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Esperienze pastorali con le persone omosessuali

Per spiegare il senso di ciò che dirò, e giustificare la scelta del genere letterario, che é quello narrativo, due parole risultano essenziali: esperienze, che sta nel titolo del mio intervento, e percorsi, che sta nel sottotitolo del Convegno e che designa la sezione nella quale si colloca la mia relazione. Ambedue i termini inducono a usare un tono inevitabilmente autobiografico, di cui chiedo scusa, e che non vorrei fosse interpretato come inutile protagonismo. Ma non si può parlare di esperienze e di percorsi se non parlando di sé.

I. A modo di premessa

1. Quando parlo di esperienza intendo un'azione che non é primariamente l'applicazione di una teoria, ma soprattutto la risposta a un istinto che si intreccia con quegli aspetti della fede con cui ci si sente in particolare consonanza. Nel mio caso tale istinto era - ed é - la fatica a tollerare il fatto che nella chiesa ci fossero degli esclusi, e che il vangelo, buona notizia, finisse con l'essere percepito come causa di profondo malessere. Il fatto che tra gli esclusi abbia scelto gli omosessuali é abbondantemente dovuto al caso (mi sono occupato anche di tossici e continuo a interessarmi di extracomunitari): mi ci sono trovato un po' inopinatamente (ho raccontato come in un articolo del 1990 in "Famiglia Oggi", n. 47), e mi sono convinto a poco a poco che si trattava di una iniziativa che valeva la pena continuare.

2. Questo non é stato sempre né ovvio né facile: ho dovuto superare dubbi, paure, delusioni (provenienti anche da quello stesso mondo di cui desideravo occuparmi) e ricorrente voglia di smettere. E qui ritrovo un primo senso della parola percorso. una strada ritmata, come tutti i cammini, da slanci e ritrosie, da chiarezza di percezione e da sensazioni di nebbia diffusa, una strada che a volte somiglia a una carreggiata larga che va diritta alla meta, più spesso a sentieri impervi che sembrano perdersi in un bosco di cui non si riesce a intravedere l'uscita. La ricerca dell'uscita, unendo ascolto delle persone, riflessioni, letture, confronti, E' quanto costituisce il secondo senso della parola percorso: dall'esperienza alla elaborazione teorica per passare di nuovo all'esperienza. Quello che andrò dicendo costituisce dunque una retrospettiva su un'attività di quasi vent'anni, iniziata con qualche intuizione e molte incertezze, e che altro non può essere se non un bilancio provvisorio, anche se credo che la comunità ecclesiale sia e debba continuare ad essere un luogo dove si é sempre in stato di lavori in corso.

3. Vorrei aggiungere un terzo elemento che ritengo rilevante, legato peraltro alle categorie di esperienza e di percorso. Per temperamento mi ritrovo di più nella figura dell'istintivo che non in quella del programmatore, e riconosco volentieri a quello che faccio e a molto di quello che scrivo il carattere di occasionalità. La parola potrebbe essere percepita come un difetto: per me é invece la qualifica più caratteristica dell'azione pastorale, perché l'occasionalità non sta a indicare una improvvisazione superficiale, ma significa soprattutto che quando ci si confronta con problemi che toccano il cuore dell'esistenza delle persone non serve molto il prefabbricato o l'elaborazione generica, che, dovendo valere per tutti, rischiano di non significare granché per nessuno (é uno dei limiti più seri di certi documenti di chiesa). Occasione é anzitutto il dover fare i conti con una realtà, quella della persona, che si presenta nella sua concretezza e che interpella semplicemente perché c'é, ancora prima di essere incasellata in categorie preliminari. Nella linea del percorso, occasione può essere pure un evento, una presa di posizione politica o l'uscita di un documento di chiesa, che con le loro affermazioni provocano una riflessione e suggeriscono una puntualizzazione.

