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Il Guado è nato vent'anni fa

Questo intervento vuole descrivere i criteri che ispirano il lavoro de Guado e dei gruppi di omosessuali credenti che si rifanno alla sua ventennale esperienza (tutto è infatti iniziato il 20 dicembre del 1980). Ho deciso di strutturarlo su tre livelli: quello del mio vissuto personale, quello del metodo con cui, al Guado, ci sforziamo di aiutare quanti hanno alle spalle un vissuto simile al mio, quello del lavoro di testimonianza e di stimolo che i nostri gruppi stanno portando avanti dal 1994, anno di nascita del "Coordinamento gruppi di omosessuali cristiani in Italia".

Partire da una storia

Sono nato nel 1959 e sono cresciuto in un piccolo paese della diocesi di Milano dove, fin dalla prima adolescenza, ho partecipato attivamente alla vita ecclesiale: ho animato l’oratorio maschile per diversi anni; ho incontrato alcune esperienze come Comunione e Liberazione e il Movimento dei Focolari che, in quei primi anni settanta, non avevano ancora concluso, all’interno della chiesa, quel percorso di legittimazione che ora si è compiuto; andavo regolarmente a Messa e, spesso, la animavo suonando l’organo o assistendo il celebrante e facevo volontariato in una casa famiglia per handicappati che c’era in paese. Probabilmente sapevo fin da allora di essere omosessuale, ma, un po' per la vergogna, un po' perché convinto di potermi controllare senza problemi, non ne avevo mai parlato con nessuno e, probabilmente, covavo dentro di me la speranza che si trattasse di una condizione transitoria.

Nell'autunno del 1978, dopo essere approdato all’Università Cattolica di Milano, ho iniziato a frequentare il seminario diocesano di Saronno dove speravo di entrare l’anno successivo: mi ha bloccato monsignor Corti, l’attuale vescovo di Novara, che, pur non avendo ricevuto da me alcuna confidenza particolare, mi ha detto chiaramente che, a suo avviso, la mia maturità affettiva consigliava una pausa di riflessione. Ho allora iniziato a frequentare la FUCI, che stava ricostituendosi in quegli anni e ho avuto modo di incontrare persone (come Giuseppe Lazzati, Vittorio Bachelet e Alberto Monticone) che, se da un lato mi hanno aiutato a diventare un ‘cristiano adulto’, d’altro canto non sono state in grado di affrontare il nodo della mia affettività repressa e, probabilmente, hanno favorito quel processo di rimozione che stavo attuando da diversi anni.

Alla fine del 1983, durante l'anno di leva, mi sono innamorato (senza peraltro rendermene conto) di un mio compagno di caserma: cercavo in tutti i modi la sua compagnia, soffrivo per la confidenza che aveva con altri e che non riusciva ad avere con me, tremavo all'idea di dovermi allontanare da lui al termine del servizio militare. Nell’estate del 1984, quando sono rientrato finalmente a casa, ero sconvolto e non sapevo a chi chiedere aiuto: con i miei educatori non avevo mai affrontato certi argomenti; amici al mio paese non ne avevo; i vecchi compagni della FUCI erano lontani e, se anche mi fossero stati vicini, avrei avuto vergogna a parlare con loro di certi argomenti; i ritiri spirituali dell'estate, che tanto mi avevano aiutato in altre circostanze, non mi dicevano più niente: mi sentivo fuori posto, con problemi completamente diversi da quelli che emergevano e non sapevo come comunicare il mio disagio.

Ho pensato allora di consultare uno psicologo, ma ho subito scartato l’idea per paura di incontrare qualcuno che potesse darmi del represso, mettendo così in crisi il sistema di certezze che, fino ad allora, aveva sorretto la mia vita. Nei primi mesi del 1985 ho finalmente conosciuto, grazie all’interessamento di un sacerdote milanese, uno psicologo cattolico che mi ha fatto capire di poter intervenire sul mio orientamento sessuale per modificarlo. Ho allora deciso, per pagare la terapia, di lasciare l’attività di ricercatore che avevo intrapreso all’Università di Milano e di intraprendere una professione che non mi attirava molto, ma che mi permetteva di pagare tranquillamente la terapia. Purtroppo, durante l’anno di cura, la mia situazione, invece di migliorare, ha iniziato a peggiorare vistosamente e quando ho deciso di sospendere le sedute, ero in condizioni pietose: l’omosessualità era diventata una vera e propria ‘fissazione’ che mi provocava sensi di colpa lancinanti da cui non riuscivano a liberarmi neppure le sagge parole di incoraggiamento del mio confessore.

