2^ domenica di Avvento

Maria…

“Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: “nulla è impossibile a Dio”. Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l’angelo partì da lei” (Luca 1, 26-38).

Il dogma dell’immacolata concezione di Maria, proclamato da papa Pio IX nel 1854, insegna che “La beatissima vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale” (Bolla Ineffabilis Deus).

Siamo di fronte ad un caso limite dello sviluppo dei dogmi, riconoscono in larghissima misura anche i teologi cattolici. Dal silenzio totale della Scrittura e della più antica tradizione si è arrivati, solo nel 1854, alla definizione dogmatica passando attraverso controversie, polemiche, devozioni, fantasie. Siamo di fronte ad una dottrina ecclesiastica che, ovviamente, non appartiene al nucleo della fede cristiana, non avendo alcun solido fondamento nella Scrittura. Si può essere cristiani (né protestanti né ortodossi riconoscono questa dottrina creatosi nei secoli) e cattolici senza includere questa credenza. Questo oggi è ampiamente riconosciuto anche dentro la chiesa cattolica.

Il dogma cattolico suona così: “Dio ha scelto gratuitamente Maria da tutta l’eternità perché fosse la madre di suo figlio: per compiere tale missione, è stata concepita immacolata. Questo significa che, per la grazia di Dio e in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Maria è stata preservata dal peccato originale fin dal suo concepimento” (Catechismo Compendio, n. 96). Al numero 97 lo stesso compendio trae una conseguenza: “Per la grazia di Dio Maria è rimasta immune da ogni peccato personale durante l’intera sua esistenza”.

Il testo biblico di Luca 1, 26 – 38 è usato (ed abusato) in senso puramente strumentale perché, per unanime affermazione degli esegeti, in esso non si trova il benchè minimo fondamento di questa dottrina cattolica ufficiale. Lo stesso participio passivo Kecharitomene (v. 28), impropriamente tradotto con “piena di grazia”, non offre se non un appiglio a chi già voglia vedere ciò che ha deciso di trovare. Il cardinale Bellarmino il 31 agosto 1617 scriveva a Paolo V: “Nelle Scritture non abbiamo niente su questo punto”. Traducendo fedelmente il versetto 28: “Sei stata fatta oggetto di grazia – benedizione da Dio”, non si può pensare alla concezione immacolata se non per una operazione ideologica che cerca di piegare il testo ad una esigenza maturata altrove.

Anche le leggende evangeliche della nascita di Gesù (Luca 1-2 e Matteo 1-2) sono leggibili come penetranti e luminosi commenti teologici per farci capire, con l’artifìcio del meraviglioso leggendario, la grande missione che Dio affidò a Gesù e come Maria fu la donna che Dio scelse per quest’opera. Nulla, proprio nulla impedisce di credere che Maria e Giuseppe siano i veri genitori di Gesù. Dice la teologa cattolica Uta Ranke Heinemann: “Originariamente, però, il cristianesimo non conosceva l’idea della verginità di Maria. La vergine Maria ha fatto ingresso nell’edifìcio della fede cristiana passando, per così dire, per vie traverse, vale a dire attraverso i pagani e i cristiani di origine pagana. Nell’ambito dell’ebraismo non si trova nessuna delle immagini descritte sopra: idee del genere rimasero estranee all’ebraismo e ai primi cristiani di origine ebrea. I cristiani di origine ebrea non credevano a un concepimento verginale.

In tutti i miti di redenzione le vergini hanno sempre giocato un ruolo particolare: come espressione e simbolo di un nuovo e puro inizio di un mondo nuovo e migliore. L’origine dell’idea che vergini partoriscono redentori divini si perde nella notte dei tempi. “Il fanciullo redentore appare ovunque come figlio di una vergine” (Gerhard Kittel, Theologisches Woerterbuch zum Neuen Testament, vol. V, 1954, pag 828, n. 21; trad. it: Grande lessico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia, vol. IX,1974, col. 760, n. 21).

Joseph Ratzinger, 40 anni fa, scriveva a questo proposito: “II mito della nascita miracolosa del bambino redentore è in effetti diffuso in tutto il mondo” (citato da: Uta Ranke-Heinemann, Così non sia. Introduzione al dubbio di fede, Rizzoli, Milano 1993). Insigni teologi ed esegeti parlano e scrivono in questa direzione. Eugen Drewermann dice espressamente: “Nelle tradizioni dei popoli si racconta continuamente di nascite verginali e di figli di Dio che vengono dal Cielo”. Particolare importanza hanno avuto negli ultimi 30 anni le riflessioni delle teologie femministe e delle donne credenti. Questa figura incontaminata, asessuata, tutta costruita a colpi di privilegi, è diventata loro progressivamente sempre più estranea in una chiesa che, sollevando una di loro, può permettersi di coltivare una strutturale emarginazione e un costante “deprezzamento” delle donne, come è evidente.