4. Da queste occasioni é nato quanto sono andato scrivendo in questi anni (10 articoli e 2 volumetti), il cui significato potrei raccogliere sotto due capoversi, secondo che il discorso si muova dall'interno del gruppo di omosessuali credenti (nel mio caso, dal 1980 il Guado e dal 1986 ad oggi La Fonte) verso l'ambito più largo della chiesa e della società, o sia rivolto primariamente alla crescita di chi frequenta il gruppo o vi fa riferimento: così, dall'interno verso l'esterno, ho inteso da una parte comunicare quanto andavo scoprendo soprattutto nel dialogo con le persone; dall'altra esprimere sia il dissenso su quanto trovavo in catechismi o documenti del magistero che non rendeva giustizia all'esperienza in corso (perché non vero, o inutile, o di ostacolo all'azione pastorale), sia il consenso per quanto andava emergendo di visione positiva delle cose. Contrariamente all'impressione di essere quello che protesta, devo constatare che gli articoli scritti in questi anni si dividono esattamente in due: quelli di tono propositivo, di gran lunga più estesi e sostanziosi, sono cinque, tanti quanti quelli di tono più critico. Per l'interno del gruppo, e in senso più largo per la categoria, ho dato forma scritta a una serie di proposte di vita spirituale in cui si incontrano la condizione omosessuale e il messaggio della fede. Immagino che per i media conti di più l'attività pubblicistica, e in questa faccia più spettacolo ciò che io scrivo contro: mi viene da pensare che il volume "Alle porte di Sion", pubblicato un anno fa, non abbia ricevuto attenzione né sulla grande stampa né su quella specificamente gay forse perché non era abbastanza contro. Deluderò qualcuno, ma a me importano di più i cammini di spiritualità che sono andato scoprendo, e il cui riflesso benefico, a giudicare da tante reazioni di lettori, sembra superi di gran lunga l'ambiente omosessuale. La cosa mi rallegra in modo particolare, perché se c'é un punto su cui insisto volentieri, é che quando si va alle radici del proprio mondo interiore e della vita di relazione, le differenze tra omosessuali ed eterosessuali diventano scarsamente rilevanti.

II. Lo sviluppo di un'esperienza: problemi e possibilità

Per quel che può servire, la data di inizio del mio impegno diretto é il 20 dicembre 1980, quando si radunarono in casa mia sette persone, che erano state al primo campo ecumenico di Agape su Fede e omosessualità dell'estate dello stesso anno. Quando, dopo quasi un anno di sperimentazione, il 21 settembre del 1981, mi trovai a Torino con Ferruccio Castellano e altri amici per precisare alcuni obiettivi comuni per i gruppi che stavano nascendo, suggerii tre punti: accoglienza, ricerca e riflessione culturale, dialogo con le chiese. Nella mia agenda trovo poi la seguente annotazione: Ferruccio vuole un punto per la denuncia e la protesta: suggerisco di spostarlo alla premessa. Lunga discussione con scarso esito sulla confessionalità. Ho avuto mal di testa. Ho ricordato questi tre punti, perché rimangono a tutt'oggi i cardini di un'azione pastorale con gli omosessuali. Non sono cose né ovvie né scontate: ciascuna ha la sua difficoltà.

1. Comincio dall'accoglienza, che sembrerebbe l'atteggiamento meno problematico, e che però non si traduce necessariamente in una forma univoca e chiara. Discussioni anche feroci hanno messo presto in evidenza la difficoltà di conciliare l'apertura, tendenzialmente offerta a chiunque, con la proposta, che porta inevitabilmente a escludere. Certo, il gruppo nasce per accogliere, ma il gruppo per chiamarsi tale deve pur essere unito da qualcosa che valga per tutti, pena il suo rapido dissolvimento. Ho scoperto presto che l'identità omosessuale era un coagulante insufficiente. Seguendo un mio istinto ho scelto di accentuare la dimensione della proposta, ma non esito a dichiarare che pure questo ha i suoi rischi, e che il problema forse non ha soluzione definitiva. Ho pensato che l'uscita dal dilemma poteva essere la diversificazione di momenti all'interno del gruppo, uno più accogliente, e uno più propositivo. Insieme ad altre ragioni (per esempio un eccesso di aggressività nei confronti della chiesa presa in blocco che non corrisponde proprio al mio temperamento) fu proprio la non intesa su questa proposta di combinare accoglienza e proposta che mi portò nel 1985 a lasciare il Guado per ricominciare con La Fonte.

