27^ Domenica del T.O.

Il canto della vigna

«Udite un’altra parabola: C’era un padrone di casa, il quale piantò una vigna, le fece attorno una siepe, vi scavò una buca per pigiare l’uva e vi costruì una torre; poi l’affittò a dei vignaiuoli e se ne andò in viaggio. Quando fu vicina la stagione dei frutti, mandò i suoi servi dai vignaiuoli per ricevere i frutti della vigna. Ma i vignaiuoli presero i servi e ne picchiarono uno, ne uccisero un altro e un altro lo lapidarono. Da capo mandò degli altri servi, in numero maggiore dei primi; ma quelli li trattarono allo stesso modo. Finalmente, mandò loro suo figlio, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio”. Ma i vignaiuoli, veduto il figlio, dissero tra di loro: “Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e facciamo nostra la sua eredità”. Lo presero, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero. Quando verrà il padrone della vigna, che farà a quei vignaiuoli?» Essi gli risposero: «Li farà perire malamente, quei malvagi, e affiderà la vigna ad altri vignaiuoli i quali gliene renderanno il frutto a suo tempo». Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno rifiutata è diventata pietra angolare; ciò è stato fatto dal Signore, ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri”? Perciò vi dico che il regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato a gente che ne faccia i frutti (Matteo 21, 33-43).

La parabola raccontata da Matteo è presente anche nel vangelo di Marco (Mc 12, 1-9) e di Luca (Lc 20, 9-19), nella fonte Q e nel Loghion 65 del vangelo di Tommaso; questo fa pensare che fosse presente nella tradizione orale delle prime comunità cristiane.

Anche se non conosciamo la versione originale di Gesù, il racconto della vigna e dei vignaioli assassini doveva aver colpito l’immaginazione e conteneva un messaggio ritenuto importante.

E’ possibile che ci siano state aggiunte redazionali dei vari autori (ad esempio il racconto del Vangelo di Tommaso è molto più breve), ma tutti fanno riferimento agli stessi testi dell’antico testamento in particolare al canto della vigna di Isaia (Isaia 5, 1-7) che è la metafora che Gesù deve aver usato per parlare del popolo di Dio.

Occorre ripensare al significato attribuito a questa parabola attraverso i secoli. Già la chiesa primitiva ne aveva dato un’interpretazione di comodo: veniva utilizzata nella polemica contro gli Ebrei che avevano ucciso Gesù, il figlio di Dio, inviato dal padrone della vigna e per questo sarebbero stati puniti e distrutti. Questa interpretazione si è mantenuta anche nella chiesa cristiana per molto tempo.

Per capire il senso della parabola, è importante il riferimento al canto della vigna di Isaia. La vigna è Israele, ed è anche il simbolo della tenerezza di Dio per il suo popolo. Il poema ci presenta il padrone della vigna, pieno di attenzioni, che dissoda il terreno, edifica una torre, vi pianta i vitigni migliori e scava un tino.

Quest’ uomo ama la sua vigna, e si aspetta che essa dia buoni frutti, ma invece riceve uve selvatiche, acerbe, che non maturano mai. Dio lascia allora che la vigna inaridisca e si copra di erbacce, ma …..alla fine salverà il “resto” di Israele.

Nella parabola dei Vangeli ritorna il tema della vigna piantata con amore e affidata ai fittavoli. In questo caso la vigna prospera, produce probabilmente una buona vendemmia e il padrone richiede la parte che gli spetta del raccolto. Ma i vignaioli maltrattano gli inviati nell’intento di entrare in possesso della vigna stessa.

Il padrone continua ad attendere, a mandare nuovi servitori e anche il figlio per ottenere la sua parte di raccolto, alla fine darà la vigna ad altri con la fiducia che comunque da qualcuno otterrà i frutti.

Mi sembra che i due temi importanti della parabola siano:

1 – l’amore paziente di Dio che ci mette a disposizione ogni giorno questo mondo, la vigna, con tutte le sue ricchezze e le sue bellezze, che ci manda inviti e messaggi perché possiamo vivere liberi nel “suo regno” che è un regno di giustizia.

2 – la vigna ci è messa a disposizione, non è nostra, noi siamo solo dei fittavoli che hanno il compito di farla fruttificare. Questo è il richiamo alla nostra responsabilità.

Il concetto della vigna, “regno di Dio” , è espresso bene dalla pastora Letizia Tomassone (Adista 2002) che dice: “la parabola ci parla dell’immagine materna del Dio che ci prepara il luogo della vita, è l’immagine paterna del Dio che ci offre gli strumenti per gestire la nostra vita. È l’immagine che Gesù ci dona di un Dio che crea per noi la terra e ce la offre da abitare, che opera per noi la nuova realtà del regno e ci invita a goderne. E noi siamo i fittavoli, coloro che sono posti ad abitare sulla terra per lavorarla e trarne con gioia i frutti. Una gioia da condividere con chi è stato così generoso da prepararci un tale luogo. Ma godere di una cosa non comporta possederla: questo luogo, vigna, creato, regno, non ci appartiene, anche se è stato preparato per noi. …… Siamo ancora in grado, immersi in questa nostra civiltà dell’avere, di sviluppare piacere senza possesso? Certo qualche dubbio ci sorge, visto il senso di rapina con cui teniamo strette e inutilizzate risorse che potrebbero garantire la vita di miliardi di persone, se solo fossero condivise.. Per vivere nel suo regno Dio ci richiede l’impegno per la giustizia e l’accoglienza degli altri e ci sospinge con continui suggerimenti e messaggi”.