Qualche anno dopo ho avuto modo di riflettere su quel tentativo di trattare analiticamente la mia omosessualità e sono arrivato alla conclusione che si sia trattato di un intervento inopportuno e maldestro: inopportuno perché l’esperienza mi ha insegnato che l’omosessualità non è una malattia che si può ‘curare’; maldestro perché ha dato origine a una serie di disturbi di psicosomatici che non sono ancora terminati e che, probabilmente, mi accompagneranno per tutto il resto della mia vita.

Nel frattempo avevo conosciuto un’esperienza monastica che stava muovendo i suoi primi passi in Diocesi di Milano. Tra l’altro, uno dei monaci, si era rivelato un ottimo direttore spirituale che mi ha fatto nascere il desiderio di entrare in monastero: in vista di questo obiettivo ho messo a punto un serio cammino che prevedeva il mio trasferimento in una città che offrisse meno tentazioni di Milano e la scelta di un lavoro (quello del libraio) più adatto a me.

I miei disturbi psicosomatici si andavano però aggravando e anche il mio bisogno di intimità con persone del mio stesso sesso aveva assunto le forme di una vera e propria ‘fissazione’ omosessuale (1) che mi portava a fuggire quando il partner usciva dall’anonimato e acquistava un volto preciso. Avevo, in sostanza, adottato un comportamento schizofrenico in cui detestavo ciò che in realtà andavo a cercare, ed esaltavo una continenza che non coltivavo più in alcun modo: le poche relazioni che riuscivo a costruire naufragavano immancabilmente a causa delle mie paure e della mia immaturità; amici omosessuali non ne avevo, anche perché mi terrorizzava l’idea che qualcuno scoprisse il mio orientamento sessuale; i disturbi psicosomatici avevano assunto una gravità particolarmente penosa che probabilmente si alimentava al disprezzo profondo che avevo per l’omosessualità in generale e per la mia omosessualità in particolare.

Con queste contraddizioni sulle spalle ho iniziato a frequentare un gruppo carismatico con cui era entrato casualmente in contatto: speravo in un miracolo che mi guarisse e che mi permettesse di arrivare, attraverso una vita continente e ordinata, a quella scelta monastica che, secondo me, era l'unica vocazione a cui potevo aspirare. Niente però è cambiato e, dopo aver chiesto per anni un miracolo a cui mi sembrava di ‘avere diritto’ (il controllo della mia omosessualità), mi sono ritrovato senza fede e, soprattutto, senza alcuna speranza: all’improvviso mi sentivo completamente escluso dal progetto salvifico di Dio a cui avevo cercato di dedicare tutta la mia vita.

Sono seguiti mesi tremendi: ero diventato uno schiavo del sesso e i miei disturbi psicosomatici, invece di diminuire, si erano aggravati. E’ stato l’incontro con due autori come Clive S. Lewis e John McNeill (2) che mi ha aiutato a ritrovare quella fede che, ormai, avevo perso qualunque significato per me: in particolare mi hanno fatto scoprire come dietro al forte desiderio di superamento delle mie pulsioni omosessuali c’era un vero e proprio peccato di idolatria, un peccato che mi aveva spinto ad amare la mia ‘perfezione’ più di Dio stesso. Una pedagogia poco attenta alla mia natura mi aveva allontanato dalla fede e mi aveva portato a disprezzare me stesso con tutte le mie forse, ma finalmente capivo che, per vivere la mia fede, dovevo ripartire da Dio e accettare serenamente la sua volontà, così come si manifestava nei miei limiti e nelle mie debolezze.