Nel mondo omosessuale la scelta di accentuare la proposta e la conseguente selettività ci ha procurato da parte di movimenti laici e di altri gruppi di credenti alcuni complimenti non molto eleganti, come quello di essere catacombali ed elitari. Ma i complimenti fanno parte del menu. Per quel che riguarda la Fonte la proposta che va integrata con l'accoglienza é semplicemente l'invito a coinvolgersi personalmente nel cammino del gruppo. Non si fa l'esame finestra a chi chiede di frequentarci, ma il metodo con cui caratterizziamo i nostri incontri finisce per essere abbastanza selettivo. Da noi non é previsto l'incontro conferenza dove si rischia di avere solo degli spettatori, ma, scelto un tema e/o un testo, si chiede alle persone, raccolte in piccoli gruppi dove ciascuno possa parlare, di reagire raccontando, a partire dal proprio vissuto, quanto di riflessione il tema o il testo suggeriscono. Chi ha interessi e aspettative più superficiali non rimane a lungo. Ma non pochi restano, e il gruppo non sembra in crisi. Non si diventa tutti uguali, ma le persone imparano ad ascoltarsi e a rispettarsi. Nel testo che illustra l'attività della Fonte non ho esitato a qualificare il gruppo come scuola di relazioni, eco di quella schola caritatis che nel XII secolo i cistercensi proponevano come ideale della comunità monastica, e dunque, per allora, della vita cristiana.

2. La ricerca e la riflessione all'interno del gruppo é ciò che mi interessa illustrare un po' più a lungo, anche perché, pur essendo quello più rilevante, e di fatto l'aspetto meno noto dell'iniziativa. La prima cosa che é emersa é stato il superamento di certe etichette riassuntive che finivano con l'essere estremamente pericolose. E' quanto appare del resto in un mutamento verbale che ritengo non irrilevante, e che appare chiaramente nel titolo del nostro Convegno. I termini del dibattito apertosi da noi all'inizio degli anni ottanta, e di cui i gruppi allora nascenti erano l'espressione, sembravano chiari e monolitici: fede e omosessualità. Questo il titolo dei campi di Agape, inaugurati nel 1980, su cui forse influì il titolo del libro di John McNeill, "La chiesa e l'omosessualità" (1979) che poco prima era arrivato dall'America come una ventata di aria fresca. Confesso di provare sempre un certo fastidio davanti a parole che pretendono di dire tutto in modo esaustivo. Basta un poco di riflessione per rendersi conto che la fede non é un concetto semplice, chiaro e omogeneo, così come non lo é la chiesa; d'altra parte anche quella che si usa chiamare la comunità omosessuale appare alla fine poco più che un'astrazione, in cui di comunitario a volte non c'é gran che, per non parlare delle modalità con cui le persone interpretano e vivono la propria omosessualità. Quando nel 1984 il Guado aggregava tra le quaranta e le cinquanta persone mi presi la briga una volta di preparare uno schema in cui elencai le varianti nel modo di intendere fede/chiesa e omosessualità: era difficile, combinandole, trovare due persone che combaciassero! Lo scopo era precisamente quello di guarire ricorrenti esplosioni di intolleranza all'interno dello stesso gruppo. Una delle illusioni più pericolose che ho sperimentato nella vita dei gruppi é in effetti la pretesa di sapere già tutto in anticipo su una persona solo perché é omosessuale, o l'istinto a trasformare in privilegio quello che nella società in senso lato é un'esclusione. Non é sempre facile far capire che l'omosessualità in quanto tale, se non é un marchio d'infamia, non é neanche automaticamente uno stato superiore, o tale da costituire per se stessa una comunità. Ci possono essere, per esempio, delle aggregazioni attorno ad obiettivi politici e sociali, ma la comunità é un'altra cosa. Etichette globalizzanti generano uno pseudo-unanimismo, e nutrono atteggiamenti aggressivi e conflittuali che non portano niente di buono: é proprio questo atteggiamento che fa del gruppo un ghetto. E' questa in effetti una delle critiche che muovo più spesso anche al linguaggio dei documenti vaticani, non sufficientemente attenti all'articolazione dei comportamenti e alle storie delle persone. Oggi mi sembra che queste contrapposizioni siano in fase di superamento, anche se il cammino sarà, lungo. Il titolo del nostro Convegno recita infatti: "Le persone omosessuali nella chiesa", e il guadagno é evidente, perché fa attenti alla irriducibile varietà delle persone, e insieme invita a guardare alla chiesa come a una comunità dentro la quale si vive, e che non é certo riducibile ai prefetti delle congregazioni romane. La Fonte si é radunata agli inizi in casa mia, poi in una casa di riposo dove svolgo il mio ministero e dove pregavamo il Vespro con le suore cui era nota l'identità del gruppo; oggi ci incontriamo nella mia parrocchia, e facciamo i ritiri in una casa di incontri gestita da religiose di un istituto secolare: tutte queste sono realtà di chiesa, che anche se non arrivano mai alla ribalta dei giornali e della TV, non sono per questo meno serie e meno vere.