Una lettura “letteralistica” delle belle leggende natalizie è purtroppo un’operazione ancora diffusa. Tutte le grandi tradizioni religiose adornano di poesia, di novelle, di leggende teologiche le origini, la nascita del fondatore della tradizione. E’ possibile liberarsi da una precomprensione dogmatica e leggere queste pagine evangeliche come composizioni poetiche ad alto valore teologico.

Il centro di queste pagine non è Maria ma quello che Dio, anche attraverso Maria, ha operato in lei e in Gesù. Penso alle stimolanti riflessioni del biblista cattolico Ortensio da Spinetoli (Bibbia e Catechismo, Edizioni Paideia) e alle pagine in cui padre Mazzinelli presenta l’opera del teologo Tissa Balasuriya (“Mary and human liberation”) nel Quaderno di Viottoli “Tonificanti profumi di eresia” (pagg. 3-25) passando in rassegna i singoli dogmi mariani. Il teologo asiatico documenta l’infondatezza biblica, la “costruzione storica” e l’ideologia sessuofobica e maschilista che stanno alla base di queste formulazioni ecclesiastiche che progressivamente si sono imposte come “dogmi”. Per approfondire queste ricerche può essere utile leggere “Il Vangelo del Natale” di Ortensio Da Spinetoli (Edizioni Borla). E’ un vero peccato che queste elaborazioni non vengano fatte conoscere mentre si continua a dar fiato e voce alle mille “apparizioni” e si propongono devozioni spesso ambigue, cariche di uno spiritualismo fanatico, evasivo, apocalittico. Senza contare che spesso si mescolano santuari e apparizioni con veri e propri “mercati del tempio”.

Non si tratta di disprezzare la religiosità popolare o di sentirsi “superiori” alle persone che partecipano a queste esperienze. Si tratta piuttosto di capire che troppo spesso le gerarchie ecclesiastiche incoraggiano forme religiose che inclinano alla superstizione e al mercato anziché orientare i credenti verso espressioni più mature della propria fede. La religiosità popolare diventa allora l’alibi per dispensarci da quell’opera di educazione alla fede che compete ai ministri di ogni comunità credente.

Chi crede che una profonda revisione della mariologia in questa direzione comporti una diminuzione, uno svuotamento della figura e della fede di Maria potrebbe domandarsi se questa “corona di privilegi” non sia già in se stessa una costruzione senza solidi fondamenti nelle Scritture e senza legami con la vita reale delle donne. Riscopriamo il messaggio che questi racconti mitologici veicolano, ma non traduciamo queste leggende in dogmi, come se appartenessero al nucleo centrale del Vangelo e della fede cristiana. Si può benissimo, come hanno fatto l’evangelista Marco, Paolo e Giovanni ignorare del tutto la nascita verginale senza danno alcuno per la fede. Essa può avere la valenza di un simbolo e di una leggenda teologica che “esalta” l’azione “originante” di Dio in Gesù, ma non ci troviamo di fronte al resoconto di un fatto biologico. Interessanti per approfondire i libri di Hans Kung “Credo” (Rizzoli) e di Elisabeth Johnson, Vera nostra sorella. Una teologia di Maria nella comunione dei santi (Editrice Queriniana) .

Riscoprire il messaggio che queste poetiche leggende veicolano non toglie nulla alla fede. Anzi la rende più aderente alla realtà della vita quotidiana. Nessun timore. Bisogna ripartire dalla Parola di Dio. Semmai la Scrittura sconvolge un po’ la “dogmatica”, ma alimenta la fede. Non è il quadro dogmatico che costruisce e costituisce la fede. Quello può mutare… senza alcun danno per la fede. L’assidua lettura della Bibbia è la più seria minaccia per l’istituzione religiosa, ma non per la fede. Maria, questa donna del popolo, questa donna di carne ed ossa come noi, che ha generato Gesù come ogni madre genera i propri figli, che ha vissuto nella nostra stessa fragilità e peccaminosità, che faceva l’amore con il suo sposo, non è grande per qualche “privilegio”, per essere stata “esentata” da ciò che rende umana la nostra vita.