E’ stato a quel punto che ho scoperto nel Guado il gruppo che, più di ogni altro, mi ha aiutato concretamente ad accettarmi per quello che ero e a iniziare un cammino di integrazione della mia omosessualità nel resto della mia vita. Sempre nel Guado ho scoperto l’importanza che assumeva, per me, la scelta che pian piano avevo fatto, di servire gli altri omosessuali e di aiutarli a riconciliare la loro fede con la loro omosessualità: da allora ho capito che quella è la mia vera vocazione, una vocazione che sono chiamato a vivere con gli altri omosessuali con cui lavoro.

Elaborare e vivere un progetto

Come dimostra la mia storia personale il primo problema che l’omosessuale credente (e non solo lui) si trova costretto ad affrontare, è quella dell’accettazione della propria omosessualità: spesso, questa mancata accettazione, viene rimossa a livello razionale ed emerge in alcuni comportamenti tipici che caratterizzano il vissuto di alcuni omosessuali. Tra gli elementi più vistosi che denunciano la presenza di un disagio profondo con la propria omosessualità ci sono il rifiuto di qualunque contatto con persone che non rispondono ai propri canoni estetici (si frequenta un altro omosessuale solo quando se ne subisce il fascino, in qualunque altro caso lo si rifiuta perché, in quanto omosessuale, è uno specchio della propria omosessualità) e un difficile rapporto con la propria fisicità (fanno paura tutti i contatti fisici con altri uomini e si sente il bisogno di ‘modificare’ il proprio corpo per conformarlo ai propri modelli estetici).

Per meglio spiegare questa situazione è possibile fare riferimento a una preghiera di santa Teresa d’Avila che inizia con l’espressione: "Prendimi Signore come sono!" e che si conclude con una bellissima espressione di abbandono alla volontà di Dio: "Fammi, Signore come vuoi!". Molti omosessuali non riescono a riconoscersi in questa preghiera e cercano di diventare ciò che in realtà non sono: persone capaci di mascherare sempre e comunque la propria omosessualità; persone capaci di esercitare una grossa carica seduttiva nei confronti di quanti entrano in contatto con loro, in maniera di non essere costretti a scoprirsi rivelando, prima dell’ipotetico partner, il proprio orientamento sessuale; uomini e donne ossessionati da un loro personale ideale di perfezione che lascia poco spazio all’azione della Grazia divina che invece sorprende e ci conduce là dove non avremmo mai pensato di andare. In alcuni casi si arriva addirittura a negare realtà del tutto evidenti quali la propria omosessualità ("Vado con gli uomini, ma non sono omosessuale") oppure la propria appartenenza alla comunità omosessuale ("Non esistono omosessuali seri a parte me e quelli che mi piacciono") con conseguenze grottesche.

Avendo vissuto questi atteggiamenti in prima persona, sono consapevole della loro pericolosità. Alcune volte costituiscono addirittura un ostacolo insormontabile, che blocca sul nascere qualunque rapporto continuativo con ogni esperienza capace di aggregare le persone omosessuali: io stesso, nel 1988 e nel 1992, ho fatto due fugaci visite al Guado, scappando poi via, perché non ci trovavo nessuno che fosse omosessuale nel modo speciale in cui (a mio avviso) lo ero io.

Quello dell’accettazione di sé è, nel tipo di lavoro che portiamo avanti nei nostri gruppi, un passaggio inevitabile: fino a quando una persona omosessuale continua a disprezzare se stesso e ad odiare la propria omosessualità non sarà in grado di approdare a quella sana autostima che è indispensabile per intraprendere qualunque cammino di cambiamento; fino a quando una persona omosessuale non è in grado di considerarsi una persona capace di vivere in libertà le proprie scelte continuerà a correre il rischio di cadere in una sterile quanto dannosa autocommiserazione; fino a quando una persona omosessuale continua a considerarsi un povero malato da compatire e da commiserare, giustificherà ogni compromesso e ogni depravazione senza rendersi conto che un atteggiamento del genere rischia di ingenerare atteggiamenti schizofrenici.