In una situazione così diversificata, e non solo rispetto alla fede, cosa fare? Ricordo ancora che i problemi più urgenti, all'inizio erano costituiti dal bisogno di superare un senso di esclusione. Capire cosa dice davvero la bibbia sull'omosessualità e vedere se c'é qualche spiraglio nei documenti di chiesa, cattolica e non, furono le prime richieste. Magari per scoprire che si danno più letture della bibbia, e che il contesto storico di uno scritto permette di raggiungere conclusioni più articolate di quanto normalmente si crede. O per accorgersi, con ancora maggiore sorpresa, che là dove é fortemente implicata l'emotività, come nel caso della sessualità, le differenze di prospettiva passano più tra le teste che non tra le chiese, anche se é vero che il tipo di chiesa in cui uno cresce condiziona in qualche modo il tipo di testa che si fa. Qui mi hanno aiutato due intuizioni.

a. Superata questa fase iniziale di rimozione degli ostacoli, mi parve che, volendo trovare un elemento che accomunasse tutti il percorso più produttivo fosse quello di partire dal vissuto delle persone, e quindi di indirizzare la riflessione sulla spiritualità, come luogo dove l'esperienza incontra la fede, la colora e ne resta colorata. Da questo punto di vista, la morale mi é sembrata uno strumento inutilizzabile. A dispetto di quanto si sforzano lodevolmente di fare alcuni bravi moralisti, ho l'impressione, spesso verificata, che nella mente dei più la morale rimanga l'elenco dei divieti, dove alla fine l'unico problema che conta si riduce al: si può o non si può ? La cosa, alla fine, é anche poco impegnativa. Rispondere si o no é relativamente facile, ma non porta molto lontano. Chiedersi invece, interrogando se stessi e la parola di Dio, il senso di ciò che siamo (la propria vocazione!), e di ciò che facciamo, considerare la quota di benessere e/o di sofferenza che il nostro agire produce in noi e in quelli con cui entriamo in relazione, domandarsi se aiutiamo o se sfruttiamo, se siamo onesti o se inganniamo, se siamo rispettosi o maltrattiamo, e tutto questo anche rapportato alla vita affettiva e sessuale, é un po' più complicato del si può o non si può.

b. Come mi é sembrato che lo spostarsi dalla morale alla spiritualità allargava gli orizzonti e risultava più utile per la maturazione della persona, così mi é parso di intuire abbastanza presto che per uscire dalle strettoie di un discorso morale ridotto a pronunciare la liceità o meno degli atti omosessuali l'unica strada possibile era quella di mettere al centro la relazione interpersonale: questa é la vera dimensione della sessualità, le cui possibilità si estendono dall'unione di due corpi a quella tra due anime. Si tratta, per dirla in breve, di riconciliare la sessualità con l'affettività, o, se si vuole, di ricuperare la dimensione relazionale dell'affettività, e di riflesso la dimensione sessuale della relazione. O si trova su questo punto un approccio combinato e convergente, o la riflessione sull'omosessualità rimarrà ancora a lungo nelle secche di una condanna senza spiragli da una parte, e di una mitologizzazione apologetica che divampa per reazione dall'altra.

Forse é più pratico, a questo punto, esemplificare un po'. Agli inizi del cammino della Fonte (1986), ho elaborato in tre testi alcune riflessioni in cui ho tentato di dare corpo a queste intuizioni. I testi giacciono ancora nel cassetto, perché un paio di editori a cui lo ho proposti mi hanno detto a parer loro che non sono ancora sufficientemente elaborati. Per conto mio penso che per il nostro tema non siamo ancora (lo saremo mai?) alla stagione dei trattati. Mi importa comunque dare, anche se in modo molto sommario, il senso centrale di questi tre tentativi.