Il teologo cattolico Tissa Balasurya scrive: “Questa Maria “immacolata” ha bisogno di essere liberata, per essere veramente umana. Ciò è necessario per comprendere la sua vita, le sue lotte e le sue angosce. Altrimenti avremmo una sorta di Maria disidratata, una che non può sentire altra attrattiva se non il bene”. Maria di Nazareth come noi ha lottato tra egoismo e amore, ha fatto i conti con le varie prove e “tentazioni”, ha vissuto le difficoltà di coppia con Giuseppe, ha gustato il piacere della sessualità, ha esperimentato la “terribile fortuna” di avere un figlio pazzo di amore, un figlio che Dio aveva scelto per una missione tutta controcorrente. Questa non è una candida statuina di gesso fuori dalla realtà, ma una donna vera, una credente straordinaria la cui testimonianza di fede, riletta in modo concreto, è davvero preziosa.

Questo brano, dunque, più che dell’immacolata concezione, ci parla dell’azione con cui Dio accompagna l’esistenza di Gesù fin dal suo nascere e ci disegna, come in un quadro, la fede di Maria. Questa leggenda teologica non cancella, ovviamente, la realtà storica della nascita di Gesù da Maria e Giuseppe. “Concepito di Spirito Santo” non indica una eccezione biologica, ma costituisce un’affermazione teologica. Vuole dirci che tutta la vita di Gesù sarà piena della presenza di Dio.

Si può benissimo “pensare che lo Spirito di Dio opera attraverso ciò che accade nel mondo. La paternità divina e umana non si escludono necessariamente a vicenda. L’azione di Dio non deve sostituire o cancellare la naturale attività sessuale in modo da rendere superfluo il ruolo umano. Dato che il sesso è effettivamente il buon disegno di Dio per la procreazione, non sarebbe più opportuno che Dio lo usi in questo caso?… Gli studiosi sono praticamente unanimi nell’escludere ogni altra interpretazione, secondo la quale lo Spirito avrebbe agito come partner sessuale di Maria”. La stessa teologa cattolica Elisabeth Johnson prosegue: “A differenza di quanto accade nei miti ellenistici, lo Spirito non funziona come un partner maschile in un matrimonio sacro tra una divinità e una donna” (Vera nostra sorella, pag. 441). Possiamo, dunque, tranquillamente pensare che Giuseppe ha fatto la sua parte come marito di Maria.

Dio, attraverso la metafora e la figura dell’angelo, “parla” direttamente a questa donna e “il messaggio non è mediato attraverso il padre, il fidanzato-sposo o il sacerdote” (Elisabeth Johnson). Forse tutti noi oggi, nel mondo e nelle chiese, dovremmo prendere atto che Dio ci chiama a conversione specialmente attraverso le voci delle donne. La profezia, certo, non è un dono riservato a nessuno, neanche alle donne, ma lo spazio e la realtà femminili sono oggi luoghi “epifanici” del regno di Dio. Miriam, la donna del villaggio, è più saggia del sacerdote del tempio. Sembra ancora oggi così.

Anche perché questo “Eccomi” di Maria di Nazareth è la risposta che la Bibbia mette in bocca ai profeti di fronte alla chiamata di Dio. Maria è donna attiva, coraggiosa, audace che mette in gioco la sua vita. Non la donna sottomessa, passiva, priva di una volontà autonoma che una certa tradizione cristiana ci ha presentato. Nessun altro testo ha avuto maggiore influenza di questo sullo sviluppo della mariologia. Infatti l’accento posto da certi interpreti sulla formulazione della risposta di Maria: “mi sia fatto secondo la tua parola”, ha inculcato l’ideale della donna quale serva ubbidiente, ideale che oggi le donne rifiutano.

Questo racconto costruito a posteriori è la descrizione “anticipata” di ciò che realmente è stata l’esistenza di questa donna. Maria, in tutta la sua vita, si è coinvolta, ha cercato la volontà di Dio, ha accompagnato questo suo pazzo figlio, ne ha condiviso le scelte audaci e pericolose. Essa è una donna profetica, una madre coraggio. La struttura e il messaggio di questo racconto, se ben compresi, “collocano Miriam di Nazareth nella compagnia di tutte le antenate nella fede che hanno ascoltato la parola di Dio e hanno risposto con coraggio e con amore” (E. Johnson, Vera nostra sorella, Queriniana, pag. 484).

Sì, di coraggio e di amore abbiamo bisogno tutti/e noi oggi. Possiamo dire che l’annunciazione continua ad accadere, ma noi sappiamo imparare dal coraggio e dall’amore con cui ha camminato questa donna del villaggio e tante, tantissime altre come lei? Sotto tutti i soli le donne sono spesso le cattedre viventi, da cui arriva un’autorevole testimonianza di forza morale, di creatività, di intelligenza e di amore.

(a cura della redazione)

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