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Lunedì 25 giugno 2012 – Vangelo di Matteo cap. 23 – CdB – Comunità Cristiana di Base Viottoli

Lunedì 25 giugno 2012 – Vangelo di Matteo cap. 23

vv. 1-12

Questi versetti, che indicano il giusto rapporto che deve stabilirsi tra i componenti delle prime comunità dei seguaci di Gesù, si trovano nel contesto di una polemica contro il comportamento della dirigenza religiosa giudaica del tempo. Questa polemica contro i dottori della Legge e i farisei non mette in dubbio la correttezza del loro insegnamento, tant’è che Matteo, tramite le parole di Gesù, esorta i discepoli e le discepole a seguirlo e a metterlo in pratica. Essi non sono cattivi maestri ma maestri inadempienti, incoerenti. Non va accettato l’esempio della loro vita che non corrisponde ai loro insegnamenti: pretendono dagli altri ciò che essi non fanno; si servono della spiegazione della Scrittura e sfruttano il proprio ruolo di maestri e di guida nei problemi etici per acquistare potere sopra agli altri membri delle comunità.

L’autore del Vangelo di Matteo parla come il rappresentante di un movimento critico di riforma all’interno del giudaismo, che non si considera una nuova religione al di fuori o in contrapposizione ad esso. Questa polemica Matteo la indirizza anche verso i rapporti che si stanno instaurando nelle prime comunità dei seguaci di Gesù dove si sta affacciando la tentazione di ripetere i vecchi schemi di potere.

Gesù ha istituito un nuovo rapporto fra Dio e la comunità che non si basa sulle metafore di un dominio regale ma è piuttosto un rapporto di servizio. In Gesù, Dio si spoglia del potere divino e diventa servitore (Filippesi 2,7). Il rapporto con Dio e con Gesù crea un rapporto di uguaglianza che mette in primo piano la comunione: fra i/le seguaci del nazareno non devono più esserci relazioni basate sugli schemi umani dei rapporti di potere fra padri e figli o fra padroni e servi. E coloro che nella comunità hanno una maggiore comprensione del Vangelo e conducono una vita più impegnata al servizio del Vangelo, devono intendere questa loro posizione come un compito di servizio ed essere più degli altri d’aiuto ai fratelli e alle sorelle. Gesù è il modello di queste nuove relazioni.

vv. 13-36

Questi 7 guai sono di una forte violenza verbale e, come tutto il capitolo, risentono del clima di tensione polemica tra le prime comunità e il giudaismo ufficiale rappresentato, dopo la distruzione del tempio nel 70 d.C., dal gruppo dirigente degli scribi dell’indirizzo farisaico. La critica e soprattutto la qualifica di “ipocriti” data a questo gruppo ha contribuito a costruire l’immagine negativa degli osservanti giudei, per cui “fariseo” è diventato sinonimo di falso e ambiguo. Questo non corrisponde alla realtà storica anche se alcune deformazioni e difetti dei maestri farisei sono stati criticati all’interno della stessa tradizione rabbinica; lo stesso Gesù nell’azione e nell’insegnamento era vicino alla linea dei farisei impegnati.

Il genere letterario dei “guai” è un genere profetico. Non è mai una maledizione, ciò è vero per i profeti dell’A.T. ed è vero per l’evangelo, dove “Gesù non maledice mai nessuno, neppure l’albero di fico inaridito”, ma è una denuncia del peccato e una minaccia del giudizio che può ancora essere evitato con la conversione. I 7 guai non si rivolgono a tutto Israele ma solo ai suoi capi, gli scribi e i farisei che dopo il 70 sono alla guida del giudaismo.

Nel contesto di Matteo, oltre alla denuncia dell’ipocrisia della classe dirigente religiosa giudaica, c’è anche un tacito invito agli ascoltatori delle prime comunità perché prendano coscienza della gravità di quella deformazione religiosa che può infiltrarsi anche tra loro. “In particolare, i ‘guai’ denunciano una serie di peccati (simulazione di pietà, vanità, miopia, esteriorità) che sono tipici degli uomini religiosi di tutti i tempi, ciò che ha meritato loro la definizione molto esatta di ‘specchio dei preti’ ” (Alberto Mello).