1. Il primo, scritto per un ritiro nel 1987, partendo da alcuni aspetti della persona omosessuale, mira a fornire alcune piste di spiritualità. Si tratta di suggerire un cammino di crescita realistico a partire da ciò che si é e mettendosi in confronto con il vangelo, estraendo dalle situazioni esaminate i rischi di degenerazione e le possibilità in positivo. Un po' a campione ho scelto tre esperienze che si possono considerare abbastanza rilevanti per la psicologia omosessuale, anche se, ovviamente, non sono esclusive: il rifiuto e l'accettazione di sé, il bisogno di assoluto e lo scontro con il limite, il bisogno di bellezza. Va da sé che tali esperienze hanno una inevitabile dimensione relazionale, ma la riflessione era ancora prevalentemente centrata sulla visione dell'omosessuale come singolo individuo che deve fare i conti con sé stesso.

2. Il secondo tentativo, preparato per il campo di Agape del 1988, affronta invece direttamente il tema della relazione a partire da tre icone bibliche: la creazione dell'uomo e della donna, la lotta tra Giacobbe e l'angelo al guado di Yabbok, e Gesù che lava i piedi ai discepoli durante l'ultima cena. Si tratta di un cammino ascensionale in tre tappe, dove la relazione parte dalla scoperta della diversità/sintonia , in bilico tra il senso di alienazione e l'assorbimento dell'altro come fotocopia di sé; passa dall'incontro/scontro, dove il rapporto oscilla tra la voglia di dominare e il bisogno di affidarsi e di abbandonarsi; giunge infine al culmine e in un certo senso si scioglie nel rapporto vissuto come servizio e dono di sé per la gioia dell'amico, anche solo in quel morire che é l'accettare e l'accogliere la diversità dell'altro. Nel fare questa scelta c'era un primo intento, anche se non decisamente rilevante, di presa di posizione contro il modo usuale di esplorare il tema dell'omosessualità nella bibbia, che prende i passi dove appare il termine esplicito o la situazione chiaramente definita, magari per dire, come fa il recentissimo Catechismo degli adulti della CEI, che "il comportamento omosessuale é ripetutamente condannato nella bibbia" [1081] (NB: il corsivo é mio, i passi elencati in nota sono quattro).

Ma c'era un secondo intento, ben più importante, che era un invito a leggere la condizione omosessuale primariamente in termini relazionali, sulla qual cosa la bibbia ha davvero un sacco di cose da dire, anche se non solo agli omosessuali. In quelle tre icone bibliche c'é in effetti una tale ricchezza di lettura dell'esistenza che al confronto l'affanno speso nel definire la liceità o meno degli atti omosessuali svanisce nell'insignificanza, o se significa qualcosa é nel senso che tali atti possono contribuire a costruire o a distruggere le persone nel loro essere in relazione.

3. A questo punto é stato soltanto logico passare ad affrontare il problema di come l'omosessualità possa essere integrata in un progetto cristiano di vita: é il tema del terzo intervento (Agape, 1989), che colloca il punto di integrazione - e non poteva essere altrimenti - nella dottrina cristiana dell'amore come luogo in cui ci é dato di conoscere, oltre che noi stessi, Dio, e di fare l'esperienza di lui, della sua natura, della sua presenza. Quando nel marzo 1995 il card. Hume ha affermato che nell'amore tra due persone, anche dello stesso sesso, é presente Dio, la stampa laica del nostro paese ha rimbombato l'affermazione come nuova, mentre quella cattolica, utilizzando la riaffermazione dei soliti principi fatta dal cardinale, si affannava a dire che non era cambiato niente. Non c'é né da agitarsi né da affannarsi. Se c'é qualcosa di nuovo é perché l'ha detto un cardinale, e perché c'é in modo esplicito il riferimento all'omosessualità; per il resto si tratta di una vecchia verità che trova sostegno e illustrazione in una copiosa letteratura sull'amicizia fiorita soprattutto nel monachesimo medievale, ma presente anche in altri momenti della storia del cristianesimo: mi riferisco soprattutto allo splendido lavoro di Aelredo di Rievaulx, "L'amicizia spirituale", che contiene una ricca teologia e pedagogia della relazione amicale.