Tra le esperienze che, di solito, vengono proposte a chi ha bisogno di accettarsi in quanto omosessuale sono di fondamentale importanza i gruppi di riflessione sui quali si basano i nostri ritiri: qui, secondo un metodo mutuato dalla esperienza di gruppi di autoaiuto, ciascuno è invitato a condividere gli aspetti più imbarazzanti della propria esperienza affettiva in maniera da trasformare i suoi problemi in problemi di tutto il gruppo che insieme si sente chiamato ad aiutare chi vive una situazione di disagio, ad uscirne una volta per tutte. In questi momenti di condivisione viene dato un grande spazio alla comunicazione corporea e, in particolare alla Biodanza, una tecnica psicocorporea elaborata dallo psicologo cileno Rolando Toro (3). Se faccio riferimento alla mia personale esperienza posso dire che, proprio grazie alla biodanza, ho imparato a non aver paura del contatto fisico con gli altri maschi e ad assumere quelle forme di comunicazione fisica tipiche delle amicizie maschili che, per paura della mia omosessualità (e quindi delle implicazioni erotiche che io davo al contatto fisico con un altro uomo) avevo sempre rifiutato di vivere.

Una persona omosessuale che ha finalmente imparato ad accettarsi e a non disprezzare più l’omosessualità (la propria e quella degli altri) è finalmente in grado di vivere pienamente quelle amicizie disinteressate a cui il Catechismo della chiesa cattolica fa riferimento quando parla di omosessualità (4). Ci siamo infatti accorti che spesso, il vero dramma della persona omosessuale, non è la mancanza di una relazione erotica, ma la profonda solitudine in cui è costretta a vivere la propria affettività: raccontare ad altri che non ci giudicano e che sono in grado di comprenderci, quello che proviamo quando vediamo qualcuno che ci piace, è un’esperienza liberante che spesso, da sola, riesce a trasformare un’omosessualità ‘fissata’ (in cui la dimensione genitale del proprio orientamento sessuale è prevalente, se non addirittura esclusiva) in un’omosessualità ‘integrata’ (in cui il sé omosessuale entra in dialogo con il consesso degli altri sé e ne rispetta, magari modificandolo e integrandolo a partire dai propri bisogni, il sistema di valori).

Contemporaneamente all’offerta di esperienze forti, capaci di riconciliare le persone omosessuali con la loro biografia, i nostri gruppi cercano di rispondere all’esigenza, condivisa da molti, di cogliere con maggiore esattezza, le dinamiche che caratterizzano il vissuto omosessuale. I numerosi incontri offriamo alla comunità omosessuale delle città in cui operiamo vanno esattamente in questa direzione. Qualche volta l’approccio è caratterizzato da un grande rigore scientifico (numerosi sono stati gli psicologi, i sessuologi e gli psichiatri con cui abbiamo collaborato), altre volte si privilegiano aspetti più incerti da decifrare (si pensi ad esempio agli incontri con scrittori e artisti omosessuali che hanno cercato di leggere la loro esperienza artistica alla luce della loro omosessualità), altre volte ancora ci siamo avvalsi del contributo di specialisti che coltivavano discipline che, solo marginalmente, si occupano di sessualità (la Storia (5), ad esempio, si è rivelata uno strumento formidabile per comprendere i meccanismi che regolano la percezione e l’esercizio di un particolare orientamento sessuale). La scelta, portata avanti con onestà di intenti, di non accontentarci di spiegazioni affrettate ci ha spinto a sottoscrivere in pieno alcune affermazioni, richiamate dal magistero della Chiesa, quando parla di omosessualità: in particolare ci riconosciamo pienamente nell’idea che la genesi dell’omosessualità sia in gran parte inspiegabile (6) e nel considerare profondamente radicato il nostro orientamento sessuale (7). Purtroppo, uno degli errori più diffusi tra quanti affrontano il tema ‘omosessualità’ è quello di proporre in maniera perentoria tesi superficiali, che nulla hanno a che fare con l’esperienza delle persone omosessuali, senza riconoscere l’articolata complessità con cui si presenta il fenomeno: tra questi errori vanno annoverati quelli che portano molti a considerare l’omosessualità come la conseguenza di qualche particolare dinamica parentale, oppure quelli di chi non tiene conto dell’intimo radicamento che la tendenza omosessuale ha avuto in molti uomini e in molte donne in tutte le epoche.