Il primo ‘guai’ riguarda il “vietare l’accesso al regno di Dio”. “Entrare nel Regno” è sinonimo di aderire all’evangelo del regno, quindi il peccato farisaico che qui viene denunciato è l’ostruzionismo nei confronti dell’evangelo. Oltre a non aderire al messaggio di Gesù, questi maestri con la loro influenza impediscono di fatto alla gente di imboccare la strada o la porta della vita.

Il secondo ‘guai’ riguarda il proselitismo. Per “proselito” si intende qualcuno che è passato dal paganesimo all’ebraismo attraverso il battesimo e la circoncisione. Ciò che Matteo denuncia è la tendenza del neo convertito ad essere ancora più intransigente di quanti sono nati nell’ebraismo e a diventare “nemico dell’evangelo” il doppio di loro. In questa critica si avverte l’eco del conflitto tra i due gruppi missionari, quello giudaico e quello che sarà poi chiamato cristiano, che si scontrano nelle zone della diaspora.

La terza invettiva riguarda il giuramento (vv. 16-22). Questo argomento deriva dall’uso rabbinico di evitare il nome di Dio attraverso un giro di parole. Il tempio, l’altare o il cielo nei formulari del giuramento erano sostituti del nome di Dio. Ma il problema vero è che Gesù ha contestato la pratica del giuramento (cap. 5,33-36), inteso come sostituto o copertura dell’incoerenza e della falsità nelle relazioni tra le persone. Al v. 17 Matteo trascinato dalla polemica ha dimenticato l’insegnamento del suo Maestro che non si deve dare dello “stupido” a un fratello.

Quarto ‘guai’ le decime: la Torà prescrive di dare la decima sul frumento, sul vino, sull’olio e sul gregge. Matteo non contesta l’estensione di questa tassa religiosa da parte dei farisei anche ai tre tipi di erbe, ma evidenzia la contraddizione tra l’attenzione a queste minuzie e la trascuratezza dei doveri etici fondamentali: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. I giusti rapporti con il prossimo ispirati dall’amore accogliente e benevolo, la “misericordia”, sono la trascrizione pratica della fedeltà a Dio.

Quinto e il sesto ‘guai’ sono associati perché smascherano l’ipocrisia delle osservanze legali sul puro e impuro. Matteo ripropone l’ideale della vera purità che abbraccia l’intera esistenza umana a partire dall’interiorità del cuore come dice in un altro contesto al cap. 15 . Questa purità che matura nell’intimo dell’essere umano, si realizza sul piano delle relazioni giuste tra le persone in base alle quali si valuta anche l’uso delle cose.

Il settimo ‘guai’ riguarda l’ipocrisia dei capi e responsabili giudei che nel momento stesso in cui costruiscono e restaurano i monumenti funebri dei martiri del passato e si dissociano a parole dai misfatti dei loro padri, con i fatti si mostrano solidali con quella storia, perché a loro volta stanno perseguitando gli inviati di Gesù (profeti, sapienti e scribi).

Dal v. 34 Matteo presenta nella forma di annuncio futuro la storia di conflitto e di rifiuto violento da parte della sinagoga, che stanno già vivendo le prime comunità. In questo elenco di persecuzioni l’autore calca un po’ la mano, perché è inverosimile che gli annunciatori dell’evangelo siano stati crocifissi dai capi giudei, visto che questo era un potere riservato solo all’autorità romana.

vv. 37-39

Alla serie dei guai segue il lamento su Gerusalemme, simbolo e concentrazione di tutta la storia di Israele. Già nelle Scritture Ebraiche il guai è spesso associato al lamento (Am. 5,1ss.), dalla violenza della denuncia si passa ora alla tenerezza e alla compassione. Adesso Gesù non si rivolge solo più ai capi ma a tutto il popolo, a tutta Gerusalemme che come centro di potere è la città che uccide i profeti e lapida quanti le sono stati inviati. Tuttavia Gesù ha fatto tutto il possibile per risparmiarle la rovina. “Quante volte” sembra alludere a un’offerta ripetuta, non solo ai giorni di Gesù, ma anche tramite gli invii successivi: la venuta del Messia nell’umile servo Gesù è un’occasione che Gerusalemme non ha saputo o voluto accogliere, né nella sua persona né in quella dei suoi inviati. Tuttavia il v. 39 si conclude con la promessa del ritorno del Signore e con l’annuncio della salvezza alla fine dei tempi.

Luisa Bruno

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