La Fonte si incontra una domenica ogni tre, e gli argomenti di cui parliamo sono in un modo o nell'altro riconducibili alle tre aree appena definite. In concreto, ricorderò i temi di questi ultimi anni: spiritualità e desiderio, riflettendo su un'opera di Philip Sheldrake (Befriending our desires) nel 1995-96; il senso, le regole e il frutto dell'amicizia (Aelredo) nel 1996-97, l'accettazione di sé, il rapporto con la famiglia, come gestire la fine di una relazione, l'omosessualità nei catechismi nel 1997-98; la figura del Padre (Lettera del card. Martini) nel 1998-99, e ora la sessualità nella bibbia. Importanti nel nostro cammino sono anche i ritiri di fine settimana, in media tre all'anno, 27 dal 1991. I temi: il fallimento, il disagio nella relazione, la curiosità, il silenzio, l'esperienza del pregare, la speranza, peccato e senso di colpa, la relazione tra cercare ed essere trovato, la libertà, memoria affettiva e memoria biblica, l'esperienza dell'attesa, la conversione come primavera, convivere con il conflitto, la bellezza, sterilità e fecondità, la pazienza, cosa significa essere cattolico oggi, stili di vita del cristiano, la comunità cristiana, l'incontro/scontro con Dio, cammini alla ricerca di Dio, volti di Dio nella bibbia, l'esperienza del vuoto, solitudine e deserto, la trasparenza nella relazione, l'cona del riposo e il giubileo interiore (Aelredo, Specchio della carità). Come si vede, temi che si direbbero semplicemente esistenziali si alternano con argomenti più specificamente religiosi. Tale distinzione é in realtà artificiale, perché il percorso parte sempre da un'esplorazione del proprio vissuto, per arrivare alla fine a rileggerlo alla luce della bibbia.

Molte di queste riflessioni hanno preso forma, nel corso degli anni, in lettere che dal dicembre 1986 ho preso l'abitudine di scrivere in occasione del Natale e della Pasqua. La prime venti di queste lettere sono state raccolte in due volumetti: Il tesoro e la creta (Avvento e Natale), e Le ferite che guariscono (Quaresima e Pasqua), pubblicati dalle Edizioni Paoline nel 1995.. Sono riflessioni che rispecchiano il cammino del gruppo, e quanto andavo imparando ed elaborando nel tentativo di dare una risposta a una serie di richieste: come leggere il desiderio e l'inquietudine, la croce, il fallimento e lo squallore, ma anche il linguaggio del corpo e della tenerezza, la gioia e la paura, il silenzio e l'attesa, le regole della relazione amicale. Ne é uscita una spiritualità che non é uno sforzo titanico di superare il limite, ma trova nella fragilità, nelle ferite, nella povertà le vie dell'incontro con Dio e con l'altro. Ripeto a questo proposito quanto ho detto più volte: non é una spiritualità per omosessuali, ma una proposta di cammino che, nata dall'ascolto della condizione omosessuale, finisce per essere utile a tutti, soprattutto in quegli aspetti del vivere che una minoranza coglie con maggiore sensibilità, e che la maggioranza rischia di non vedere, o di occultare disperatamente per non mettere in crisi il proprio predominio.

