotazione naturale fondamentale - con lo stesso sesso.
Soltanto una visione eterosessista in teologia poi produce una visione eterosessista in antropologia.
Abbarbicarsi come fanno oggi Papa Wojtyla e il cardinale Ratzinger o altri teologi dello stesso sodalizio scolastico sulla “natura” che viene data una volta per tutte secondo quella tradizione tomista sempre magnificata, che in realtà è chiusa - oggi ancor più - alla scoperta scientifica (attestata dalla comunità scientifica mondiale) e quindi incapace di conoscere ciò che non ha mai voluto comprendere, ma rifiutato o pregiudizialmente condannato, è veramente puerile e patetico.
Ma in fondo dietro a questa lettura teologica c’è tutta quanta una dottrina che ha posto, dai tempi in cui il Concilio Vaticano II è caduto in disgrazia, il cattolicesimo come “nuovo fariseismo”, dove impera la morale del dovere e dei divieti, dove si salva chi è sposato e fa parte di una famiglia tradizionale, regolare e credente, dove i figli vanno alle scuole cattoliche, tutte uguali nella fede dell’unica dottrina cattolica e nei comportamenti, dove si tramanda di famiglia in famiglia ciò che è immutabile, eterno, anche i pregiudizi e le discriminazioni, e dove vi sono tutti i buoni da una parte e tutti i cattivi dall’altra, dove appunto gli etero-sessuali sono buoni in se stessi e gli omo-sessuali sono malvagi e quindi malintenzionati in quanto tali, dal momento che vivono e si vivono come omosessuali.
Questo mondo che Papa Wojtyla vuole “salvare” è un mondo che è tutto invaso dal peccato, dove Lui, il giudice, converte e impone conversioni, magari con l’ausilio del braccio secolare dello Stato, dove alla grazia di Cristo e alla misericordia - cioè all’amore di tenerezza di Dio - non è nemmeno lasciato spazio.
La giustizia dei giusti, cattolica, è divenuta la giustizia farisaica.
Accade oggi quanto affermava Dietrich Bonhoeffer, teologo tedesco morto in campo di concentramento a Flossennburg : “Quando il discepolo si mette dinanzi al Maestro, lo copre, parlando di Cristo, oscura il Cristo...” (Sequela, ed. Morcelliana- Brescia).
Oggi è oscurato - dai suoi discepoli - anche l’amore di Cristo.
La religione è divenuta una dottrina di prescrizioni, di divieti e punizioni: la gioia del lieto annuncio non si ode più.
L’evangelo infatti - come avvenne per la torah ebraica e per la cattedra di Mosè, “sulla quale si son seduti i farisei”- è soffocato oggi dalle cattedre dei prelati, cardinali o papi e vescovi - che spengono ogni “lucignolo fumigante”, che sentenziando senza dubbi hanno chiuso il Regno dei Cieli agli altri.
Proprio a loro, oggi successori del Sinedrio, Cristo ricordava “Guardate che i pubblicani (oggi sarebbero gli “irregolari” - gli omosessuali, i divorziati risposati o i ritenuti “immorali”) vi passeranno avanti nel Regno dei Cieli!”.
Persino il cardinale Martini aveva ammonito: “non si difende la famiglia tradizionale, penalizzando gli altri, le altre esperienze di vita” nel discorso di S.Ambrogio del 2001; e nella lettera dei Vescovi della Lombardia - dal titolo “Lettera alle nostre Famiglie” del dicembre scorso, si invitavano le comunità ecclesiali ad accogliere con amore le coppie dei divorziati risposati ed anche le coppie di fatto, omosessuali comprese, mentre si esortavano le autorità civili ed il legislatore a tener conto di queste realtà nuove.
Di fronte a tutto questo però la sordità vaticana è stata ed è totale...
Ma se la politica papale - ormai tutta intessuta di fariseismo giudaico - vuol tradursi in Italia in una politica delle leggi che sanzioni ed emargini o privilegi le scelte etiche delle persone, coadiuvata da politici cinici e moralisti, che pensano ad uno Stato che per legge stabilisca l’eticità (anche sessuale) delle relazioni umane, ci accorgeremo presto come non potrà che far danni.
Questa politica infatti non potrà che rovinare, con le migliori intenzioni, anche l’altra parte del discorso in causa, dopo quello religioso ed ecclesiale, cioè la convivenza civile di una società democratica e pluralista.

Giovanni Felice Mapelli
Centro Studi Teologici - Milano