La terra è piena di ricchezze, di beni naturali, di opportunità per il loro utilizzo, di risorse che, con l’esercizio della giustizia e della condivisione, consentirebbero una vita serena per tutti.

Vorrei invece ricordare che oggi nel mondo più di 1 miliardo e 300 milioni di persone (circa 1/3 della popolazione mondiale) ha un’alimentazione insufficiente. Secondo l’OMS, almeno 500 milioni sono destinati a morire di fame o delle sue conseguenze. E’ stato valutato che le persone più ricche del mondo che rappresentano il 2% possiedono il 50% delle ricchezze globali.

La concentrazione di reddito, risorse e ricchezze tra individui ha raggiunto livelli impressionanti. I paesi Ocse, con il 19 % della popolazione mondiale, controllano il 71% del commercio mondiale di beni e servizi e il 58% degli investimenti diretti esteri.

E’ noto che gran parte delle risorse alimentari proviene dal consumo dei cereali (riso, frumento, orzo, segale, miglio…). Il consumo degli altri alimenti, ad esempio la carne, è solo del 3,9% nei paesi sottosviluppati mentre in America e Europa è del 13,4%. Il problema maggiore però è costituito dal fatto che gran parte dei cereali prodotti sulla terra e nei paesi sottosviluppati vengono utilizzati in Occidente per alimentare quel bestiame che viene poi consumato sotto forma di carne, uova, latte.

Se l’enorme quantità di cereali destinati all’alimentazione del bestiame venisse impiegata direttamente nell’alimentazione umana, potrebbero venir nutrite ben 2 miliardi e mezzo di persone. A questo si aggiunga che ad esempio le scelte di politica agricola in molti Paesi del Terzo Mondo, ispirate dall’Occidente, portano a ridurre i terreni fertili destinati all’uso alimentare rispetto a quelli destinati alla produzione di vegetali ad uso energetico (biomasse).

La diseguale distribuzione delle risorse e dei frutti della terra, l’esclusione, la repressione e lo sfruttamento da parte dei potenti di intere popolazioni hanno reso difficile una loro sopravvivenza dignitosa. Intorno al primato dell’economia e del potere è stata costruita un tipo di società che per sopravvivere ha bisogno di escludere, di respingere ai margini, di ” picchiare, uccidere, lapidare”.

Scrive don Vitaliano Della Sala: “Il senso del possesso è all’origine della cultura di morte descritta da Gesù così bene in questa parabola. La brama del possesso da’ origine alle violenze, ai rifiuti di ascoltare, all’assassinio di coloro che potrebbero condividere con noi la terra, la vita. Come i vignaioli battono e uccidono coloro che vengono a chiedere la condivisione dei frutti del lavoro, così noi respingiamo ed esponiamo al rischio di morte coloro che vengono a cercare condivisione e vita sulla sola e unica terra che appartiene a tutta l’umanità”.

Il senso di “possesso”, l’esercizio di un diritto esclusivo purtroppo vive anche all’interno della chiesa, chiesa quale “vigna di Dio”. Dio e il suo regno divengono una proprietà riservata da difendere e chi pensa di avere il potere può decidere l’inclusione o l’esclusione delle persone. Purtroppo i casi sono tantissimi: ad esempio l’esclusione degli omosessuali, la negazione della possibilità di salvezza per chi è di altra confessione religiosa o per chi non aderisce ad un dogma.

“Dio non diventa mai una proprietà e la Sua vigna, il Suo regno, non ci appartiene mai. Noi non siamo mai altro che degli affittuari di un dono che ci è stato affidato” dice Eugen Drewermann.

Per vivere nel suo regno Dio ci richiede l’impegno per la giustizia e l’accoglienza degli altri e ci sospinge con continui suggerimenti e messaggi. La parabola dice e “affiderà la vigna ad altri vignaiuoli i quali gliene renderanno il frutto a suo tempo …. il regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato a gente che ne faccia i frutti”.

Dio non si lascia paralizzare o bloccare dai nostri rifiuti, cerca altre strade, ma non cessa d’amare. Nè i figli di Israele, nè i discepoli di Gesù, nè i credenti di qualunque altra religione possono pretendere di possedere la vigna, di avere il monopolio del regno di Dio. La vigna sarà data ad altri… ma non andrà in rovina.

Vilma

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