III: Interventi sulla stampa

Mi resta da dire alla fine quello che finora é stato maggiormente noto perché legato ad articoli usciti su riviste, quelle che da subito non hanno esitato ad accogliere quanto scrivevo: Il Regno, Rocca, Famiglia Oggi. Ma qui me la caverò in fretta, essendo questo l'aspetto più pubblico dell'iniziativa. Il dialogo con la chiesa era il terzo punto del programma di partenza, e questo é stato realizzato da parte mia con una serie di interventi a scadenza regolare. Alcuni articoli hanno dato conto, come ho detto, del nascere e dell'evolversi dei gruppi di cristiani omosessuali, illustrando progetti e realizzazioni. Su un altro versante, più spesso che non su richiesta, ho scritto per manifestare il dissenso su certi pronunciamenti che a mio avviso usavano un linguaggio difficile da capire e aperto all'equivoco, non aprivano prospettive, mortificavano la speranza, contribuivano a mantenere un senso di esclusione nei confronti degli omosessuali, e soprattutto non hanno mai preso in seria considerazione l'aspetto relazionale e affettivo della condizione omosessuale, che per me dovrebbe essere al centro di ogni discorso sull'argomento. Ma questo é già noto, ed é stato ripreso in forma di sintesi nell'introduzione che ho scritto per la raccolta di testimonianze che costituisce il cuore del volume "Alle porte di Sion" (Monti 1998) già ricordato, al quale rimando. Quel libro mostra un poi di quello che si può fare a livello pastorale, e racconta anche come le persone crescano alla scuola del gruppo. Il cammino é tuttora aperto, e per chi volesse seguirlo anche da lontano c'é a disposizione il nostro giornalino, "Acqua di fonte", che esce quattro volte all'anno (siamo arrivati al n. 12) e che fotografa quanto diciamo, pensiamo e proponiamo.

Concludo. Se devo esprimere un desiderio, lo formulo in due parti. Mi piacerebbe anzitutto che questi gruppi si moltiplicassero e avessero visibilità e sostegno da parte dei pastori, senza mettere alla partenza come pre-condizione parametri spesso impossibili. Ma d'altra parte non vedo l'ora che tali gruppi spariscano, nel senso che non ce ne sia più bisogno. Sono convinto però che per il momento, e Dio sa ancora per quanto, essi sono necessari. E quando mi auguro la loro scomparsa questo non ha da intendersi in senso assoluto. L'ideale che mi figuro Ë che essi lascino in eredità quello che mi sembra sia il frutto più prezioso del loro modo di incontrarsi: un'immagine di Chiesa dove la fragilità condivisa sia la base di partenza, e la cura delle relazioni tra le persone l'obiettivo principale. Sto a fatica in una Chiesa dell'arroganza e delle sicurezze. Mi trovo più a mio agio in una Chiesa della compassione e della gioia. Ma questo comporta che la debolezza venga messa al centro, e non esclusa o malamente ricoperta come un ingrediente fastidioso. Forse Ë questo il servizio maggiore che i gruppi di cristiani omosessuali possono dare alla loro Chiesa. E poiché mi Ë sempre di conforto trovare in altri fratelli di fede conferma di quanto mi sembra di intuire, vi lascio le parole di una suora inglese, Maria Boulding, che in un libro ha esplorato il fallimento come porta che dà accesso alla speranza. Scrive: "Molta parte della nostra vita è spesa nella debolezza di chi inciampa, cade, si rialza, e aiuta gli altri e rialzarsi. La maggior parte dei nostri fallimenti non sono né eroici né vistosi. Dio ci ama mentre soffriamo nella nostra debolezza, quando noi ci disprezziamo, quando non resta più nessuno spazio per l'orgoglio: ci ama perché non può guardarci come fossimo separati da suo Figlio. Possiamo in effetti essere più aperti quando siamo nel caos buio, amaro, senza senso, più aperti a un Dio assolutamente misterioso. Questi momenti possono essere le porte di Dio" (Maria Boulding, Gateway to Hope, London 1985, p. 75). E ancora: "Non è nel punto più lontano dalle nostre debolezze, in un matrimonio ideale, in una comunità ideale, dove nessuno sbaglia, che noi conosceremo Dio. " qui e ora, nel nostro matrimonio, o famiglia, o comunità così come sono, in mezzo a fragilità e incoerenze, che sperimentiamo la Pasqua di Cristo come una forza. Nel sopportare e nell'essere sopportati, nel perdonare e nell'essere perdonati, nell'accettare e nell'incoraggiare gli altri e nell'essere accettati e incoraggiati a nostra volta, noi conosciamo il Signore. " negli uomini e nelle donne, così come sono, peccatori e deboli e redenti, che continuano a sbagliare spesso ma che lasciano che la compassione di Cristo scorra tra loro: Ë qui che avviene la Pasqua" (p. 119).

DomenicoPezzini

(sacerdote, docente di linguistica inglese all'università di Verona e animatore del gruppo La Fonte)