Comprendere la complessità dei meccanismi che regolano la propria omosessualità si è rivelato, per molti di noi, un antidoto molto efficace nei confronti dei molti ciarlatani che, facendo leva sul disagio che spesso caratterizza il nostro vissuto, propongono facili scorciatoie quali le terapie riparative finalizzate alla modifica dell’orientamento sessuale, che, quando va bene, lasciano il tempo che trovano e, quando va male, provocano gravi psicosi che possono risultare fatali.

Indispensabile, nel lavoro che portiamo avanti, è poi il confronto con il magistero della chiesa, con la cultura teologica e con il dibattito in corso nelle varie confessioni cristiane sull’omosessualità: l’obiettivo di questo lavoro è quello di favorire, in quanti frequentano i nostri gruppi, la maturazione di una fede adulta, capace di ispirare cristianamente le scelte etiche, senza dipendere sempre e comunque da una autorizzazione esterna. Si tratta, in sostanza, di ribadire i due criteri ispiratori a cui fa riferimento il Concilio, quando parla della libertà di coscienza: il dovere di seguire la propria coscienza e, quindi, l’obbligo di considerarla il criterio ultimo di valutazione delle nostre scelte morali, l’impegno di formare questa stessa coscienza attraverso l’ascolto oprante della Parola di Dio e l’accoglienza rispettosa del magistero della chiesa nei suoi vari livelli di autorevolezza (8).

In ogni caso occorre sottolineare il primato che il rapporto con Dio ha, rispetto alla nostra capacità di aderire pienamente a un particolare aspetto che caratterizza l’etica cattolica: abbandonare la fede solo perché non si riesce a vivere in pienezza una particolare istanza morale è un errore che solo una visione distorta del cattolicesimo può ingenerare. Da laici impegnati nel servizio a chi è omosessuale come noi, sappiamo che è lecito e ragionevole credere che una migliore comprensione delle dinamiche che regolano il comportamento omosessuale, possa portare a una diversa valutazione delle singole situazioni che si presentano. Da credenti che accolgono con rispetto l’insegnamento della gerarchia, ci lasciamo interrogare dalle sollecitazioni di cui siamo oggetto e le mettiamo in dialogo con il nostro vissuto personale per giungere finalmente alla definizione di un’etica capace, nello stesso tempo, di non mortificare la nostra umanità e la nostra fedeltà alla chiesa.

Ci ha aiutato molto, in questo lavoro, la natura ecumenica dei nostri gruppi: il confronto con chi vive la propria omosessualità all’interno di una confessione cristiana diversa dalla nostra, ci ha fatto capire che certe tappe del cammino di integrazione tra l’esperienza di fede e il vissuto omosessuale, non dipendono dalla denominazione cristiana di cui si fa parte, ma sono intimamente connessi alla nostra umanità. Abbiamo così scoperto che un omosessuale cattolico non è poi molto diverso da un omosessuale valdese: nella storia personale di ciascuno dei due c’è infatti sempre la necessità di maturare nella fede e di arrivare a scelte etiche responsabili, indipendentemente dalla presenza o meno di un magistero ordinario che propone dei paradigmi di comportamento.

Un’esperienza importante è stata quella che ha visto nascere nei nostri gruppi dei vere e proprie ‘scuole della preghiera’: trovarsi insieme per pregare; ascoltare insieme una Parola di Dio che ci interpella e che mette in crisi le comode certezze che ci siamo creati; vivere insieme dei momenti di adorazione sono state, per noi, esperienze importanti, che ci hanno fatto scoprire come l’appartenenza alla comunità dei credenti non è un problema in più che l’omosessuale deve affrontare, ma costituisce una risorsa a cui può attingere per approdare più speditamente a una effettiva liberazione.

Vivere da adulti la propria omosessualità, integrandola in modo armonico nel resto della propria vita presuppone un cammino di accettazione che spesso è lungo e difficile e proprio la fede, che agli occhi di un osservatore superficiale, sembra rappresentare un ostacolo, porta a reali scelte di libertà. Solo da una fede accettata e vissuta consapevolmente può avere infatti origine quel processo di ‘riconciliazione con la propria biografia’ che sta alla base di qualunque cammino di conversione.

Nella chiesa e per la chiesa

La condivisione di questo cammino non ci ha portato a fare tutti lo stesso percorso: tra di noi ci sono persone che hanno iniziato una seria e impegnativa relazione di coppia che sembra assumere alcune di quelle caratteristiche proprie dell’amore ‘sponsale’ in cui, al di là del desiderio reciproco, diventa fondamentale la scelta di compiere un cammino comune, capace di superare le difficoltà e le incomprensioni; altri non sono invece riusciti a costruire nessun rapporto duraturo e vivono in bilico tra il desiderio di relazione e le difficoltà che, nella loro vita, questa stessa relazione, incontra; altri ancora hanno seguito finalmente la loro specifica vocazione e sono entrati in alcune congregazioni religiose; con costoro, i contatti non sono terminati e, in alcuni casi, ci è venuto il chiaro riconoscimento dell’importanza che la partecipazione a un gruppo di omosessuali credenti ha avuto nella genesi e nella accoglienza di una particolare vocazione; altri infine hanno scoperto nell’accoglienza e nella solidarietà il vero significato della loro esperienza cristiana, la possibilità di vivere queste due virtù con un prossimo omosessuale, ha poi stimolato la capacità concreta di risolvere le situazioni di difficoltà e di disagio che si venivano, man mano, presentando.

Le diverse vocazioni che sono maturate all’interno dei nostri gruppi ci hanno insegnato che occorre aiutare la chiesa e la società a meglio ‘comprendere’ la complessità dei nostri personali vissuti. In questo senso è diventata urgente l’esigenza di far conoscere le innumerevoli varianti (non tutte condivisibili) con cui il comportamento omosessuale si manifesta: a questo scopo è iniziata una feconda collaborazione con alcuni ambienti scientifici, tesa a fornire elementi di valutazione più completi di quelli disponibili al momento.

In particolare abbiamo scoperto i problemi specifici che accompagnano l’invecchiamento di una persona omosessuale: l’esperienza di alcuni nostri soci e il confronto con persone omosessuali che sono approdate nei nostri gruppi più per rompere il cerchio di solitudine da cui erano oppressi che per confrontarsi con la fede cristiana, ci hanno insegnato che invecchiare da omosessuali può essere particolarmente penoso. Ai problemi propri della terza età si aggiungono infatti, per le persone omosessuali, alcuni problemi specifici legati all’assenza di parenti prossimi (dei figli, in particolare, che si facciano carico del benessere dell’anziano e della sua sicurezza) e all’impossibilità che c’è, in un ambiente completamente nuovo quale può essere una casa di riposo, di condividere alcuni ricordi importanti quali quelli collegati alla vita affettiva. La scelta che, negli anni scorsi, il Guado ha fatto, di dare voce agli omosessuali anziani, stimolandoli a raccontare il loro vissuto, è andata in questa direzione. La proposta che quest’anno è emersa di costituire un vero e proprio ‘centro anziani’ vuole andare incontro al desiderio di amicizia e di comunicazione che osserviamo in tante persone omosessuali che corrono il rischio di segregarsi in casa, lontani da un mondo gay che è tagliato su misura per chi è giovane e pieno di vita.

Molto importante si è poi rivelato il lavoro di supporto che spesso i nostri gruppi hanno svolto nei confronti di quegli ecclesiastici (preti secolari o religiosi) che si trovavano di fronte al dramma della loro omosessualità: molte volte l’incontro con noi è coinciso con la riscoperta del ministero sacerdotale e con la scelta di riprendere, con rinnovato impegno, la particolare forma di vita consacrata in cui erano impegnati. In ogni caso l’amicizia e la discrezione con cui abbiamo accompagnato queste persone ci hanno meritato la loro gratitudine, una gratitudine che ancora adesso si esprime in tante piccole attenzioni che ci confortano.

Alla luce delle esperienze già descritte è emersa l’esigenza, che molte persone omosessuali hanno, di incontrare una chiesa capace di usare un linguaggio nuovo: immune da qualunque sospetto di omofobia; capace di comunicare il profondo rispetto che c’è dietro alla radicalità delle scelte che vengono proposte alle persone omosessuali; forte nel sottolineare l’universalità di un annuncio, quello evangelico, che vuole interpellare tutti gli uomini e tutte le donne e quindi anche gli uomini e le donne omosessuali.

Particolarmente sentita è poi l’urgenza di dare seguito alle indicazioni del magistero circa l’adozione di forme specifiche di accompagnamento pastorale delle persone omosessuali. Provenendo da organismi che agiscono per mandato della gerarchia cattolica, queste forme di accompagnamento pastorale, non potranno non tener conto delle indicazioni che, riguardo all’omosessualità, vengono dal magistero ordinario della chiesa: da questo punto di vista dovranno per forza avvicinarsi al problema ‘omosessualità’ con uno stile diverso da quello adottato dai nostri gruppi che, essendo esperienze di autoaiuto, non pretendono in alcun modo di avere nessuna universalità che vada al di là del vissuto di quanti li frequentano.

Un’azione pastorale specifica è quindi indispensabile, perché senza un lungo lavoro capace di favorire, nelle persone omosessuali, il conseguimento di quella maturità affettiva che è da tutti considerata una condizione indispensabile per vivere, senza pericolosi squilibri, la castità continente che il magistero della chiesa chiede con decisione agli omosessuali.

I nostri gruppi si aspettano, da parte della chiesa italiana, un’iniziativa in tal senso e si riservano di dare a tale iniziativa il loro appoggio nella misura in cui questa stesa iniziativa riuscirà ad aiutare le persone omosessuali a vivere serenamente la loro fede. Nel frattempo continueranno a proporre e a raccontare la nostra esperienza alla chiesa locale di cui siamo parte, per aiutarla ad acquisire ulteriori elementi capaci di portarla a una migliore comprensione dell’omosessualità.

In questo senso i nostri gruppi si considerano dei veri e propri gruppi ‘ecclesiali’ anche se non sono nati per iniziativa di alcun organismo ecclesiastico. In questo senso i nostri gruppi sono coscienti della loro grande utilità: se infatti gli omosessuali non imparano a comunicare le difficoltà che incontrano alla chiesa di cui sono parte, chi potrà fare questo per loro?

Gianni Geraci

(già presidente del gruppo de Il Guado, attuale portavoce del Coordinamento gruppi di omosessuali cristiani in Italia)

 

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(1) L’espressione ‘omosessualità fissata’, contrapposta al concetto di ‘omosessualità integrata’ fa riferimento al linguaggio utilizzato da Peter Schellenbaum nei suoi studi sull’omosessualità (cfr. P. Schellenbaum, Tra uomini, Red Studio Redazionale, Como, 1991).

(2) Si veda in particolare: C. S. Lewis, Il grande divorzio, Jaca Book, Milano, 19 e John Mc Neill, Scommettere su Dio, Sonda, Torino, 1997

(3) Il cileno Rolando Toro ha elaborato, nel corso degli anni, la Biodanza, una particolare tecnica psicocorporea che si basa sulla manifestazione spontanea di tutte le emozioni attraverso la musica, la danza e il movimento. Un processo di crescita personale che, diffuso oggi in tutto il modo attraverso corsi e seminari, questo libro presenta per la prima volta al lettore. Gli esercizi di Biodanza si svolgono sempre in gruppo, sono guidati da un istruttore e sono particolarmente efficaci per risolvere tutti i conflitti, con se stessi e con gli altri. Conflitti che spesso si manifestano non solo come nevrosi, ma soprattutto con una dissociazione psicomotoria: movimenti e posture irrigidite, incapacità di percepire il proprio corpo come un'entità integrata, ma solo come singole parti isolate (cfr. R. Toro, Biodanza, Red Studio Redazionale, Como, 2000).

(4) "Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata" (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2359).

(5) Si vedano, ad esempio, gli importanti contributi di Eva Cantarella (cfr. E. Cantarella, Secondo natura, Rizzoli, Milano, 1995) e di John Boswell (cfr. J. Boswell, Cristianesimo tolleranza e omosessualità. La Chiesa e gli omosessuali dalle origini al XIV secolo, Leonardo, Milano, 1989).

(6) "L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso le persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile" (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2357)

(7) "Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate" (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2358).

(8) Cfr. Concilio Vaticano II, Dichiarazione Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa, AAS 58 (1966). Si vedano, in particolare i paragrafi 6 e 7.